Amici della Musica: Giuseppe Albanese inaugura la stagione a ritmo di danza

by Fabrizio Simone

Giunto alla sua terza incisione con la prestigiosa etichetta Deutsche Grammophon (l’album Invitation to the dance propone una carrellata di composizioni a sfondo danzante, composte tra il 1819 e il 1919), Giuseppe Albanese non è più la giovane promessa del pianismo italiano: è un artista maturo e pienamente consapevole delle proprie abilità espressive e tecniche, che gli consentono di spaziare con facilità in tutti gli ambiti possibili, mettendo in luce le varie zone d’ombra che spesso non riescono ad emergere a causa di interpreti poco solleciti o comunque non particolarmente abili a portare in superficie certi aspetti insiti in una partitura. Tutto ciò, però, non è sfuggito al pubblico (non molto numeroso in verità, unica nota dolente della serata) del Teatro Giordano di Foggia, che lunedì 11 ottobre ha potuto ascoltare il Maestro, il quale ha inaugurato la nuova stagione concertistica degli Amici della Musica del capoluogo dauno, esibendosi in un recital incentrato proprio sul suo ultimo lavoro discografico.

Albanese ha aperto la serata con l’Invito alla danza di Weber, presentato non nella sua versione originale, salottiera e ancora un po’ imbellettata, ma nella brillante quanto esuberante parafrasi da concerto preparata da Carl Tausig, pupillo di Liszt. È bastato questo rondò, a ritmo di valzer (nel 1821, quando fu pubblicato, Strauss padre e Joseph Lanner già ammaliavano il pubblico nei cafè viennesi con contraddanze e landler, pur disponendo solo di una modestissima formazione cameristica), a mostrare l’attenzione di Albanese per i giochi coloristici e la sua propensione ad un virtuosismo capace di preservare anche un’estrema delicatezza. Col Valzer da Coppelia di Delibes, nella pregevole trascrizione del compositore e direttore d’orchestra Ernő Dohnányi (ci piacerebbe ascoltare il valzer dalla sua pantomima giovanile, Il velo di Pierette, prima o poi), Albanese si è confermato maestro di leggerezza e di raffinatezza, ribadendo nella Suite da Lo schiaccianoci di Caijkovskij, trascritta da Michail Pletnëv, la sua tecnica robusta.

La Suite da L’uccello di fuoco di Stravinsky rimescola ulteriormente le carte in tavola e obbliga il pianista ad un estenuante tour de force perché la trascrizione di Guido Agosti è tutta giocata sul filo delle acrobazie e del funambolismo più folle, ma anche questa sfida è stata vinta da Giuseppe Albanese, che ha condotto il pubblico con grande maestria attraverso i tre movimenti, senza far notare la distanza che separa la scrittura stravinskiana dalla trascrizione del pianista romagnolo. Nel finale Albanese ha proposto due classici francesi: il Prélude à l’après-midi d’un faune di Debussy e La valse di Ravel, magnetico omaggio alla memoria di Johann Strauss e al suo mondo, terribilmente compromesso dal primo conflitto mondiale (non avrebbe sfigurato il bel Tanz-walzer di Ferruccio Busoni, fratello minore della composizione raveliana, che fatica ad entrare in repertorio nonostante la fedelissima trascrizione di Michael von Zadora del 1921). Con La valse Albanese ha offerto una summa del suo talento, impiegando ogni frammento della sua musicalità per ricomporre il mosaico di una civiltà distrutta dalla guerra. Il pubblico ha omaggiato ogni esecuzione con applausi energici e calorosissimi, costringendo il Maestro a lasciare il palcoscenico soltanto dopo aver regalato un bis, l’Autunno dalle Stagioni di Cajkovskij.

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