Cocktail d’amore: Giuseppe Petrilli sperimenta il colore sui suoi corpi desideranti

by Antonella Soccio

I corpi della passione di Giuseppe Petrilli sono sensuali, ironici, lussuriosi, mascherati, lascivi, ma anche delicati, infantili, acerbi, sognanti. In perenna attesa, desideranti. In una parola artistici, sempre e comunque. L’artista ha scelto il piccolo formato, dopo gli Ex Voto propostigli dal creativo e folle curatore della Galleria Creo Angelo Pantaleo, per portare a compimento un esperimento. Il risultato è la mostra Cocktail d’Amore, un insieme di corpi, di feticismi e di anime, in opere da 10×10 o poco più grandi: foto, di modelle e modelli per lo più nudi o colti nella loro intimità voyeuristica, ridipinte a mano. Così perfette da sembrare ritratti con degli effetti fotografici.  

“Per me cambia solo il mezzo, essermi dedicato negli ultimi tempi più alla fotografia mi ha fatto perdere l’identità di illustratore, la gente mi conosce come artista figurativo. Con questo esperimento ho fatto pace con me stesso perché ho unito la fotografia alla pittura”, ha spiegato Petrilli a bonculture.

“Sono delle foto colorate a mano con gli acquerelli, sono dei pezzi unici. La base è una foto a bianco e nero, che io coloro. Metto sopra la vernice che dà profondità. Il mio riferimento è il fotografo ceco Jan Saudek, la sua è un’arte più grottesca, decadente, cerca sempre corpi marginali, sfatti, poveri. Certi effetti per me son venuti fuori con l’esperimento, ho iniziato a colorare e ho capito che poteva venire fuori una oscurità molto gotica o un sapore vintage, ho giocato ancora di più su queste leve”.

Potresti anche ritornare al pop, che era il tuo stile da disegnatore? “In alcune foto ci sono degli elementi pop, c’è sempre. Nelle carte da parati, in alcuni colori. Sicuramente l’acquerello dà sempre un’aura di leggerezza”.

Rispetto alla sua consueta arte, in Cocktail d’amore Petrilli ha ritratto molti più uomini nudi. I membri maschili che scodinzolano con una pudicizia quotidiana nelle sue opere, tra il rock e il noir, appaiono molto più ordinari dei seni o delle gambe con le calze a rete. Come se la virilità, a riposo o prima del desiderio, non possa essere sganciata dall’arte classica. O è eroica o è pornografica.

“Ho voluto confrontarmi col corpo maschile. Sono stato titubante per molto tempo, ma l’approccio che ho usato è lo stesso che uso per il corpo femminile. Il mio soggetto preferito restano le donne. Devo capire se il soggetto maschile funziona meglio da solo o in coppia, è molto più difficile da gestire”.

Da sempre Petrilli ritrae le sue modelle regalando loro un erotismo irresistibile, ma ammette di non aver mai fatto delle selezioni. La sua prossima sfida riguarderà il corpo anziano, ci anticipa. “Perché non ritrarre dei corpi âgée? Saudek usa molto i corpi opulenti, lui è molto grottesco. A me più che sul grottesco piacerebbe giocare sull’ironia”.

Pubblichiamo i due interventi critici, di Gianfranco Piemontese e Giuseppe Marrone, che hanno preceduto la presentazione nello spazio di Via Lustro a Foggia.

Voglio iniziare dalla personale e sintetica presentazione che Petrilli fa di se stesso e del suo operare. Parafrasando un passo di un’opera dai contenuti profondi e sempre attuali qual è la Divina commedia, si potrebbe usare per il nostro artista di Lucera quanto scrisse Dante a proposito dell’Amore: “L’amor che move il sole e l’altre stelle (ParadisoXXXIII, v. 145), e che cos’è la Passione se non una forma di amore ovvero ciò che sprona e porta Petrilli a realizzare i suoi corpi di uomini e donne? Passione per le intrinseche forme che vanno dalle arti più recenti come il cinema associato alla musica ma che hanno poi trovato nel corpo umano la meta cui  Petrilli guarda e tende. Quei corpi femminili/maschili che sin dalle primordiali forme di arte hanno assunto un ruolo di modello per l’umanità. Corpi da indagare e replicare, seppure in forme e significati cangianti. Come non può andare il nostro pensiero a quelli dei kouros, delle veneri primitive, degli apolli, di quei corpi classici, romanici, gotici, rinascimentali e barocchi?

I David, le Proserpine, le Callipigia una trilogia di nomi che poi sono corpi alle cui nudità è stato sicuramente attinto dagli artisti di ogni secolo e anche dal nostro Petrilli. Il corpo simbolo della perfezione del creato che assume nel corso del tempo il punto più alto dell’attenzione di tutte le forme d’arte che si sono sviluppate a partire dal mondo antico. Opere che ci sono pervenute fresche e attuali, e che ancora oggi esprimono quel desiderio di eros che nella mente di donne e uomini alberga, il tutto oggi ovviamente realizzato con tecniche ed occhi differenti.

