Franco Arminio e la poesia del cuore e del corpo, che colma mille solitudini

by redazione

Leggo in questi giorni parole di lode ma anche di forte polemica nei confronti della poesia di Franco Arminio, nel suo Studi sull’amore.

Tirandomi fuori da un rapporto di bene, di affetto e amicizia, osservo oggettivamente l’evoluzione che ha avuto la sua lingua. Se per qualcuno è stata una involuzione, per me che cerco la parola che pulsa e mi diverte la linguistica, credo che lui abbia fatto solo il suo mestiere e nulla più: il poeta.

A mio modesto parere, lo ha fatto come si dovrebbe fare: non declamando alla luna parole che stillano altre parole ma riempiendo le frasi di senso con il bisogno di fare cose.

Forse non tutti conoscono la Paesologia, termine partorito da un’idea di Franco Arminio che riempie di significati anche la sua poetica. Non si può non considerare questa rivoluzione “paesologica” non attenta al “fare”. Attenta a persone e cose, a luoghi, alla terra e ad un tempo caduco come il nostro che ha bisogno di verità e non di declamatori che reclamano un posto su un palcoscenico.

Io cercherò di non dare un’opinione legata e connessa all’erudizione perché come dovrebbero sapere e spesso dimenticano i grandi “sapienti”, è proprio l’erudizione che uccide la scintilla poetica. Il talento si affina ma la creatività non ha niente a che spartire con le regole di grammatica. Se dovessi pensare a tutta la letteratura, la risposta l’avrei proprio a portata di mano. Mi dite che cosa ha differenziato la “Gerusalemme liberata” dall’ultimo Tasso? L’ultimo Tasso era noioso e erudito. Noioso e privo di poesia. Noioso e ricco di sapere. Mi dite la lingua e l’uso che se ne è fatto nel passato?

Se penso agli autori dell’America meridionale, che io amo in maniera così tanto viscerale da aver dato a mio figlio il nome di Marquez e poi penso ai nostri autori, quelli dell’Europa ricca, non posso non considerare che la poesia si intreccia alla lingua e al vissuto di ciascuno, un vissuto carico di cose. E diventa carne nella carne quando vive un presente vero e sentito.

Un presente che opera, che si impegna, che crede di poter regalare un sogno rivoluzionario ad una società che sembra autistica. Una società che vive nell’etere la sua grossa fetta di realtà.

Che vi piaccia o no, Franco Arminio è arrivato ai tanti con un linguaggio comprensibile a tutti e ha decodificato finalmente i flussi incomprensibili di poeti che si fregiano di questo nome, ma che non hanno nessuno intorno. Il poeta diviene poeta quando riesce a diffondere un messaggio e si erge al di sopra di tutto.

Quanto spazio viene data alla poesia? La poesia che si piega alla commercializzazione è cosa diversa dalla poesia che comunica con la gente ed entra dentro i tanti. La prima è quella che trovi sui post di facebook. La seconda è quella che, pur girando su facebook, ti lascia un segno di riconoscimento dentro l’anima tanto da farti pensare. Il suo linguaggio non lo definirei assolutamente “elementare” ma solo umano e tipico dei nostri tempi. Lo definirei attento all’uso veloce che si fa della parola. Attento a come la parola possa diventare carezza, musica, sentiero che ritorna a casa.

E se a casa torni quando la poesia ti scuote con l’uso di una sillaba semplice, il poeta ha vinto.

Se nella poesia trovi la tua stessa voce, se in questa epoca densa di solitudini nella mia solitudine mi sento meno sola, la lingua ha raggiunto il suo obiettivo.

Nella semplicità diluisco gli occhi di un fanciullo e posso trasmettere la meraviglia. E se la meraviglia la sentono i tanti, l’opinione di un “ardito sapiente”, che mi dice quale uso devo fare della lingua per evolversi, decade.

Io voglio credere che il maestro dei maestri, il mio amato Camilleri, mi darebbe ragione se dicessi che la nostra lingua, ridotta a guscio vuoto, deve essere riempita anche con quello che può sembrare inusuale, se questo fa emozionare. Semplicità non è banalità o superficialità.

E ribadisco… neanche può definirsi ELEMENTARE. Non voglio dilungarmi e stare qui a discutere come la scoperta di una lingua nuova possa essere oggetto di opinioni contrastanti. Può darsi che, fra qualche anno, ci saranno linguisti come de Mauro che sottolineeranno l’inutilità del tempo che stiamo perdendo nel definire quale sia una poesia. Ora io non sono nessuno per dirvi che la poesia è tale quando la potenza della sua lingua fa sì che il messaggio dilaghi ovunque e rivoluzioni un modo di pensare di cui tutti sapevano, ma a cui nessuno aveva dato così importanza.

Ma una cosa è certa….

Ciò che è accaduto con Arminio, segue un corso naturale, come quando da un seme nasce e sboccia un fiore. E nessuno può opporsi ad un dato di fatto.

Rosanna Santoro

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