Gli itinerari vitali di Romano Conversano, da le bateau ivre alle donne di oggi

by Teresa Rauzino

Romano Conversano lavora i colori sulla tavolozza. Colori con prevalenza di verdi e di azzurri. Quella tavolozza la usa dal lontano 1943. E’ in  legno di noce, alta soltanto 3 millimetri. Ormai è stratificata dal colore. Nonostante la ripulitura quotidiana, a fine giornata, del colore residuo, si è ispessita. Il colore ne è parte integrante. Organico. L’artista lavora di pennello, ma anche spandendo il colore con le mani, con i polpastrelli delle dita.

Nel suo studio di Milano sta dipingendo una Donna d’oggi. Colpiscono i suoi occhi intensi. In tensione quasi orgasmica. In tranche creativa. Con a tratti improvvisi scatti di gioia. Quasi infantile, se non fosse per una certa emozione che vi traspare. Gli occhi grandi, celeste acqua, ti entrano dentro. Per catturare una luce, quella accuratamente nascosta nel profondo. Per far emergere il patos, l’animo greco…in una funzione quasi catartica.

L’artista racconta i suoi quadri… si lascia andare. Racconta i canoni della sua arte. Difficili da razionalizzare. Innati. Nel dipingere, a volte si sfrutta il suggerimento che viene dalla tavolozza. Accostamenti casuali di colori, che la tavolozza compone e scompone. L’artista ne capta il suggerimento, lo accetta. Il fatto stesso di accettarlo è indice di umiltà. Ma il vero artista non rinuncia al suo estro. Di suo, aggiunge il tocco, le scelte coloristiche, le pennellate. E’ orgoglioso di averlo proposto come percorso lungamente maturato in sé. Un percorso disordinato per la varietà dell’ interesse della maturazione artistica, dei vari momenti creativi. C’è di tutto,  in mezzo. Molto disordine e tante suggestioni.

LE BATEAU IVRE E I CARGHI 

Nel 1951 la pittura di Romano Conversano è tonale. Tonalità di colori bassi, sobri, minori, come quelli della scala musicale, ma con i brividi tipici dei cori a bocca chiusa. Un tema è Venezia, una delle sue patrie dell’anima. Una luguna sfinita, ma nel tempo stesso dolcissima, sciroccosa.  I cantierini navali, i piccoli arsenali, da passione letteraria diventano ben presto passione pittorica.

Sono l’incarnazione di un topos letterario,  le bateau ivre di Rimbaud.
I cantieri emergono dal passato dell’artista. Un ramo collaterale della sua famiglia costruiva negli squeri, nei cantieri del legno, delle belle, grandi barche a tre alberi. In mare alto, e come sempre nella vita avviene, esse si squassavano durante le tempeste, ma  riuscivano a tornare quasi sempre in porto. I grandi battelli correvano le avventure della vita, partendo dai cantieri istriani, ma poi tornavano. Anche se sfiniti. Per morire. Per disfarsi pian piano. Qui, nel canterino intriso di tutte le salsedini del mondo. Dove erano nati. 

Anche i carghi sono il residuo di storie portate dentro fin dall’infanzia. Dalle finestre di Rovigno a picco sul mare, Romano Conversano, da bambino le vedeva passare di frequente. Trasportavano la bauxite da Istria a Venezia. Non avevano le forme belle delle navi e delle barche che solcano i mari, ma erano portatori di una  tristezza fatale. Il ricordo affiora vivo: «Mi angustiava nel colmo della notte udire le loro urla strazianti, erano solo i rumori di catene e di ancore arrancanti, prodotti dalla manovra in porto. I carghi si giravano pian piano e andavano verso la notte…. Sparivano. Io ero piccolo, piccolo. Affranto da questa vicenda esistenziale”. Una precoce sensibilità di artista gli fa captare il mistero. Al di là del visibile…».  

I TRABUCCHI DEL GARGANO E LA CAMARGUE

Dalla pittura tonale, Conversano passa all’accensione dei colori. Vitalistica. Dentro una natura di pace e colore vanno fremendo strutture fantastiche. I trabucchi,  marchingegni che sembrano inventati da Leonardo, con paranchi, tiranti, incarnano una tensione non solo strutturale. Una tensione interiore. Da queste lunghe antenne protese sugli speroni di roccia di Peschici, partono delle grandi immense reti, giù, nelle acque profonde del mediterraneo Adriatico. Un tempo davano pescate miracolose, oggi sempre più misere.
Qualche intervallo di natura morta, in una gamma di infinite suggestioni.
E fu il giorno uno. Un titolo biblico per una serie di paesaggi della Camargue.

