I 70 anni del Terzo Uomo di Carol Reed

by Giuseppe Procino

Si racconta che per accettare di girare il “Terzo Uomo”, Orson Welles fece impazzire troupe e produttori. Lo stratagemma utilizzato dall’attore, che si fece letteralmente inseguire in giro per l’Europa non era in realtà un vezzo da star ma uno stratagemma ben architettato per far levitare il suo cachet. Siamo nel 1949, un anno dopo la produzione di Macbeth e Welles fa la spola tra Europa e Stati Uniti alla ricerca di finanziamenti per girare Otello.

Ci metterà tre anni per portare a compimento l’opera, che senza quelli che devono essere sembrati, ai produttori de “Il Terzo uomo”, dei capricci, molto probabilmente si sarebbe trasformata in un’operazione fallimentare. I due produttori in questione erano Alexander Korda, regista e produttore cinematografico ungherese naturalizzato inglese, specializzato più che altro in film in costume e David O. Selznick, il produttore per eccellenza, quello di “Via col Vento” e soprattutto dei film di Hitchcock girati dopo il 1940. Il primo con la sua London Film firmava un accordo di coproduzione con il secondo, assicurandosi di fatto la presenza di Alida Valli e Joseph Cotten entrambi divenuti popolari grazie proprio ai film di Hitchcock che Selznick aveva finanziato. Welles in realtà avrebbe dovuto girare poche scene: lui, “Il terzo uomo” cui il titolo fa riferimento compare dopo più di un’ora dall’inizio della pellicola.

Eppure forse, dopo “Quarto Potere” e “L’Infernale Quinlan” (capolavori entrambi diretti da Welles stesso) è proprio il noir di Carol Reed ,il film più conosciuto dell’attore statunitense, anche solo come immaginario distaccato dal contesto della pellicola. L’entrata in scena di Harry Lime, nascosto in un uscio, nell’ombra più oscura, resta una delle immagini più importanti e suggestive dell’intera storia del cinema ma anche dell’iconografia legata a Welles. Harry Lime/ Orson Welles racchiude in sé il senso dell’intera pellicola, che per Reed/regista doveva essere di puro intrattenimento mentre per Greene/ Sceneggiatore doveva rappresentare la metafora di un mondo nuovo, di un assetto geopolitico pericoloso e basato sul sospetto. Harry Lime è un angelo caduto, il prodotto del nuovo clima mondiale.La battuta più celebre del film, inventata dallo stesso Welles:

In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto guerra, terrore, omicidio, strage ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, con cinquecento anni di amore fraterno, democrazia e pace cos’hanno prodotto? L’orologio a cucù.

racchiude un’apologia del male come forza creatrice della storia, il potere della tensione come propulsore per il cambiamento.

Eppure erano parole inventate dall’attore, entrato in perfetta sintonia con il personaggio e con la sceneggiatura. “Il terzo Uomo” è una spy story perfettamente scritta da cui emerge un profondo esistenzialismo etico e morale, quella dimensione morale e di matrice cattolica di cui è pervasa l’intera opera dello scrittore. 

È la questione morale, quindi, che interessa a Graham Greene e lo rende esplicito nel famosissimo dialogo sulla ruota panoramica: l’ambiguità tra bene e male viene fuori in tutta la sua esplicita crudezza, nelle vite degli altri, trasformate in puntini insignificanti, una rappresentazione dello spirito di un’epoca che aveva da poco chiuso i battenti sul secondo conflitto mondiale e che lasciava i suoi strascichi nell’impoverimento dell’uomo sempre più bestia e meno umano e in un mondo frammentato e diviso a tavolino.L’attitudine dello scrittore collide con la visione del regista eppure ci convive, creando di fatto i presupposti per una pellicola che si spinge al di là dell’entertainment puro ma ne resta superbamente ancorata. 

Il primo settembre Harry Lime compie settanta anni eppure sembra davvero nostro contemporaneo. L’immagine cinica e calcolatrice del male, identificata nella coscienza corrotta e deviata di Harry Lime, resta uno stereotipo che resiste al passare del tempo.

Il terzo uomo è uno specchietto per le allodole per raccontare i presagi che Greene aveva sul futuro del mondo e nello specifico della sua Europa.

