Il MarTA raddoppia gli introiti grazie al digitale. Eva Degl’Innocenti: «Bisogna concepire il museo come un’unione di elementi.»

by Michela Conoscitore

È stata nominata direttrice di uno dei venticinque musei ad autonomia speciale a 39 anni: il museo è il MArTA di Taranto e lei è la direttrice Eva Degl’Innocenti. Per la città dei due mari il Museo Archeologico oggi rappresenta un motore propulsivo non solo di cultura, ma anche di energia che beneficamente la investe tutta, facendole scrollare di dosso recenti ignominie e la polvere dell’ILVA.

Merito della dottoressa Degl’Innocenti che ha messo a frutto l’eccellente preparazione accademica italiana, mescolandola alla sagacia dei cugini d’Oltralpe, poiché in Francia dove la direttrice ha lavorato prima di arrivare a Taranto, da sempre nutrono una sensibilità particolare verso il proprio patrimonio culturale. Al MArTA, in sei anni, Eva Degl’Innocenti ha rivoluzionato tutto, vivificando un museo attivo fin dal 1887 ma per molti anni, poco valorizzato. In Puglia, il Museo Archeologico Nazionale di Taranto oltre ad essere stato il primo museo ‘territoriale’ ad essere istituito, è lo snodo obbligatorio per approfondire la significativa antichità pugliese troppo spesso bistrattata.

bonculture ha intervistato Eva Degl’Innocenti per farsi raccontare i segreti di questo successo.

Direttrice Degl’Innocenti il ‘motto’ del MArTA è “Past for Future”, perché lo ha scelto per rappresentare il museo?

Questa scelta è legata ad uno dei miei grandi maestri, il professor Riccardo Francovich, ricordando uno dei concetti che lui ci proponeva spesso: bisogna conoscere il passato per comprendere il presente, e costruire il futuro. Quindi passato, presente e futuro sono legati tra loro, al contrario di quel che si crede solitamente. Sulla nostra Storia, possiamo costruire una società che possiede valori, e abbia ben presente il concetto di civiltà nelle comunità umane. Inoltre, non volevo fornire una visione passatista dell’archeologia ma immersa nel contemporaneo e proiettata nel futuro.

Taranto è una città complessa, spesso se ne sente parlare per argomenti e problematiche che mettono in luce solo determinati aspetti, negativi, della propria presenza nel mondo. Il MArTA com’è connesso con la città? E come vi state adoperando per i più giovani?

Il MArTA appartiene al territorio, racconta le storie di uomini e donne che hanno vissuto qui e della sua centralità nel Mediterraneo. Un museo diffuso, che come un avamposto permette il collegamento tra i reperti e i contesti a cui appartengono. Da quando il museo ha acquisito l’autonomia speciale, portiamo avanti una co-progettazione continua con i vari enti presenti sul territorio, specialmente col Comune di Taranto e si esplicano con progetti operativi, protocolli d’intesa, convenzioni e accordi quadro. Intratteniamo queste collaborazioni non solo con gli enti territoriali, ma anche con università, centri di ricerca e associazioni. Quindi numerosi progetti vedono legato il MArTA al tessuto associativo cittadino. Per i giovani, abbiamo ideato dei progetti ad hoc, per bambini e adolescenti, dai progetti scolastici come l’alternanza scuola-lavoro, ma anche con le case famiglia e in contesti sociali disagiati. Abbiamo partecipato anche al progetto Neet di Unicef Italia, dedicato a quei giovani fuori dalla società che con la cultura possono sperare di avere un futuro. Senza dimenticare i progetti di educazione e ricerca per il pubblico con disabilità, e il processo di digitalizzazione e innovazione che si è espresso, tra le altre iniziative, col videogioco Past for Future (che ha riscosso grande successo di pubblico e mediatico, ricevendo il premio per Miglior progetto digitale per i Beni Culturali nel 2018 dalla rivista ArtTribune ndr.).

Direttrice la sua è una gestione fresca e propositiva, anche adesso che il museo è chiuso al pubblico causa Covid, le attività comunque fervono al suo interno. Ci può raccontare delle iniziative che offrite digitalmente a chi segue il MArTA?

