Dune di Denis Villeneuve, il kolossal fantascientifico che supera gli stereotipi di genere

by Marianna Dell'Aquila

Qualche anno fa, quando ho saputo che stavano per incominciare le riprese del sequel di Blade runner dal titolo Blade Runner 2049 (2017), ho provato un misto di (tanto) sconforto e curiosità. Mi sono domandata: si potrà mai superare la bellezza, la perfezione e l’attualità del film di Ridley Scott? Soprattutto, mi sono chiesta chi potesse avere mai il coraggio e la pazzia di confrontarsi con un film di tale importanza.

La risposta è stata: Denis Villeneuve, già autore di lungometraggi come La donna che canta (2010) e Arrival (2017). Come riporta il sito everyeye.it, il regista canadese recentemente ha parlato di nuovo di Blade Runner 2049 e soprattutto del suo insuccesso (meno male, pensavo che solo a me non fosse piaciuto!)  ammettendo di essersi “messo artisticamente in un enorme pericolo. Quello era camminare su un territorio sacro. Ed è vero, quello che ho fatto è stato un sacrilegio, ma almeno non sono stato bandito dalla comunità dei registi”.

Villeneuve è tornato però al cinema con un’altra grande sfida, Dune, tratto dall’omonimo romanzo di fantascienza di Frank Herbert e già preceduto da altre trasposizioni tra cui la famosa pellicola del 1984 diretta da David Lynch. E’ giusto parlare di Dune nella prospettiva di Blade Runner 2049? Sì, perché solo in questo modo possiamo capire i motivi per cui il Dune di Villeneuve deve essere analizzato in modo completamente differente. Il suo infatti è un film dichiaratamente autonomo, anche se non dimentica di omaggiare la pellicola di Lynch (nel 1984 Villeneuve aveva solo 17 anni). “Con Blade Runner dovevo essere più rispettoso del capolavoro di Ridley Scott – ha dichiarato il regista, come riporta everyeye.it -. Questo è completamente diverso. Sto affrontando la pressione dei sogni che avevo da adolescente. Con Dune dovevo accontentare quei sogni. Questa è stata la sfida più grande”.

Presentato in prima mondiale fuori concorso alla 78 Mostra internazionale dell’arte cinematografica della Biennale di Venezia, Dune di Denis Villeneuve resta sostanzialmente fedele alla trama del romanzo di Frank Herbert.

La storia è ambientata oltre l’anno 10000. L’Imperatore affida al Duca Ieto Atreides dell’omonima casata il controllo del pianeta Arrakis, detto anche “Dune”, dove si trova la “spezia”, una polvere presente nelle sabbie e necessaria per il viaggio interstellare. Intanto il giovane Paul, figlio del Duca Atredeis, sogna frequentemente una ragazza Fremen. Dopo aver subito un durissimo attacco dalla Casata Harkonnen, Paul e sua madre, Lady Jessica, riescono a fuggire, ma vengono catturati da un gruppo di Fremen capeggiati da Stilgar e tra i quali c’è anche la ragazza che appare spesso nei suoi sogni. E’ da questo momento che diventa sempre più chiara la profezia che vede in Paul il Messia e che dà il via al suo viaggio.

Il film è tratto da uno dei romanzi di fantascienza più famosi della letteratura mondiale, il cui tema è stato saccheggiato dal cinema per decenni (e lo farà ancora), quindi bisogna abbandonare subito la pretesa di trovare nella trama del film qualcosa di ancora non detto e di originale.

Il giovane protagonista Paul, d’altronde, non è altro che una specie di Messia e già solo questo dovrebbe essere sufficiente per pensare ad una storia che l’uomo sente narrare da millenni. Allora cosa rende l’opera di Villeneuve un film sostanzialmente riuscito e che vale la pena di vedere? Dune ci cattura con la potenza delle immagini, con l’evidente scelta del regista di ragionare su ogni singola inquadratura senza lasciare nulla al caso (anche se, in alcuni momenti, la seconda parte del film ci sembra un po’ più frettolosa rispetto alla prima) e che affida all’occhio, più che alla parola, la potenza del racconto.

Il suo Dune non è solo la trasposizione di un romanzo, ma la realizzazione sul grande schermo di un personalissimo immaginario cinematografico a cui il regista dà vita grazie al supporto di alcuni collaboratori che avevano lavorato con lui già nelle pellicole precedenti. E’ tornato a lavorare agli effetti speciali con Gerd Nefzer e Paul Lambert (quest’ultimi vincitore dell’Oscar per i Migliori Effetti Speciali nel 2019 proprio con Blade Runner 2049), al montaggio con Joe Walker (Oscar nel 2107 con Arrival per il Miglior Montaggio) e con Greig Fraser alla fotografia (candidato all’Oscar nel 2017 come Miglior Fotografia per il film Lion-la strada verso casa di Garth Davis).

Dune di Denis Villenueve è quindi un film che si dichiara apertamente indipendente dai suoi predecessori, un film pensato senza fretta e per il quale il regista si è preso tutto il tempo necessario per studiare i dettagli di ogni singolo elemento: il cast, scenografia, la fotografia, il copione, il sound design.

Dal cast, un mix di volti stellari come Timothée Chalamet, Javier Bardem, Oscar Isaac e Jason Momoa fino alla scenografia (in cui viene prevale l’architettura naturale del deserto), dai costumi ricercatissimi fino alla colonna sonora (affidata al pluripremiato Hans Zimmer), tutto ci fa pensare che forse l’obiettivo di Villeneuve fosse un film più evocativo che filosofico, con in mente già il secondo capito della saga (non perdetevi il primo piano su Rebecca Ferguson negli ultimi secondi di film!). Quindi Dune va visto? Sì, senza però avere la pretesa che il nuovo messia del cinema fantascientifico sia Denis Villeneuve con la sua macchina da presa.

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