“Le cattive”, l’iperrealistico lessico trans di Camila Sosa Villada che unisce dolcezza e disperazione, raccontato dalla sua traduttrice Giulia Zavagna

by Agnese Lieggi

Ogni notte le trans riemergono da quell’inferno di cui nessuno scrive, per restituire la primavera al mondo.”

Sono parole tratte da Le cattive di Camila SosaVillada, scrittrice argentina nata nel 1982 in un paesino vicino Córdoba, attualmente nota attrice di teatro, commediografa e cantante.

Le cattive/Las malas di Camila Sosa Villada, edito in Italia da edizioni SUR, traduzione in lingua italiana a cura di Giulia Zavagna, è uno di quei libri che dopo averlo letto e riletto, ti fa rendere conto di essere di fronte ad un nuovo genere letterario, in cui l’autrice dà vita ad una forma di nuovo iperrealismo, un riflesso di sensibilità toccante, un esempio di stravaganza, sorprendente e magnetica, eretto su di un vero e proprio lessico trans.

La narrazione si apre con un omaggio a Gabriela Mistral (insegnante, poetessa, giornalista, femminista, cilena, anticonformista, prima tra i letterati sudamericani a ricevere il Premio Nobel per la Letteratura) l’autrice lo fa, inserendo in incipit una sua citazione: Tutte saremmo diventate regine.

Così ha inizio il racconto della vita ardua di Camila Sosa, all’interno parco Sarmiento, a Córdoba, in Argentina. La vita dell’autrice coincide con quella della protagonista che proviene da un’infanzia povera, molto violenta, che approda alla prostituzione, pur essendo una studentessa universitaria. Sono tanti i personaggi che descrivono l’incubo della vita delle trans, una descrizione in purezza della provenienza del male che costella la duplicità dell’uomo, attraverso molti esempi di vita, quello della Tía Encarna e di suo figlio, Lo splendore degli Occhi, una storia di grande umanità e solidarietà, di tutte le sue figlie trans, di María la Muta, dell’Uomo senza Testa.

Approfondiamo la conoscenza di questo bellissimo esempio narrativo con Giulia Zavagna che ha saputo, con la sua traduzione, restituire nell’altra lingua, con straordinaria accuratezza, la stessa una valenza immersiva della prosa unica, densa e tesa di Camila Sosa Villada.

Ciao Giulia, vorrei approfondire con te l’intensità di questo libro, qual è stata la prima cosa che ti ha colpito di Le cattive?

Il mio primo avvicinamento a Le cattive è stato, con immensa fortuna, da lettrice. Era il 2019 e mi trovavo a Bogotà per una fiera del libro quando ho sentito per la prima volta parlare di questo romanzo, che all’epoca era appena uscito. A dire il vero, me ne ha parlato per la prima volta Vera Giaconi, autrice uruguayana con la quale ho avuto il piacere di lavorare quell’anno, consigliandomelo come una delle letture migliori degli ultimi tempi. Mi sono subito informata e l’ho letto appena rientrata in Italia: a colpirmi più di tutto è stata la scrittura, come spesso succede. In questo caso si muove in modo delicatissimo su diversi registri, per descrivere in modo secondo me unico le tensioni mutevoli che caratterizzano i rapporti umani.

Qual è stato il capitolo più bello da tradurre?

Non so bene scegliere perché tutta l’esperienza di traduzione di questo romanzo è stata molto intensa e molto particolare: l’ho affrontato con più timore del solito, e polsi tremanti. È uno di quei casi in cui non avrei mai voluto smettere di lavorarci, sono riuscita a staccarmene solo per lasciarlo nelle fidate mani della mia collega Chiara Gualandrini, che ne ha curato la revisione.

Se dovessi scegliere una scena in particolare, però, a distanza di mesi ricordo ancora l’emozione di quando ho cominciato la seconda stesura della storia di Zia Encarna con il suo Uomo Senza Testa: credo che il modo in cui Sosa Villada riesce a unire dolcezza e disperazione, come in questa scena, sia ciò che la rende davvero una scrittrice non comune.

Da un punto di vista traduttivo, com’è stato approfondire un lessico tanto intenso e sconvolgente?

Come accennavo prima, la traduzione è stata complessa da tutti i punti di vista: per i delicati argomenti trattati, per l’ampia varietà di registri, e certamente anche per il lessico utilizzato, che in alcuni casi è molto legato alla variante argentina dello spagnolo. Ho cercato di affrontarlo immergendomi in letture che potessero in qualche modo avere a che fare con le atmosfere e gli argomenti del libro, in modo da circondarmi di quella temperatura, e spesso mi sono ritrovata a fare riferimento al mio lessico familiare. Una cosa su cui ho cercato di lavorare molto è l’oralità, perché la lingua utilizzata nell’originale è molto fisica, parlata, sia nel caso di dialoghi diretti sia nelle parti di narrazione più standard, ho quindi cercato di leggere il più possibile la traduzione ad alta voce, per rendermi conto della scorrevolezza.

È possibile apprezzare l’intervento dell’autrice al TEDX tenutosi a Córdoba, ma è prevista una visita dell’autrice in Italia?

Sì, la TedX tenuta dall’autrice nel 2014 è una bellissima testimonianza ed è anche motivo della nascita del libro: l’editor e scrittore argentino Juan Forn ha assistito all’evento e, rimanendo folgorato dalla storia e dalla presenza scenica di Camila Sosa Villada, le ha proposto di partire da quell’esperienza per raccontarla in forma romanzo. Non posso che ringraziarlo per l’intuito straordinario.

Quanto a una visita dell’autrice in Italia, ci stiamo lavorando da mesi: purtroppo le complicazioni dovute al Covid non ci hanno aiutato finora, ma speriamo davvero di poterla invitare presto.

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