Innanzitutto i Mercoledì del MArTA, i nostri incontri seminariali che per raggiungere tutti sono in modalità online su YouTube e Facebook, si ha l’opportunità di seguirli in diretta ma anche in un secondo momento. Questa iniziativa è stata un successo perché ha ampliato il numero di persone che ci segue, potendo fruire di questi contenuti anche a distanza. Poi ci sono i MArTA Lab, attività progettuali rivolte ad un pubblico giovane, ma non solo. Siamo l’unico museo in Italia ad avere un FabLab, ovvero una sorta di officina per la produzione di contenuti digitali: offriamo attività di didattica a distanza, laboratori per l’e-learning che danno la possibilità a tutti di apprendere la riproduzione tramite stampanti 3d e scanner delle nostre collezioni, ma anche i principi che sono alla base della robotica e della tecnologia applicata ai beni culturali.

Tra le varie iniziative, anche quella speciale per Natale: la Christmas Card del MArTA sono state molto apprezzate e permesso a visitatori provenienti dall’Irlanda, Francia e perfino Giappone di effettuare una visita al museo, seppur virtualmente, come regalo. Pensa che questa potrebbe diventare una consuetudine, l’opportunità di conoscere il museo non potendo essere fisicamente a Taranto?

Le dico che nel dicembre 2020 abbiamo più che raddoppiato gli introiti rispetto a dicembre 2019, quindi a museo chiuso. Non escludiamo le opportunità che offre il digitale, anche se non potrà mai sostituire la visita dal vivo nel museo. Quello che faremo per il prosieguo sarà di offrire un’attività complementare, visite in presenza e contenuti digitali, che non siano in contraddizione tra loro ma che offrano al visitatore un’esperienza ancora più completa.

Direttrice, dal 2015 dirige il MArTA. Prima ci sono stati anni importanti per lei in Francia. Cosa le ha insegnato l’esperienza Oltralpe e cosa ha portato di quell’esperienza a Taranto?

In Francia ho compreso che i musei sono anche delle strutture gestionali, non soltanto un mero contenitore o espositore di reperti, ma uno spazio di vita. Inoltre il museo è uno strumento importante di cittadinanza attiva, e deve possedere una funzione educativa e sociale, contribuendo allo sviluppo di una società. Quindi dev’essere al servizio delle comunità, a partire da quella più prossima, ovvero quella locale. Soprattutto deve essere un motore di sviluppo, socio-culturale, ma anche turistico ed economico. La Francia, inoltre, mi ha insegnato l’importanza del metodo e della progettazione a lungo termine: ogni iniziativa deve avere degli effetti a corto ma principalmente a medio e lungo termine. L’importanza di concepire una progettualità strategica scientifico-culturale, affinchè si delineino gli orientamenti futuri della propria azione. Non deve mancare un ottimo piano finanziario, poiché la struttura deve assicurare una sostenibilità economica. La Francia rispetto all’Italia era più avanti, anche per gli standard internazionali, nella gestione dei beni culturali. Bisogna concepire il museo come un’unione di elementi.

Andando più nello specifico, in quali aspetti differisce la gestione dei beni culturali tra le due nazioni?

Oggi sono molto più simili rispetto al passato, perché la recente riforma italiana si ispira molto al modello francese. La Francia è un paese più centralizzato, mentre l’Italia possiede più autonomie regionali, che può rappresentare un elemento positivo perché rispecchia la storia italiana. Quello che oggi le differenzia, riguarda i concorsi: in Francia sono nazionali, ma per quanto riguarda la cooptazione le selezioni sono fatte anche a base locale dato che ogni struttura museale pubblica i profili professionali di cui ha necessità. Per esempio, io archeologo scelgo di lavorare al MArTA se sono interessato al MArTA, secondo me c’è un’attenzione maggiore da parte loro in questo senso. Sono indetti più concorsi, in Italia ciò avviene sempre più raramente. In Francia esiste un turnover, non si verificano problemi di sottorganico permanente come da noi. Il problema, in passato, riguardava più i finanziamenti, cosa che sembra essersi risolta oggi ma si tratta anche di scelte politiche italiane. Con la riforma Franceschini abbiamo assistito ad un cambiamento notevole, ma la Francia rimane una nazione che investe molto più di noi in ricerca e cultura.