Gli occhi, quelli del pittore/disegnatore colgono le sinuosità dei corpi, sinuosità che non sono esclusività di quelli femminili, per portarci in viaggi mentali dove Eros, Pothos e  Imeros (Desiderio) s’impossessano della nostra attenzione. Difficile una volta viste queste opere che Petrilli realizza con tecniche antiche e contemporanee, distaccarsene velocemente.

Intensa la produzione artistica che spazia dalla tradizionale grafica all’elaborazioni di immagini con la tecnologia digitale. Tutto comunque legato da un filo rosso, e mai colore può essere più appropriato a queste opere dove l’erotismo sprizza da tutti i pori delle superfici dipinte e trattate. Le sinuosità che un Bernini ci ha regalato sulla carne viva di Proserpina, Petrilli ce la fa ritrovare nei suoi nudi a metà. Corpi parzialmente nudi  che confermano l’antica idea di quanto possa essere più erotico un corpo solo parzialmente scoperto. Una teoria di corpi che si offrono al nostro sguardo che non è mai insensibile a questa forma di bellezza carnale che è divenuta una cifra stilistica di questo artista.

Gianfranco Piemontese

Il corpo, l’estensione della materia umana.

Cos’è un corpo e cosa io vedo in quel corpo è articolazione della mente?

Il mio giudizio sincero, probabilmente anche nella forma apparentemente più libera ha già un vizio di natura, un dato ontologicamente preciso, un accadere il fatto che precedo il giudizio stesso, sempre. Il vizio è nel tempo passato, pregiudizio di qualcosa che ho assunto come azione mentale imparata da qualcuno, antropo-poiesi del significato culturale e nel tempo futuro, proiezione del dato introiettato.

Comunque si guardi la cosa, siamo nell’impasse totale della libertà che è assunto primigenio dell’azione. La libertà risiede sempre nel tempo presente, nella capacità di essere qui e ora. Il giudizio libero risiede, dimora diremmo, nel presente. Questo tempo è quello in vita nella vita reale che si affaccia all’essente umano come Giulietta al suo adorato Romeo. Su quel balcone si gioca la tensione della vita come nella trama teatrale, dove risiede la libertà? Nell’essere libero. Diamine, urliamo libertà, questo nome gridiamolo appena svegli, lanciamolo nell’aria prima di dormire, gridiamolo! Ferocemente, disperatamente, strappiamoci di dosso l’impertubabilità della menzogna, del non essere. Io sono, io voglio essere, io non sono come qualcosa che accade, io voglio essere e allora se sono io desidero essere un moto di volontà.

Io sono, dunque voglio essere! Scardiniamo Cartesio e gridiamo l’essere che siamo. Denunciamo gli avventori del non essere, delle false illusioni sociali, di ciò che è giusto e santo per qualcuno, per le maschere antropo-poieitiche del mondo concreto. Parliamo di concretezza, cioè di vantaggio, non di vero o reale. Illusioni della società post moderna e come il post moderno dimora nell’animo disilluso di chi non conta altro che un vantaggio.

Il presente, dicevamo, è il tempo dell’azione e del significato, dell’essere autentico e della libertà. Non condizioniamoci delle illusioni e delle gratificazioni demoniache di un mondo che vorrebbe piegare il pensiero al non pensare.

Il pregiudizio non pensa, costruisce mondi prefabbricati dove non c’è libertà.

Io sono e penso come essere libero nell’atto della mia libertà che è un atto continuo, presente, ma continuo, costante indecifrabile della natura umana.

E caspita! Sono libero, io so di essere libero, il presente appartiene al mio essere, alla mia libertà che non è, si badi, potenza assoluta, non è il fare e il disporre in modo assoluto delle mie possibilità.

La libertà, nella sua essenziale natura, è accoglienza.

Io sono libero se mi accolgo e se accolgo.

L’accoglienza è presente a se stessa, io sono, dunque voglio.

L’accoglienza è nemica del pregiudizio.

Il pregiudizio è nel tempo passato e nelle proiezioni al futuro.

Io sono, semplicemente sono e sono la mia libertà che precede ogni mio atto.

Prendiamo per mano la nostra libertà, guardiamo con compassione amorevole noi stessi, accettiamo.

Si prepara una guerra nell’animo cosciente, il poema più grande mai scritto: noi contro il pregiudizio, contro l’altro, contro noi stessi, contro la vita stessa che è amore.

Il mio amore non è bacchettone, non è sciocco, né ingenuo, si è adulti.

