Il gregge di Davide Grittani e le singolarità che annegano e belano nella mediocrità della politica

by Antonella Soccio

Il nuovo romanzo di Davide Grittani, “Il gregge”, edito da AlterEgo e candidato al Premio Strega, ha la capacità di illuminare con parole quasi chirurgiche il declino morale e l’abulia di passioni e desideri alti dei tempi dei vivi senza trascendenza che ci attraversano. Ha questo immenso talento il romanziere ed editorialista del Corriere della Sera: riesce a dare un nome, spesso disturbante come la verità che irrompe senza bussare, alle cose che ci appaiono insolute. Ai sentimenti che neppure l’inconscio, nel sogno, riconosce. Ai comportamenti collettivi che si trasformano in abitudini, trend, idealtipi per le ricerche di mercato.

Valica i generi, “Il gregge”. Quando sembra racconto di post formazione e di destini tristi le riflessioni dell’io narrante, mai onnisciente, intersecano il saggio politologico. Quando pare incrociare la storia d’amore piccolo borghese fallita per le vite precarie da “acrobati sul baratro”, arriva il noir inatteso a ravvivare la narrazione. E non a caso Grittani si dichiara grato a Scerbanenco, una delle sue fonti privilegiate.

Quando sembra di avere sotto gli occhi una storia tutta al maschile, cameratesca, come lo sono state di recente “La scuola cattolica” di Edoardo Albinati o “La casa delle voci” di Donato Carrisi, le due donne del romanzo ribaltano lo stereotipo, innescando reazioni immalinconite e redenzioni.

La trama è avvincente e stramba e si svolge a Milano, anche se la città non è mai nominata espressamente. Tra i navigli, il distretto della moda che ha dimenticato il Seicento e i fasci da combattimento e l’interland non luogo dei centri commerciali e dell’Ikea. Chi ama le campagne elettorali non potrà che divertirsi ed immedesimarsi nello staff che cresce e acquista consapevolezza nel corso del romanzo e nelle trovate comunicative sempre più audaci e irrispettose.

Manifesti elettorali.

Un compagno di classe al liceo, denominato Croce Rossa e considerato poco più che uno zero da tutti, fa carriera e diventa un politico spregiudicato, perfetto candidato sindaco populista e razzista. È facile riconoscere tra le pagine le bravate del Matteo Salvini dei pieni poteri e della sua “bestia” comunicativa tenuta a bada da Luca Morisi, alias Melis nel romanzo. Dirette inverosimili col telefonino sempre puntato sul faccione, citofonate da ronda, odio razziale. C’è tutto l’inventario di quegli anni vorticosi del governo gialloverde nel libro di Grittani.

Per una strana ragione, che poi si dipanerà nel racconto, il candidato chiama a raccolta, nel suo team elettorale, il gruppo di amici dell’adolescenza. Compreso il protagonista, l’unico a non condividere con gli altri un atroce segreto che riguarda la morte del migliore di loro, Bulldog, diventato con gli anni una guardia di finanza, impegnato in indagini più grandi di lui.

“La scuola è l’ultima placenta con cui abbiamo a che fare, poi ci partorisce un cesareo le cui cicatrici sono eterne”, scrive Grittani.

Sono tante le citazioni colte e i rimandi del romanzo. Dai simulacri e dall’iperrealtà di Baudrilland a Massa e Potere di Elias Canetti. Quando lo scrittore racconta la fascinazione dell’ultranulla e l’innamoramento per il corpo politico del leader e scrive “la gente si accalca per toccarlo, dargli la mano, per esistere oltre l’aver partecipato”, si possono ricordare le parole di Canetti sulla paura del contatto che viene meno solo quando si è massa.

Sono tante le riflessioni sulla inconsistenza della politica della società liquida, fatta di “solitudini iperconnesse”, dove “la coscienza come il pendolo si ferma quando nessuno se ne cura”.

“Abbiamo accolto come una liberazione la corruzione su cui si fonda qualsiasi emancipazione”. La campagna elettorale dei personaggi è un bestiario di luoghi comuni, propagande immiseriti, orizzonti vuoti, colmi di voto di scambio e compromessi di cui nessuno più si scandalizza. Come si è arrivati ad un tale cinismo, al ghigno, all’aizzare gli istinti più beceri? La lingua di Grittani indaga nel profondo i meccanismi che spengono ogni ambizione e Grande Altro.

Nella sua indignazione etica non manca però neppure una sorta di assoluzione, sebbene l’autore rimarchi e rivendichi con decisione la sua personale Canzone del Maggio. “Ci sono tanti modi per essere complici, per primo credere di non esserlo”, osserva in una delle tante deviazioni saggistiche de Il gregge.

Sono davvero solo “gli algoritmi della precarietà” come li chiama a creare i fenomeni perversi ed iperreali come il candidato Matteo Migliore o il suo competitor, una sorta di Michele Emiliano lumbard che tutto annette e tutto digerisce? Perché vince sempre il peggiore? Perché vale “la prevalenza del cretino”? Che fine fanno coloro che erano e si sentivano migliori?

“Quando le variabili umane appaiono ostili si finisce per credere a tutto, permettendo alla mediocrità di occupare il posto della democrazia. Di occupare tutti i posti”.

L’analisi esistenziale ed etica viene pronunciata dalla vedova di Bulldog, la fiamma gialla.

“Chi vale davvero, chi meriterebbe per il talento che ha, non si espone, se ne sta alla larga. Così, per sottrazione, emerge questa gente qui, questi mediocri personaggi dei quali, altrove, non si accorgerebbe nessuno, mentre qui da noi diventano icone, riferimenti, classe dirigente di un popolo che non li ha scelti ma subiti”.

E viene in mente subito allora il noto “Mediocrazia” del filosofo canadese Alain Deneault e il suo estremo centro.

Mai disturbare e soprattutto mai far nulla che possa mettere in discussione l’ordine economico e sociale. Tutto deve essere standardizzato. La “media” è diventata la norma, la “mediocrità” è stata eletta a modello. Mediocrità è un sostantivo che indica una posizione intermedia tra superiore e inferiore, ovvero suggerisce uno “stare nel mezzo”, una qualità modesta, non del tutto scarsa ma certo non eccellente; indica insomma uno stato medio tendente al banale, all’incolore, e la mediocrazia è di conseguenza tale stato medio innalzato al rango di autorità.

(Alain Deneault, Mediocrazia)

Nella politica l’online diventa onlife, tutto è più vero del vero. Ed è arte della politica far diventare le singolarità gregge, anche per poche occasioni. Non branco, ma conformisticamente gregge.

E come le pecore la natura sociale della specie umana vede nel comportamento dei conspecifici un indizio su quanto stia accadendo nell’ambiente e una guida che possa favorire, fin quanto dura la leadership, anche la sua sopravvivenza. Sarà questo il motivo della volatilità degli odierni flussi elettorali? Quando il leader si eclissa, o addirittura muore come nel romanzo, le pecore tornano singole, pronte a riaggregarsi al prossimo giro. E nella mediocrità, ogni volta, si salva tutto il gregge.

Quello di Davide Grittani è un libro da non perdere.

La sua scrittura, così profonda e densa, colma di labor limae, merita forse ora, dopo tanto disincanto e fallimento (anche Sandro Tanzi del precedente romanzo “La bambina dagli occhi di oliva” era un uomo quasi senza qualità) un protagonista eroe, con cui immedesimarsi finalmente al positivo, capace di accendere aneliti di speranza.

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