La scorsa estate Chiara Ferragni ha visitato il MArTA con Maria Grazia Chiuri, direttore creativo della maison Dior. Come non hanno graziato il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, sull’accogliere l’influencer, non hanno risparmiato critiche nemmeno a lei direttrice. Come spiega questo settarismo snob da parte dell’opinione pubblica in Italia?

Nel modo più deleterio del termine, credo che questo atteggiamento sia legato ad un certo nostro conservatorismo che spesso viene dall’interno, dai professionisti della cultura. Un luogo culturale non può parlare solo a pochi adepti o agli accademici, un museo è per tutti e di tutti, tanto più quando si parla di un museo pubblico come nel caso del MArTA e degli Uffizi. Quindi è chiaro che si deve rivolgere a vari target di pubblico che possiedono registri linguistici differenti. Ovviamente non posso rivolgermi all’adolescente come se parlassi ad un adulto. I musei hanno il dovere di prendere in considerazione le varie tipologie di pubblico a cui si rivolgono. La collaborazione del museo con Dior è solo uno degli elementi messi in campo per raggiungere i più giovani. Le ritengo polemiche sterili perché il MArTA non parla agli adolescenti solo attraverso un’influencer, in realtà il percorso è molto più complesso ma soprattutto più completo. Le ho raccontato prima le nostre iniziative dedicate ai ragazzi. La visita di Chiara Ferragni e Maria Grazia Chiuri è stato un elemento di recall che aiutato sicuramente il MArTA. Come lo è anche la nostra presenza sul social Tik Tok.

In merito al vostro arrivo su Tik Tok, perché avete deciso di partecipare a questo social?

Ci siamo resi conto che è un social molto importante, soprattutto per i millenials. Era interessante essere presenti. Esserci, però, con rigore, offrendo contenuti ricchi di significato e che abbiano una funzione educativa, pedagogica e culturale. Utilizziamo le forme tipiche di linguaggio di quel social network ma in modo sapiente.

Direttrice, per lei i social nella comunicazione museale sono diventati imprescindibili?

Assolutamente sì.

Ma per raggiungere tutto il pubblico o solo determinate fasce di esso? Estendono il messaggio di un museo?

Esatto, lo estendono. Anche a livello di marketing, ci permettono di sviluppare dati statistici ulteriori con cui fare un’analisi sul successo del MArTA in modo più completo. Otteniamo, inoltre, una profilazione dell’utente ancora più completa grazie ai social, quindi sono alcuni degli elementi che concorrono all’esito positivo della strategia comunicativa di un museo. È giusto, comunque, portare avanti una comunicazione tradizionale che si rivolge ai giornali e alla carta stampata.

Qual è il suo bilancio di questi sei anni al MArTA e quali sono i suoi progetti per il futuro del museo?

Il bilancio è molto positivo, escludendo il periodo del Covid. Pensando da quando il museo è diventato ad autonomia speciale fino ad oggi abbiamo registrato un incremento di circa il 50% dei visitatori e un +80% di introiti. Sono contraria a valutare i musei come numerifici per valutare le loro performance, però i dati sono inconfutabili. Ma il dato più interessante riguarda i tarantini che visitano il MArTA, e i pugliesi in generale, prima venivano poco al museo. La crescita del MArTA ha soprattutto contribuito allo sviluppo del territorio, all’aumento di autorevolezza della città di Taranto che fino ad alcuni anni fa era associata esclusivamente ad elementi negativi. Quel 50% in più di visitatori hanno attivato un circuito economico virtuoso di cui hanno beneficiato alberghi, ristoranti e altre strutture ricettive.

Quindi il MArTA è diventato un attrattore per la città…

Non solo un grande attrattore culturale, io direi soprattutto un attivatore di progetti.

Siete pronti per una spero più prossima possibile riapertura del museo?

Sì, dipenderà anche dalle circostanze. Noi continueremo ad essere sempre aperti, seppur virtualmente perché perseguiremo sempre l’obiettivo del museo come attivatore di cittadinanza attiva.

Diadema della Tomba degli ori di Canosa – Sala XII – fine del III sec a.C.

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