Permettiamoci di parlare del corpo. Questo è estensione materiale dell’umano. Poi? Cosa è corpo?

Contro i dualismi.

Gran fesseria è il pensare che ci possa essere una qualche convinzione permeante l’idea che si debba lasciar stare lo spirito quando di corpo si parla. Porca miseria! Il corpo è spirito e lo spirito è corpo, emanazione, vibrazione, si fondono per dio! Chi ha detto che il corpo è solo corpo? Che lo spirito è solo spirito? Quale mutilazione assoluta, lontana anni luce dal fatto che il corpo vive di vibrazione e lo spirito è incarnato sempre in una qualche materia o energia.

Il corpo spirito

Il corpo ha una vita di senso e una vita intuitiva al pari delle attività mentali astratte. Il corpo ha una vita completa che gli permette di creare suggestioni di senso autonome. E sì che il corpo lo si deve ascoltare. Dove? Nel presente. Io sono ciò che sono, ma per sapere ciò che sono devo ascoltarmi, poi mi accolgo, poi mi esprimo.

Questa mostra espone corpi? Diamo significati a questi corpi come a degli oggetti? Ma siamo pazzi?! Impossibile definire un corpo come oggetto, la corporeità è sempre un fatto della soggettività, quindi, dell’autenticità.

Io sono, equivale a dire, io voglio essere, ma cosa vuoi essere? Qualunque cosa il lettore voglia essere sarà corpo, soggettività estesa. Questo corpo, cosa vogliamo farne? Si provi ad ascoltarlo e ad accoglierlo in un tempo presente, senza passato, senza futuro. Ora, il qui ed ora!!!!!! Basta lasciar che il pendolo oscilli tra passato e futuro rompendo la spontaneità del giudizio. Io sono, io accolgo, in ultimo, io amo. Si fa gran confusione sul concetto di amore. Questo è accoglienza, quindi io amo accogliendo me stesso e il prossimo scegliendo di farlo, allora, amore è libertà di amare e di essere amati.

Ama il corpo tuo e ama il corpo del tuo prossimo, ama quello che ti piace, ama quello che non ti piace. Innamorati di ogni ruga, di ogni imperfezione. Vivi il tuo corpo, non nasconderlo, vivilo! Si permetta all’essenza di se stessi di galleggiare sul mare del pregiudizio. Io sono un corpo, quel corpo, quel cuore, calore, battito, sangue.

Vivi perché è breve la via, vivi perché tu possa spendere il significato della tua vita.

Sia soggettivo il patrimonio del tuo corpo, ma vivilo con intensa ferocia di vita.

Il Piacere

Il piacere è un atto, un’azione fatta o pensata, reale o mediata, ma un atto. Il piacere del corpo è un atto del corpo. Il corpo è libertà si diceva, libertà d’amare e di essere amati. Il piacere è la capacità di generazione della soddisfazione di avere un corpo, ma sempre un figlio della libertà di amare. Nell’atto volontario, dove non si subisce violenza, il piacere è un atto di libertà, un atto del corpo libero e amato. Amiamo il corpo, amiamo noi stessi, esprimiamo noi stessi nel piacere del corpo che è poi parte della nostra spiritualità. Il piacere è spirituale? Sì. Un orgasmo viscerale privo di testa, dura pochi secondi. Nella ratio della quantità davvero poco ed è ridicolo poi per qualità. Un uomo o una donna che giudicano il corpo un oggetto nel piacere possono provare un orgasmo materiale che dura poco e si sente poco. L’amore per il corpo, la conoscenza del corpo proprio e altrui è la via del piacere vero, soggettivo. Il corpo soggettivamente inteso, amato, è un corpo che sarà capace, privo di pregiudizio, di provare un gran piacere dell’atto. Non si faccia l’errore di paragonare il corpo e l’eros alla materialità, si proverà un orgasmo da ferramenta, freddo come un oggetto metallico. Ecco spiegata la follia relazionale dell’oggi: un orgasmo freddo, metallico si esaurisce presto nella curiosità della persona, poi necessito di altro materiale corporeo, di fruire di altri corpi perché il mio piacere è incapace di evolversi, di conoscere se stesso, il corpo proprio e quello altrui. Perché non si sa giocare? Perché perdiamo lo stupore di fronte a un corpo e all’eros. Chi necessita di tanti corpi forse non sa che il piacere va coltivato per dare frutti, va cercato, stimolato. Il corpo va amato per provare piacere, il proprio e l’altrui. Un orgasmo pieno, solido, profondo può durare minuti in un corpo accolto, ascoltato e amato. Buttiamo i pregiudizi dove meritano, nei cessi.

Il corpo è la propaggine della propria autentica natura: io sono, io amo, io sono libero.

Giuseppe Maria Andrea Marrone – Filosofo


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