La storia di Holly Martins che indaga nella Vienna postbellica sulla morte del suo amico Harry Lime, un contrabbandiere di penicillina, venne in mente proprio a Graham Greene, in viaggio a Vienna in cerca delle atmosfere giuste per ispirarsi per la scrittura di un romanzo. Grazie all’incontro con un cronista del Times, lo scrittore entrò in contatto con il mercato nero austriaco. Fu Reed a convincere Greene a trasformare quella che era una serie di appunti (il romanzo fu scritto durante le riprese del film) in una sceneggiatura, carpendo il potenziale cinematografico e commerciale del racconto. D’altronde “Il terzo uomo” è una pellicola che vive nei contrasti, innanzi tutto già nell’ambientazione: una Vienna divisa tra America, Russia, Francia e Inghilterra.

Graham Greene era lo Scrittore delle spy story e maestro della morale ambivalente, attentissimo anche per formazione personale (lui e sua sorella erano stati agenti segreti dell’MI6) alle questioni politiche del mondo moderno interessato a mettere a nudo il contrasto tra bene e male e soprattutto l’ambiguità di quest’ultimo, all’indomani del secondo conflitto mondiale in un Europa divisa, in cui gli alleati di ieri, si erano trasformati in nemici. In altre parole: l’inizio della guerra fredda.Un altro contrasto fondamentale è quello estetico, quello tra la luce e l’oscurità e che mantiene a distanza di settanta anni una forma smagliante. L’ombra nel film di Reed è davvero scura e la luce è davvero luminosa seppur centellinata. L’ombra comunica, è protagonista, assieme ai personaggi, della storia. Robert Krasker, che proprio grazie a questo film, due anni più tardi si porterà a casa un’Oscar, fotografa una Vienna distorta, cupa, asfissiante. L’idea di Reed era quella di girare un film claustrofobico, giocando con la luce e le inquadrature. 

Prima di ogni ripresa le strade di Vienna, venivano bagnate per ottenere un effetto riflettente, uno scintillio che avrebbe permesso di poter sacrificare luminosità a favore di ombre più decise. Per ottenere poi un senso maggiore di teatralità, Reed decise riprendere molte scene utilizzando inquadrature oblique, di espressionista memoria, e ricorrendo spesso all’utilizzo di lenti grandangolari. L’idea era quella di dare un’immagine di Vienna distorta, teatralizzata. Il film fu girato quasi interamente in esterna nella capitale austriaca, un’impresa del tutto nuova per una produzione inglese abituata agli studios e alle scenografie.  Ogni ombra e ogni inquadratura in questo film è attentamente significativa, studiata, come se si trattasse di una sequenza di quasi due ore di fotografie importanti, immagini che da sole sono fatte per raccontare una storia e che ricordano Cartier Bresson e soprattutto Sabine Weiss, con il suo sguardo sull’uomo e la vita di ogni giorno ma soprattutto con i suoi chiaroscuri imponenti. È un film in cui convivono narrazione ed estetica quasi maniacale.

E mentre le immagini scorrono cupe con un’ombra pesante e avvolgente, che pervade l’intera durata della pellicola, la colonna sonora scandisce il tempo e la tensione con un ritmo andante, quasi allegro in totale contrapposizione con la percezione dello spettatore.Niente violini, note alte, tromboni, rulli di tamburi, ma una cetra tirolese che suona un motivo  di Felliniana precognizione.  Anton Karas era stato scoperto per caso, dallo stesso regista, in un locale di Vienna e nonostante la fama che “Harry Lime theme” gli regalò, non scelse mai la strada dei grandi palcoscenici.  Il mondo scopriva uno strumento musicale sconosciuto, con un entusiasmo inaspettato. La musica fu stampata e venduta come 45 giri, restando ai primi posti delle classifiche statunitensi per ben quaranta   settimane.  Lo schema del plot si presenta come una formula originale e spiazzante che collide completamente con le regole della narrazione classica, reinventando di fatto la struttura alla base del noir e del thriller in generale.

Prima c’era stato “Quarto potere” che aveva di fatto intaccato la stabilità dello stile classico hollywoodiano, più in là ci sarà Hitchcock che con “Psycho” destabilizzerà lo spettatore ammazzando la protagonista a metà film, ne “il terzo uomo” l’attore più importante, la guest star, compare a pellicola inoltrata, prolungando di fatto l’attesa e l’interesse dello spettatore. L’atmosfera nebbiosa, pesante e fotograficamente affascinante non fanno altro che creare la giusta atmosfera, preparando di fatto un’entrata in scena a lungo anelata.“Il terzo uomo” rappresenta così uno degli esempi più virtuosi della cinematografia universale, un progetto complesso, con un’estetica affascinante e delle prove attoriali sbalorditive. Tutto finalizzato alla consacrazione di grande classico e di opera ancora oggi attuale e contemporanea.

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