Marlene Dietrich, la diva di Berlino

by Orio Caldiron

Quando François Truffaut fa dire a un suo personaggio che le gambe delle donne sono compassi che misurano il mondo in tutte le direzioni, non pensa alle mitiche gambe di Marlene Dietrich – nata a Berlino il 27 dicembre 1901 e morta a Parigi il 6 maggio 1992 – che hanno contribuito a fare di lei una delle protagoniste di primo piano della storia del divismo.

Sin dall’apparizione a cavallo di una sedia in L’angelo azzurro (1930) di Josef von Sternberg, s’impone per la sua prorompente fisicità, dopo il lungo apprendistato nello spettacolo berlinese – cinema, rivista, varietà – degli inquieti anni venti. Ma non si può dimenticare che il film coincide con l’esplosione del sonoro senza il quale Lola Lola, la procace canzonettista del chiassoso locale del porto, non potrebbe cantare le maliziose canzoni che Friedrich Holländer ha scritto per lei, da “Sono fatta per l’amore dalla testa ai piedi” a “Sono la pimpante Lola/la beniamina della stagione/Ho una pianola/nel salotto di casa mia” e “Ragazzi, stasera cerco un Uomo, un vero Uomo”. Se nella guerra delle star Greta Garbo si adatta riluttante a parlare, Marlene sfrutta la carta vincente del canto.

L’Angelo Azzurro

Hollywood si affretta a mettere sotto contratto la coppia Sternberg-Dietrich, il regista pigmalione e la sua attrice, che è al centro dei sei film americani da Marocco (1930) a Disonorata (1931), da Shanghai Express (1932) a Venere bionda (1932), da L’imperatrice Caterina (1934) a Capriccio spagnolo (1935), altrettanti melodrammi che esasperano il personaggio della diva nella enfatica sovrabbondanza delle scenografie, dei costumi, delle acconciature sempre più barocche. Il gioco della luce e dell’ombra che domina l’illusionismo sternberghiano s’incontra con la ricercata eleganza dello stilista Travis Banton e il gusto alla Rembrandt dell’operatore Lee Garmes per dare vita alla nuova immagine divistica di Marlene, studiatissima e ridondante, levigata e irrealistica, sempre in bilico sul kitsch. Un’icona costruita a tavolino che soltanto Angelo (1937) di Ernst Lubitsch riesce a far scendere sulla terra, nella spensierata Parigi degli intrighi amorosi e delle ambiguità sentimentali.

Scandalo internazionale (1948) di Billy Wilder recupera la Marlene autentica e spudorata dei cabaret berlinesi degli inizi e le fa intonare la canzone del fedele Holländer che sullo schermo appare di persona al pianoforte dietro di lei: “Vuoi comprare illusioni/appena usate, di seconda mano?/Son piacevoli illusioni/che volteggiano in alto/costruite sulla sabbia. Siamo un po’ di Paradiso/un incanto che non puoi spiegare/perché in questo pazzo Paradiso/l’amore ti fa male./Vuoi comprare illusioni/appena usate, come nuove/romantiche illusioni/che riguardano anche te/le vendo per un penny/come souvenir/compra le mie illusioni/un po’ per celia, un po’ per non morir”.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.