“Helmut Newton. Legacy”, all’Ara Pacis il viaggio del fotografo di moda che ha esplorato le donne spogliandole di pudori e visioni stantie

by Michela Conoscitore

Controverso, dissacrante, geniale: il museo dell’Ara Pacis a Roma accoglie nelle sue sale la mostra antologica “Helmut Newton. Legacy”, dedicata al fotografo australiano. Visitabile fino al 10 marzo del 2024, oltre ai lavori più celebri dell’artista, che hanno fatto la storia delle riviste di moda come Vogue, il percorso espositivo dà la possibilità al visitatore di scoprire ben ottanta inediti, per la prima volta in esposizione. Inoltre, nel percorso di visita, sei opere significative dell’artista si prestano ad una visione tattile, per un’esperienza di visita inclusiva.

Visitare questa mostra equivale ad andare alle radici della fotografia di moda, di cui Newton è stato pioniere oltre che inventore. Il ‘viaggio’ comincia a Berlino, dove Helmut Neustädter nacque nel 1920, in un abbiente famiglia ebrea. Dopo un primo apprendistato presso lo studio della fotografa Yva, Helmut fu costretto a lasciare la Germania per via delle persecuzioni razziali. Il futuro fotografo, dopo un breve soggiorno a Trieste, si rifugiò in Australia; una volta qui, abbandonò la sua identità tedesca, e prese come cognome l’anglofono Newton. La sua nuova vita lo spinse ad aprire un piccolo studio di fotografia. Incontrò l’attrice June Browne, che di lì a poco sposò.

Il percorso espositivo procede per decadi, in tutto sei capitoli cronologici. L’evoluzione artistica del fotografo è stata continua e inarrestabile: si inizia con i primi anni, dove i soggetti e le ambientazioni preferiti di Newton erano, tra gli altri, la moglie June, che divenne poi sua assistente di camera oscura, e i grandi film dell’epoca, quelli di Alfred Hitchcock in testa. Ritratti sofisticati, bilanciamenti sapienti di bianco e nero rendono questi primi scatti un eccezionale punto di partenza per chi, come Newton, il mestiere lo stava inventando mentre lo praticava.

Da ispirato divenne ispiratore: tra gli anni Sessanta e Settanta trovò la sua inesauribile vena d’oro, e iniziò a dettare i canoni della fotografia di moda. Nel suo mondo c’è spazio per la bellezza, rivisitata alla luce di quel suo coacervo interiore da cui sprigionava energia innovatrice. Star del cinema, modelle, tematiche a lui care come quella del doppio, ne è un esempio lo scatto a Karl Lagerfeld, i ritratti di Newton sono irripetibili, solo copiabili. Alle foto patinate lui preferiva ritrarre Jerry Hall con una bistecca cruda sull’occhio. A tratti può risultare grottesco e disturbante, ma i suoi Big Nudes e la serie Naked and Dressed sono entrati nella storia della fotografia del Novecento.

L’opera di Newton si presta a molteplici letture, con un’unica matrice: tutto quel che veniva fuori dal suo obiettivo era un qualcosa di assolutamente mai visto, che potesse piacere oppure no. Si è tanto parlato di come il fotografo ha scelto di ritrarre, in anni di carriera, le donne. Volti famosi o meno, le immagini femminili firmate dal fotografo australiano hanno accompagnato l’evoluzione sociale delle donne, passando da manichini ammanicati a occhi che osservano divertiti e bocche che sorridono ammiccanti, davanti ad un esponente del sesso maschile (Donna che esamina un uomo, Vogue 1975). Nella sua visione, la donna doveva essere esplorata, raccontata, ma in modo finalmente spregiudicato, spogliandola non solo dei vestiti, ma anche di pudori e visioni stantie. A questa visione hanno collaborato tutte le riviste di moda con cui Newton ha lavorato, che gli hanno lasciato piena libertà. I cambiamenti sociali, quindi, sono essenziali nell’espressione artistica del fotografo, che a volte li segue, ma più spesso li forza.

L’eredità di Helmut Newton sta nei ritratti che oggi, a distanza di trenta, quaranta o cinquant’anni parlano ancora la nostra stessa ‘lingua’, che riusciamo a codificare, e che vogliamo instancabilmente guardare.

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