«Rosa, gli anni Sessanta e le prime donne ad usufruire dell’istruzione di massa». Ritanna Armeni narra la libertà femminile in “Per strada è la felicità”

by Michela Conoscitore

Questa è la storia di una ragazza di provincia che dal sud si trasferisce a Roma per frequentare l’università, perché la sua piccola città le prospetta una famiglia, dei figli, una casa. Nulla di più. Per quanto femmina, la sua nascita è stata salutata dallo scampanio festante della chiesa di paese. Lei è una predestinata, e si aspetta altro dalla vita, anzi lo pretende. Non riesce, non vuole adeguarsi ad un ruolo imposto a cui tutte prima di lei si sono dovute piegare, glielo impediscono gli spasmi di libertà che la agitano dentro. Il suo nome è Rosa, ed è la protagonista del nuovo romanzo di Ritanna Armeni, Per strada è la felicità (Ponte alle Grazie).

La scrittrice è stata a Palazzo Dogana, a Foggia, il 18 giugno con l’assessore alla Cultura della Regione Puglia, Massimo Bray, per annunciare i dieci libri finalisti al Premio I fiori blu e presentare il romanzo. Componente della giuria tecnica del premio, con bonculture la scrittrice e giornalista ha parlato della sua partecipazione come giurata e della sua nuova opera letteraria:

Il Premio I fiori blu è giunto alla seconda edizione, lei l’ha visto nascere e quest’anno strutturarsi. Quali sono le sue osservazioni sull’attuale edizione e quale conclusione dobbiamo aspettarci?

L’attuale edizione ha dimostrato che la prima aveva ben seminato. Le case editrici hanno compreso il valore del nuovo premio, tant’è che i libri presentati sono venti e tutti di notevole livello. Con la seconda edizione, I fiori blu è entrato in una prospettiva nazionale, si va ad aggiungere ad altri premi letterari importanti. Come membro della giuria tecnica non posso e non devo fare anticipazioni, abbiamo selezionato dieci libri finalisti tra i quali la giuria popolare sceglierà il vincitore. Ho letto libri davvero molto interessanti, e per me è stato difficile scegliere, rimanendo indecisa fino all’ultimo. Questo perché i libri in concorso sono di grande valore.

Venerdì a Palazzo Dogana a Foggia presenterà il suo nuovo romanzo, Per strada è la felicità. Dopo Mara, un altro significativo racconto al femminile. Questa volta ci fa conoscere Rosa, ragazza del sud che sul finire degli anni Sessanta si trasferisce a Roma per frequentare l’università. Perché ha scelto di raccontare questo periodo?

Probabilmente mi ha guidata una motivazione autobiografica, perché questo periodo è stato fondamentale per la mia formazione, quella più intima. Anche io, come Rosa, sono stata una ragazza proveniente da una piccola città del sud che si è trasferita a Roma. Non sto dicendo che è un romanzo autobiografico, però sicuramente sono presenti alcuni tratti essenziali se non altro per gli elementi che le ho citato. Quelli che sono stati anni fondanti, allo stesso tempo li considero anche anni generosi che hanno cambiato la storia di questo Paese. Tengo a sottolineare che non ho voluto raccontare il periodo storico ma i sentimenti che lo hanno animato. Rosa, la mia protagonista, vive l’amore, la passione, le amicizie, la solidarietà e le rotture in un contesto molto particolare, dove giovani studenti e studentesse, operai e operaie erano convinti di poter cambiare il mondo.

Nel romanzo c’è la distinzione tra la piccola città e la grande città. Nella prima, Rosa fa vita di comunità, a volte asfissiante e mal sopportata, nella seconda dove le persone i fiori li comprano per sé, Rosa riesce finalmente a dare un nome alle sensazioni che da sempre le si agitano dentro. Quale parte di sé emerge a Roma?

La parte che desidera la libertà. Non dimentichiamo che Rosa, come molte ragazze di quel periodo, ha frequentato scuola e università durante gli anni Sessanta. Quelle sono state le prime donne ad usufruire dell’istruzione di massa. Sempre per prime conoscono se non la libertà, la possibilità di averla. A Rosa la grande città, con le strade affollate di gente sconosciuta, concede tante opportunità rispetto alla piccola città. Tuttavia la provincia di allora non è quella di adesso, perché la Foggia del 1960 non assomiglia alla Foggia contemporanea. Adesso le differenze permangono, ma negli anni Sessanta la diversità tra vita in provincia e grande città risiedeva principalmente nella contrapposizione tra controllo, e costrizione, e libertà.

Il periodo storico che fa da sfondo è il Sessantotto, con i movimenti studenteschi che supportano le lotte operaie. Ha citato luoghi mitici della Capitale che hanno ospitato queste lotte studentesche come Valle Giulia. Com’era la Roma dell’epoca?

Era una Roma in subbuglio, ogni giorno veniva sottoposta ai desideri e alle richieste degli studenti. Poi dall’università si sono riversati nelle scuole e nelle fabbriche intorno alla Capitale. Ciò si era verificato anche in altre città come Torino e Milano. Era una città molto ribollente, legata a quello che avveniva nell’università perché si rifletteva dentro la politica. Quel che avveniva a Roma era amplificato, qui oggi come allora hanno sede le istituzioni del Paese, quindi lo scontro era più diretto.