E’ un altro tema caro a Romano Conversano. Nel giorno primigenio avviene la divisione delle acque dalla Terra. Un  trauma brusco, che emerge dalla luce, dal fango. E tutto accade di fronte ad una Natura stupefatta.

DONNE CHE ESCONO DI SCENA …

Il tema più caro e struggente di Conversano è quello delle Donne di oggi. Piene di misteriosa bellezza interiore. Di profondo patos. Gli sguardi di queste donne sono diretti. Franchi. Profondi. Interroganti. Pretendono di mettere a nudo il cuore vero di chi procura, anche se inavvertitamente, le loro ansie angoscianti.  Il loro nascosto dolore.

Anche questo tema è denso di evoluzione. Si passa dal Grande nudo, nudo di donna, monumento di soda plasticità, alla sagoma di una Bagnante che si spoglia nel bosco, in mezzo ai verdi e ai bruni.

Colori che si fondono nella vegetazione. in un’atmosfera particolare, di magia. In una riuscita metamorfosi.  Due le  varianti di colore, il pallido ed il rosato, un’eccezione nel colore predominante della pittura verdastra di Romano Conversano.
Uno dei primi quadri staglia la figura marmorea di Giacomina, di una bellissima fisicità. E’ la donna vista ancora con i canoni espressivi del passato. Si vede dalla gamma dei colori misurati, interni, soliti. Quasi ottocenteschi. Il viso raccolto in uno sguardo attonito annuncia l’espressività dolente, la ricerca interiore delle Donne d’oggi.

Colpisce, fra queste, una Donna duna, stagliata in una fisicità fusa con una duna sabbiosa. Certi avvallamenti sono nella monumentalità, nelle dolci naturali curve del corpo femminile. Un universo misterioso, penetrato nella sua essenza vera. Essenza rivelata dallo sguardo della donna. Vi sgorga l’animo inquieto. Tirato fuori solo dall’artista e ignoto agli altri. Emerge l’animo greco, drammatico. La profonda, incompresa solitudine interiore. Dolore atavico che non trova riposo nel denso pensiero. 

I nudi non sono di una bellezza canonica, da Accademia; sono proposte di tormento esistenziale, di dolori intensi, nascosti, sempre da considerare. Emblematica una Donna che esce di scena. E’ il primo di una serie di dipinti in cui Romano Conversano ha cercato di figurare l’evoluzione di sgomenti esistenziali, di solitudini interiori, con prese di coscienza e ribellioni. L’artista riesce a rendere pienamente il punto di vista femminile.

La donna che si propone con densità è materia interessante, intensa nel suo divenire. In un viso di una Donna d’oggi è tutto in funzione dello sguardo di una donna al guado dell’età di mezzo, cinquanta anni, che si sente appassire dolcemente. Fa parte di quella teoria di occhi inseguita e  cercata in tutta la serie delle Donne d’oggi.

VISIONI DI PUGLIA ANTICA

Infine l’incontro con la Puglia, con una natura primigenia. Dal cielo piove raramente, l’acqua viene assorbita dalle cavità, dagli inghiottitoi  carsici in un istante,  ma la pioggia in poche ore rende rorido un paesaggio accecante e assolato. Le sorgenti carsiche esprimono un vitalismo vivace e pieno di fremiti. Ad incarnare questa vitalità è la sorgente, che scorre libera in mezzo ad una fitta vegetazione. La serie di dipinti ispirati al Gargano evoca risonanze della Grecia,  madre culturale di questo pezzo assolato di Sud mediterraneo.   «Forse la guerra di Troia – osserva ad un certo punto Conversano-  si sarà svolta in mezzo ad uno di questi cortili. Il senso epico di Omero emerge da questi piccoli spiazzi». Le visioni della Puglia Antica  focalizzano l’’incontro con il Gargano, con le sue cupole delle sue case pallide che fanno tanto Mediterraneo e Grecia. Ecco le case di Peschici, affascinanti nel loro misticismo strutturale.

