Una delle opere meno conosciute di Marina Cvetaeva, eppure tra quelle più affascinanti della sua produzione poetica: La principessa guerriera (Sandro Teti Editore, pp. 296, 22€) arriva per la prima volta nelle librerie italiane in un’edizione curata da Marilena Rea, grande studiosa della poetessa russa.
In questo poema corposo, che consta di sette sezioni, tre Notti e tre Incontri più un’ultima Notte, la poetessa russa mette in scena una delle leggende popolari più celebri del suo paese, quella della Zar-Fanciulla. Composto nel 1920, e pubblicato successivamente nel 1922, l’opera fu ideata in un periodo difficile per Cvetaeva poiché la Russia era in piena guerra civile, e la sopravvivenza per lei nel suo paese fu sempre molto difficile. Era un periodo di grandi cambiamenti, e Marina decise di attingere al bagaglio immaginifico di leggende e storie della tradizione per raccontare sé stessa: lo Zar-Fanciulla altro non è che lei, forte, determinata, mascolina e impavida.
Lo stile poetico della letterata russa è trascinante, seppur complesso e a tratti anche oscuro, ma cela immagini attraenti nelle quali Cvetaeva lascia molto spazio alla sensualità e all’erotismo, in un’epoca in cui alle donne non era nemmeno riconosciuto provare desiderio:
– Ah le donne, chi vi capisce!
Borbotta il vecchio su una panca.
– Prendi la spilla più interna,
tra le sete del petto e del collo.
Pizzicati quel tuo seno abbondante,
impregnala ben bene di sangue.
Quando catturerai il giovane falco*
di me, bellina, non ti scordare!
Lei sfilò con mano frettolosa:
il seno si schiuse – un fiore di melograno!
Estrae dal corpo peccaminoso
l’aculeo – suo – imporporato:
«Per il suo amore – il mio sangue
fino all’ultima goccia!
Per una notte di passione –
fino all’ultimo fiotto!».
La vicenda narra di un vecchio zar ubriacone, una zarina vogliosa e impudica, i versi sopra citati la vedono protagonista, che spasima per il giovane zarevic, imbelle e “che di nulla s’intende”, e la Zar-Fanciulla, che si innamora inaspettatamente di lui poiché non esigerà da lei “cose da femmine”. Cvetaeva se descrive lo zarevic come un inerme ragazzino, forgia per Zar-Fanciulla dei versi epici che mettono in evidenza la forza e la protervia di una figura che è fiera della propria androginia:
Oh tu, mio Zar, Zar-fanciulla,
Zar-Incendio, Zar-Tempesta!
Con te le parole non valgono nulla,
pace non dai a questa vecchia.
Guardo la criniera dei tuoi ricci,
guardo la fiamma dei tuoi occhi:
non mi sembri nutrita dal mio latte,
ma dal sangue di leonessa selvaggia!
Appena sorge il giorno – abbatti i nemici,
poi a mezzogiorno – batti i boschi vicini,
quando cala la sera – cominciano le danze,
a mezzanotte – ti scoli bottiglie coi soldati.
Gli altri dormono, ma tu la sciabola affili,
gli altri – in chiesa, ma tu i cani cibi.
I parenti hanno smesso di insistere.
Zar-Fanciulla si innamora del suo opposto, di chi riesce a contenere la sua tracotanza perché egli ne è privo. Questa è la storia di Marina Cvetaeva, una donna straripante a cui nemmeno le restrizioni politiche del regime sovietico riuscirono a mettere il bavaglio. Marina ne La Principessa Guerriera si racconta una favola, per esorcizzare il futuro e accarezzare il passato, con un finale che preannuncia oscurità per la Russia, o almeno per chi credeva negli stessi ideali anti-sovietici della poetessa.
Il Fuoco è mio padre, l’Acqua – mia madre,
il Vento è mio fratello, sorella – la Bufera.
Di altri parenti posso fare a meno!