La Storia di Elsa Morante: Ida Ramundo, Useppe e la maternità che non è una scelta, ma un istinto

by Paola Manno

Ida Ramundo è uno dei personaggi femminili più strazianti, più intensi della letteratura italiana. Protagonista de “La Storia”, romanzo pubblicato nel 1974 in edizione tascabile per volere dell’autrice Elsa Morante, Ida è una donna la cui vita vibra nelle pagine, nel racconto che esiste quando il lettore lo approccia, perché, ci ricorda Cesare Garboli nella lunga introduzione dell’edizione Einaudi “I libri non esistono in sé per sé. Esistono solo nel momento in cui qualcuno li legge”.

La Storia è un romanzo che suscitò, alla pubblicazione, molte polemiche. Tanto si è scritto sull’opera e numerosi aspetti sono stati, negli anni, analizzati: le critiche vennero soprattutto dalla sinistra intellettuale che ne contestò il pathos narrativo; Asor Rosa lo paragonò a “un Kolossal cinematografico: puro kitsch”, Franco Rella lo definì un mediocre romanzo borghese, da criticare da un punto di vista marxista e proletario, mentre Rossana Rossanda scrisse, in un articolo intitolato “Una storia d’altri tempi”: “Vender patate è meglio che vender disperazione”.

Per fortuna Elsa Morante non si dedicò ad altre occupazioni se non alla scrittura, ed oggi quello che ci resta è un capolavoro che continua a urlare verità che tutti dovrebbero ascoltare. La stessa Morante dichiarò che il romanzo voleva essere un manifesto, un’azione politica. E così è stato, perché quello che resta è la consapevolezza che la Storia, quella con la “S” maiuscola, è più forte di tutte le storie singolari (quelle con le s minuscole) e si manifesta in tutta la sua ferocia e la sua violenza. La Storia è una condanna, è la voce delle vittime, di coloro che non conoscono le ragioni delle proprie sconfitte, e fu proprio questo che colpì il grande pubblico al quale l’opera era destinata: qualcuno parlò di romanzo popolare, inteso soprattutto dal punto di vista degli utenti. Ida Ramundo aveva fatto piangere migliaia di lettori. Quasi tutto, nella vita di questa maestra quasi quarantenne, una “povera mentecatta”, è infatti intriso di dolore. Rimasta vedova e con un figlio adolescente, Nino, la donna vive nel quartiere San Lorenzo a Roma. È un giorno dell’inverno del 1941 quando, rientrando con la sporta della spesa, subisce violenza da parte di un soldato tedesco dal quale rimarrà incinta. Useppe, così chiamato dal fratellastro, nonostante tutto sarà un bambino amatissimo. Una figura fragile che accompagnerà la famiglia Ramundo nelle varie peregrinazioni dovute all’avvento della Seconda Guerra Mondiale. Il romanzo è infatti una storia di traslochi, spostamenti, fughe in cui i protagonisti intrecciano altre vite, tra cui quella dell’ebreo anarchico Davide Segre: dal minuscolo appartamento in via dei Volsci al ricovero per gli sfollati a Pietralata, all’alloggio a Testaccio. Ognuno fugge da qualcosa, ognuno combatte la propria guerra silenziosa, Ida non è l’eroina dai grandi ideali, è solo una donna che ha paura di tutto: teme che qualcuno scopra le sue origine ebraiche, teme che suo figlio Nino venga ammazzato in qualche rissa, cammina svelta in una Roma desolata e vuota, china nel suo scialle, per rubare un uovo per poter sfamare il figlio minore. Eppure in tutto questo dolore è proprio la figura di Useppe a illuminare la vita di coloro che lo amano. Il bambino è allegro, vivace e ha uno sguardo puro sul mondo. Useppe è travolgente, vuole conoscere tutto, toccare tutto, Useppe vuole vivere. Restano indimenticabili le lunghe, intense descrizioni delle passeggiate del bambino sulle spalle di Nino, quelle insieme a Davide e quelle accanto a Bella, la cagna con cui ha un fortissimo legame.

È Useppe che darà la forza a sua madre nei momenti in cui tutto sembra perduto, il bambino fragilissimo che racconta una maternità che non è una scelta, ma è piuttosto un istinto. Ida sopporta ogni cosa con rassegnato patimento, persino la perdita di Nino che viene descritta come “una feroce lacerazione alla vagina, come se di nuovo glielo strappassero di là”. Ma è sul destino di Useppe che Ida crolla, è di fronte alla sua morte che tutto viene spazzato via, sulle “scene della storia umana (la Storia) che essa percepí come le spire multiple di un assassinio interminabile. E oggi l’ultimo assassinato era il suo bastarduccio Useppe. Tutta la Storia e le nazioni della terra s’erano concordate a questo fine: la strage del bambinello Useppe Ramundo.” L’inaccettabile violenza della guerra si cristallizza così nell’immagine di una donna che perde il suo bambino -un dolore che non trova ragioni. L’impazzita Ida Ramundo è ancora oggi una delle condanne più potenti, più riuscite, ai folli scopi di tutti i conflitti.

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