Le povere case di Peschici si ergono maestose come gli altari. Altari dei poveri. Romano Conversano ne scopre gradualmente la struttura, la scansione architettonica. Un’architettura sorgiva, affascinante. Nessun architetto avrebbe potuto crearla ex novo, fare meglio dei mastri muratori del luogo, che l’hanno strutturata spontaneamente. Le vestigia più antiche risalgono al 1600. Nel 1957, quando l’artista scopre Peschici,  erano ancora ben visibili.

LE FOTO DI PESCHICI 

La macchina da presa scorre. Romano Conversano mostra dei provini di fotografie. Foto oggi esposte al Castello. Mediterraneo e  Grecità si fondono negli scorci ripidi di rara bellezza del Borghetto a Mare, su cui si erge la sagoma dell’antico maniero, fotografato con rara maestria in uno stupendo Bianco/nero. Ancora le immagini delle case a cupola che incantarono grandi artisti come Manlio Guberti, Alfredo Bortoluzzi, che in quegli anni scelsero Peschici come luogo da vivere. Le foto di Conversano sono le più belle, le scattò negli anni Cinquanta con una Laika. L’artista viveva nel Castello sulla Rupe, 90 metri di vertigine. A picco sul mare. Costruito al tempo di Federico II, successivamente fortificato come baluardo contro gli attacchi della pirateria dalmata e turca. Egli lo trasformò da stalla in dimora d’eccezione, meta di artisti ed intellettuali italiani e stranieri. Il Castello è chiamato A’ mamm u uent,  la mamma dei venti. Questo appellativo gli evocò forse consciamente quel passo dell’Odissea in cui è descritta la dimora di Eolo, il re dei venti. Su una sporgenza del Castello, Romano Conversano pose una canna sporgente, vi sospese delle lunghe corde di chitarra, fatte di budella e acciaio. La canna sporgeva sopra il mare, in un punto a strapiombo dove il vento imperava sovrano. Era un’arpa naturale. Dava dei suoni incredibili, struggenti, da far vibrare le viscere. Accordi e dissonanze evocavano particolari musicalità grecaniche e, a tratti la suggestione del pianto delle prefiche tipico della ritualità del trapasso, a Peschici, ancora agli inizi del Novecento. “Quanta vita, mamma mia!”, si lascia sfuggire l’artista nel ricordo. Sgomento.


Scorrono altre immagini. Mostrano delle foto scattate nello studio in via Rossini, un vero studio di pittore con una vetrata lunga 6 metri. Una foto con l’autoscatto: Romano Conversano, con il suo camice intriso di colori,  in mezzo ai quadri delle sue Donne. Un’altra immagine gli evoca la sua permanenza a Parigi nel 1946, subito dopo la guerra. Ancora una sequenza dell’artista mentre modella il colore su un nudo di donna.
Ecco, ora l’artista ci mostra uno specchio. E’ quello di suo nonno. Gli evoca un quadro fiammingo. Non ne ricorda l’autore, né il titolo; soltanto due persone con l’immagine rifranta da uno specchio convesso. Che deforma, ingrandisce, crea nuove irreali immagini. Come la sua, che si fonde forse con quella del nonno, da cui ha ereditato il DNA  artistico.


Un’altra foto lo ritrae mentre sta facendo un ritratto: Romano Conversano è concentrato, socchiude gli occhi, in tensione creativa. Una creatività, la sua, in continua evoluzione, in perenne ricerca… sull’onda di quello che la vita costruisce. Tra carezze e sciabolate, entusiasmi ed abbattimenti. Come nella vita di tutti, d’altronde… L’artista forse è più fremente rispetto all’uomo comune, con dissonanze suggestive. Scorrono ancora i quadri, mentre egli chiude le finestre del suo studio, nel sottofondo di una musica suggestiva. Lentamente. Le riaprirà alle luci del nuovo giorno…per ricreare ancora una volta la magia del suo tratto e del suo colore. Magia rarefatta. Espressa con segni profondi. Come i segni incisivi e laceranti della vita.




]Il documentario “Romano Conversano, pittore” è stato realizzato dal regista  Manuele Cecconello – Picture Nevkij.
Le opere  di Conversano sono tratte dal sito personale dell’artista: http://web.tiscali.it/romanoconversano/opere8.htm


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