Rosa si avvicina al comunismo e ai movimenti studenteschi per caso…

Definire comunismo quel che avvenne in quegli anni, secondo me è sbagliato. Si trattava di un movimento che voleva cambiare le cose, molto fantasioso ma allo stesso tempo vago. Rosa sapeva che le cose andavano male, per esempio si era accorta che la scuola fosse di classe, all’università comandava chi non doveva comandare, nelle fabbriche c’era uno sfruttamento terribile però in quegli anni non circolava una dottrina ma nacque una ribellione. Le ribellioni non hanno mai confini certi, si spostano rapidamente. L’ampio autoritarismo che diceva no ad una scuola di classe, che obbligava a certi studi ed eliminava i poveri. Poi la lotta indicò che tutta la società era di classe, ciò emerse maggiormente nelle fabbriche dove gli operai combattevano ogni giorno per andare avanti. Tutto questo fu un processo continuo, abbastanza tumultuoso e non ordinato.

La storia di Rosa sembra vada di pari passo con quella di un’altra Rosa, Luxembourg, rivoluzionaria polacca che la sua protagonista sceglie come spirito guida. L’ammira, ci si scontra, la critica: possiamo dire che attraverso la vita di Rosa Luxembourg, la sua protagonista diventa donna e comprende profondamente cosa significa esserlo?

Sì possiamo dirlo, la figura di Rosa Luxembourg è maieutica se vogliamo usare questo termine. Come ha detto, Rosa per lei nutre sentimenti contrastanti, dall’ammirazione sconfinata alla delusione e alla critica, per poi tornare nuovamente all’ammirazione. In tutti questi passaggi Rosa non mette in discussione la Luxembourg ma sè stessa. Venera la rivoluzionaria che è riuscita a tener testa ai grandi esponenti del marxismo, anche lei vorrebbe essere così. Quando ne rimane delusa scoprendone la subalternità in amore, anche lei ne condivide lo stesso atteggiamento. Per Rosa, la rivoluzionaria è uno specchio, un’immagine che rimanda sempre a lei. Il confronto tra le due credo sia uno degli aspetti più interessanti del libro, per capire cosa significasse essere una donna in quel periodo.

Nel romanzo scrive che donne e uomini non erano uguali nella lotta per la rivoluzione. Questa discriminazione era figlia dei tempi o tuttora è così?

Era figlia dei tempi, oggi qualcosa è cambiato ma c’è ancora molto da fare. Nel Sessantotto la questione scoppiò soprattutto perché chi partecipava a quel movimento sosteneva l’uguaglianza. Le donne avevano frequentato il liceo e l’università e volevano lavorare, pensavano che sarebbero diventate uguali agli uomini. Nel libro lo spiego attraverso vari episodi, quelle donne si accorsero che le cose non stavano proprio così, da qui la delusione e la ribellione. Oggi grazie alle loro lotte, molto è cambiato e questo non va dimenticato perché altrimenti cadremmo in una lamentela sterile. Tuttavia questo non ci deve impedire di vedere che qualcosa ancora non va, e se possibile dovremmo reagire con la stessa durezza e capacità di lotta delle ragazze del Sessantotto. Loro non si sono lagnate, hanno ribaltato la situazione e costruito il loro mondo perché quello preesistente non piaceva e non le comprendeva.

Le conquiste delle donne, penso all’aborto che Rosa vive sulla sua pelle, le vede come definitive e concrete o fragili e precarie?

Le conquiste sono sempre fragili e precarie, basta pensare alla democrazia. Crediamo che sia per sempre, e invece è fragilissima. L’abbiamo conquistata nel 1946, qualche giorno fa abbiamo festeggiato il 75esimo della Repubblica ma ci sentiamo di dire che quella democrazia conquistata allora è una democrazia forte, efficiente? Ovviamente no. Lo stesso vale per le conquiste delle donne, possiamo sempre tornare indietro. Ma io sono ottimista, non sentimentalmente ma razionalmente, perché in questi ultimi cinquant’anni i movimenti femminili sono andati avanti. La stessa legge sull’aborto, che subisce tanti attacchi, è ancora lì. Ci sono state, invece, conquiste studentesche ed operaie che sono state dimenticate e sulle quali si è tornati indietro. Delle tre rivoluzioni, operaia, studentesca e delle donne, la terza è ancora in piedi.

Cosa manca alle donne per raggiungere la parità?

Non quello che ci manca, quello che dobbiamo ancora conquistare, e riguarda tutti i campi del vivere. Libertà non è una parola vaga, come diceva Giorgio Gaber non è uno spazio libero ma un qualcosa che dobbiamo riempire. A volte da riempire sono spazi davvero minimi, altre volte grandi. Come la scelta della facoltà universitaria, quando una ragazza viene indotta da alcuni fattori a scegliere determinate materie piuttosto che altre, è chiaro che la sua libertà non è totale. Penso anche alla libertà del proprio corpo, che appartiene solo a noi, e lo si gestisce come la sessualità in modo autonomo. I sentimenti, le gerarchie sociali, le sfere in cui raggiungere la libertà sono ancora molte, e per questo nutro molta fiducia nelle nuove generazioni.

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