Rebecca di Netflix, niente thriller psicologico, ma una ricca ricerca glam, tra scogliere e arredi

by Anna Maria Giannone

Prendete l’iconica prova di Hitchcock e dimenticatela. Se vi apprestate a vedere Rebecca di Ben Wheatley, già nella top ten in Italia tra i film Netflix più visti, non indugiate troppo in paragoni col capolavoro del 1940 del maestro del brivido. Il remake, pur restando fedelissimo alla trama, differisce quasi in ogni scena dall’originale adattamento cinematografico del romanzo di Daphne DuMaurier, tuttavia la storia è talmente ipnotica che resta comunque un film godibile. Se non altro perché invita a correre a riguardare l’opera di Hitch. O a cercarne la fascinazione per la prima volta.

L’utilizzo del colore rispetto al bianco e nero è il primo elemento stilistico che rende l’esperimento Netflix più vicino ad un elegante e conturbante drama in costume che ad un thriller psicologico, ansiogeno e pericoloso.

La storia è nota e si apre con il ricordo di un sogno. “L’altra notte ho sognato che tornavo a Manderley”. Una giovane e modesta ragazza, dama di compagnia di una facoltosa e bizzarra signora in vacanza a Montecarlo, si innamora di un ricco vedovo, Maxim De Winter, che la sposa subitaneamente, dopo una settimana di gite ed esplorazioni tra le bellezze mozzafiato della Costa Azzurra. Dopo il matrimonio i due novelli sposi partono in direzione Cornovaglia, dove l’uomo possiede una lussuosa e austera tenuta a Manderley. Qui l’inesperta nuova padrona di casa entrerà nel mistero della prima moglie deceduta un anno prima, custodito dalla governante Mrs Danvers. Rebecca è una presenza ossessiva che non si vede mai per tutto il film, ma di cui si assapora l’essenza, la sicurezza, la perfezione, il fascino, il gusto sofisticato e anche la tracotanza baldanzosa di una ricchezza e una consapevolezza dei propri mezzi smisurata. Si arriverà a scoprire lo scandalo della sua morte, con un climax lieve, in cui la paura non emerge quasi mai. Il meccanismo psicologico del terrore, quel freddo che assale nel film di Hitch, non sfiora mai lo spettatore di Netflix, nonostante il tripudio sturm&drang della scogliera inglese e l’evocazione della tragedia in mare, che seppellisce Rebecca.

Un’altra differenza corposa rispetto al film del Maestro per cinefili è data dal cosiddetto Codice Hays, un insieme di standard volontari che Hollywood si impose dal 1934 al 1968.

Laurence Olivier non può uccidere Rebecca, che cade sbattendo la testa nel capanno dopo una lite col marito; nel film Netflix invece lui la ammazza, con un colpo di pistola. Per poi inscenare un incidente in mare, manomettendo il piroscafo.

Il film come l’originale è diviso in tre parti: il chiaro e gioioso innamoramento della coppia, solo scalfito qui e lì da qualche domanda di troppo della ragazza, la cappa della casa nella brughiera dove domina Rebecca, e il legal crime finale, che si chiude tra le fiamme di Manderley.

Tutti gli interpreti ovviamente avevano un compito troppo arduo, ma si può dire che se la cavano, chi più chi meno, abbastanza bene dentro la cornice di un thriller che ha perso tutta la carica orrorifica, per abbracciarne quella splatter. Lily James interpreta Mrs. De Winter che era Joan Fontaine nel film di Hitchcock, Armie Hammer, dopo il fantastico personaggio regalatogli da Luca Guadagnino in Chiamami con il tuo nome, eredita il ruolo che fu di Laurence Olivier, mentre Kristin Scott Thomas è Mrs. Danvers, che nel film precedente era una intensa e inimitabile Judith Anderson.

Tutti sono molto lontani dal modello originale. Lily James non ha l’incanto ingenuo di Fontaine, ma sembra solo una donna media baciata dalla fortuna, soltanto alla fine esploderà nel suo forte decisionismo e poi nella sua carica erotica. “Rebecca ti ha rubato l’ingenuità”, dirà il marito quando tutto sarà finito, prima di scorgere le fiamme.

Armie Hammer, troppo bello, biondo e perfetto per insinuare dubbi e sospetti, appare sì tormentato ma non ha quel male di vivere che Laurence Olivier trasmetteva ad ogni inquadratura. Non ha la sua violenza neppure quando la sposina scende impavida e ignara lo scalone della festa in maschera vestita e abbigliata come lo era stata Rebecca.

La grande attrice inglese è quella che fa meno rimpiangere l’originale, forse perché se ne discosta quasi totalmente. Kristin Scott Thomas sceglie le corde del rigore e del sentimentalismo materno, laddove invece Anderson creava un misto di morboso attaccamento a metà tra l’amore saffico e la dipendenza mistica.

L’originalità del film Netflix è nel mescolare sogno e realtà. Il sogno della protagonista irrompe nella vita diurna e crea un mix in cui lo spettatore si perde, ma la regia non ha dato troppo spazio a questa suggestione.

Grande messa in scena in costume, bellissime scenografie, le location sono valorizzate al meglio. Non si trema, non si teme mai per l’incolumità di Mrs De Winter, ma va bene così. Del resto, si può voler di più dall’home video internet?

Alla fine c’è anche un po’ di sesso, che non guasta mai. I muscoli di Hammer non potevano restare celati per troppo tempo. Le signore illanguidite ringraziano.

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