Valentina: l’arte e il racconto di Mentana&Petrilli

by redazione

Il racconto che segue si intitola “Valentina”, scritto da Umberto Mentana, docente di sceneggiatura per il fumetto presso la Scuola di Fumetto Inkiostro – sede di Foggia e autore per le Edizioni Inkiosro, per NPE e per Aracne Editrice (la sua ultima pubblicazione è “Il cinema di Jim Jarmusch”, 2016). Il racconto è contenuto all’interno del primo volume de “Gli inediti di Biblon”, una collana di nove racconti inediti ora scaricabile gratuitamente online all’indirizzo: www.teomedia.it/prodotto/gli-inediti-di-biblon-vol-1.

Ad impreziosire il racconto, le illustrazioni di Giuseppe Petrilli, artista lucerino conosciuto per la sua innovativa produzione artistica e digitale. Scrittura e arte si uniscono in un racconto breve, uno spazio di parole e immagine per raccontare un frammento di vita: una sensazione preziosa e già svanita, uno sguardo profondo e già volato.

VALENTINA

Valentina era una fotografa e i suoi occhi azzurri spiccavano dalla testa come un enorme balzo nella quiete pomeridiana.

– Quindi tu sei Alberto? – mi disse, sostenendo la voce con un timbro imponente.

– Sì, sono io. Ti hanno parlato tanto male di me quegli altri? – risposi timido, indicando la colonia di gente accalcata davanti al disco pub in attesa che aprisse.

– Anche tu qui per l’inaugurazione? – continuai, noncurante della sua incredibile bellezza.

– A quanto pare… Ma sai, un giorno qui, domani di là, sempre la stessa solfa. Siamo eterni viaggiatori di una statica linea orizzontale. –

Era una bella frase e, pronunciata da quelle labbra gentili e affusolate, mi fece tremare un po’.

Valentina si sistemò la sua frangetta maltrattando i suoi capelli d’ombra.

– Vieni, Alberto. Non restare solo, ti presento qualcuno. –

Avrei voluto risponderle che mi bastava solamente lei, così perfetta: la sua voce, i suoi occhi, il suo corpo slanciato e modellato come la più perfetta delle immagini.

Mi basti tu, Valentina! Non lo dissi, sia chiaro, avrei tanto voluto ma non potevo. Chissà, forse era fidanzata, se non addirittura sposata, sebbene la sua giovane età. No, non lo era. Sensuale sì ma era fascinosa, graziosa, da accudire segretamente: era preziosa. No, non poteva essere assolutamente come tante altre. E difatti non lo era.

Ammirata, agognata per lungo tempo e da segrete distanze, la aspettai, finii per perdermi nei suoi giochi, nei suoi scatti immortali e di peculiarissima arte. Volevo farne parte, a ogni costo e ora lei era lì, indugiava con me nei pressi di quel nuovo disco pub, sprecando il suo tempo con il suo cacciatore.

La sua mano elegante stringeva la mia mano ossuta, evitando la folla come in un antico ballo. Erano tanti gli sguardi osannanti, invidiosi della mia condizione, del mio muovermi garbato tra loro? Da chi voleva portarmi, quella luminosa donna? Il flusso di folla era incessante da quando quel nuovo disco pub aveva spalancato il portone adornato da ferro battuto e led luminosi. Il movimento era il tragitto di un dardo: la gente partiva compatta per poi ridursi in un’unione precisa di volti, sempre così. Solo volti e accortezze.

Valentina era sparita di nuovo, in modo principesco. Mi guardai attorno, ma le sonorità ripetitive della musica elettronica attenuavano negativamente la mia percezione delle cose; girai su me stesso, con uno spostamento di trecentosessanta gradi, preciso e fluido, ma la mia comprensione rimase inalterata. Solo colori e incanto.

Poi uno scatto, un flash mi sfiancò la parte sinistra della testa e guardai. Un’analogica vecchio stampo roteava nell’aria in modo superbo e aveva gli occhi azzurri di Valentina. Lei mi fece un cenno, per seguirla nelle novità, nelle duplici piste da ballo accondiscendenti ai suoi piedi. – Devo andare -, le dissi.

– Ma dove vai? – mi rispose Valentina afferrandomi per il bavero, parlando da una tenue distanza tra noi.

– Non ho speranze con te. Devi cambiare. –

– Ma come faccio? Io sono così! –

– Lo so. È che sei troppo per me. – dissi, quasi con le lacrime agli occhi.

– Devo tornare. – Presi fiato e continuai. Una volta e per sempre. – Tornare all’arida manifestazione delle mie giornate, al grigiore degli storpi davanti alle case dal cartongesso bruciato, all’incessante sfrecciare delle auto rumorose sulle piane coltivate da remoti fantasmi.

– E ti piace? – aggiunse con dolcezza Valentina.

– Ti ho corteggiato troppo a lungo. Volevo almeno un bacio da te, un bacio solo…come ricompensa. –

Valentina rise, sempre con tatto e gentilezza.

– Ma cosa ti aspettavi? Una relazione a lungo termine? –

Un bacio. Un fottuto e bellissimo bacio. Lo pensai solo.

– Hai assaporato la mia bellezza per tanto tempo. Non ti basta? – disse lei.

– Io ho studiato, ti ho chiamato tante volte alla luna alta in cielo per averti. –

– Io sono qui per darti la mia bellezza. Le mie curve, i miei sguardi, il mio piacevole caos…la mia indifferenza. –

– Non ti basta, Alberto? –

– Io d-devo andare, Valentina. – Non riuscii a dire altro, ero impassibile nella mia tristezza.

– Addio, Alberto. –

La salutai con una mano allargando leggermente le dita che subito dopo mi passai lungo il naso.

Da una tasca mi cadde qualcosa di consistente: il mio biglietto. Me lo raccolse un ragazzo più o meno della mia età.

– Ehi, sei triste? Perché? Ti ho visto l’altro giorno all’Università, ti sei laureato. Dove vai di bello? Ah, in Puglia, giusto? –

Il ragazzo sconosciuto mi vomitò addosso quella raffica di domande, risvegliandomi.

– Ma ero qui con Va… -, non riuscii a pronunciare per intero il suo nome, mi guardai attonito intorno per cercarla ancora un’ultima volta, ma poi desistetti e rivolsi lo sguardo al mio interlocutore. – Ti osservo da un bel po’. Sei qui da oggi pomeriggio. Tieni, il tuo biglietto. –

Sì, il mio biglietto. Lo strinsi forte tra le mani e voltai le spalle al ragazzo, al disco pub e infine al gotico duomo di Milano. Passai lungo i navigli per un’ultima visita notturna e, con il magone che mi attraversava il torace la salutai. Valentina.

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