Anouk Aimée, la diva dolente e ribelle

by Orio Caldiron

Il volto dai tratti irregolari, il corpo sottile, i modi da ragazza borghese, ha solo quattordici anni quando un regista la ferma per la strada chiedendole se vuole fare del cinema.

Senza crederci troppo, negli anni seguenti Anouk Aimée – nome d’arte di Françoise Dreyfus, figlia degli attori Henry Dreyfus Murray e Geneviève Sorya, è nata a Parigi il 27 aprile 1932 – appare in una decina di film di Calef, Cayatte, Astruc, Becker, Franju, Duvivier, il meglio e il peggio del cinema francese prima della Nouvelle Vague. Fino a diventare una specie di mascotte nel mondo a sé di Saint-Germain-des-Prés, dove si danno appuntamento scrittori e cineasti, tra il Café de Flore, il Deux Magots, e il cabaret La Rose Rouge. A vent’anni ne sposa il patron, il regista-produttore greco Nico Papatakis, il padre di sua figlia Manuela. Si sposerà più tardi con il cantante Pierre Barouh e poi con l’attore Albert Finney.

Soltanto l’incontro con Federico Fellini per La dolce vita (1960) le fa scoprire la magia del cinema, affascinata dall’alchimia dei numeri con cui il maestro dirige gli attori: “Uno, due, tre, quattro. Sul tre un po’ più d’amore, per piacere!”. Come una nuova nascita, la sua carriera di attrice ricomincia da capo quando Maddalena, elegante e misteriosa dietro gli occhiali neri, entra nel night di via Veneto e ne esce con Marcello Mastroianni. Tra il lampeggiare dei flash dei paparazzi, se ne vanno sulla cadillac di lei fino a raggiungere la terrazza del Pincio dove trovano una prostituta. Fanno l’amore nello squallido scantinato della donna, attratti dal gusto dell’orrido. Nella stanza degli echi del castello di Sutri, Marcello si finge innamorato, ma lei, abbracciata a uno sconosciuto, non lo ascolta più. Nel 1963 Anucchiana è di nuovo accanto ai suoi amici italiani in , dove impersona con trepida fermezza la moglie del protagonista sopraffatta dalle bugie del marito.

Jacques Demy le offre con Lola, donna di vita (1961) uno dei ruoli più memorabili. Sguardo sfrontato, guêpière nera, capelli al vento, è un’immagine irresistibile in cui la maliziosa sensualità si accompagna alla leggerezza della favola, quasi una testimonial dell’eros che va trionfante verso il lieto fine. Ma è il clamoroso successo di Un uomo, una donna (1966), il campione d’incassi di Claude Lelouch, la svolta decisiva. Il fotoromanzo della script-girl e del pilota di rally che s’incontrano, s’innamorano, si lasciano, si ritrovano, tra Deauville e Montecarlo, slanci romantici e soprassalti del passato, conquista il pubblico e ne fa una star internazionale.

Senza rinunciare al teatro e alla tv, nel suo inquieto nomadismo incarna il glamour europeo in un gran numero di film di diversa nazionalità, da Una sera… un treno (1968) di André Delvaux a Rapporto a quattro (1969) di George Cukor, da Salto nel vuoto (1980) di Marco Bellocchio a Prêt-à-Porter (1994) di Robert Altman, variando con sottile intelligenza il personaggio dolente e ribelle in cui si riconosce. Pronta a rivelarsi alla macchina da presa che, dice, è in grado di scoprire in ognuno di noi cose che noi stessi ignoriamo.

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