Musica e Resistenza: il partigiano Johnny cantava

by Alessio Walter De Palma

Il “Secolo Breve”, il XX, “l’era dei grandi cataclismi” secondo la definizione dello storico britannico Eric Hobsbawn ci ha lasciato tanto: dal primo conflitto mondiale, ai grandi totalitarismi, al secondo conflitto mondiale, guerra fredda, decolonizzazione, il ’68, gli anni di piombo, le guerre petrolifere, boom economico, guerre di religione, guerre del Golfo in una ciclicità che rispecchia la teoria vichiana dei corsi e dei ricorsi storici… la nostra “serva Italia” per citare il Grande Dante, ne ha subite tante.

Per unirsi: tre guerre di indipendenza e la spedizione dei Mille di Garibaldi per coronare il sogno di un intero popolo il 17 marzo 1861… l’Italia è distrutta, giovane, inesperta, macerata, logora, celebre la frase di Cavour: “Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani…” ha subito gravi perdite economiche e di vite umane pur vincendo la prima guerra mondiale, tanto da far asserire a Gabriele D’Annunzio: “vittoria mutilata”, c’era bisogno di nuova linfa, di nuovo spirito, di superare ed elaborare il “lutto” in senso lato della guerra… tale spiraglio molti lo hanno visto nella giovane figura di un certo Benito Mussolini, fondatore del movimento dei Fasci di combattimento nel 1919, del Partito Nazionale Fascista nel ’21 e della Marcia su Roma il 28 ottobre 1922, difatto un colpo di Stato… molti intellettuali all’inizio vedevano in Mussolini una sorta di “Salvatore della Patria”, in grado di poter risanare l’Italia distrutta, ricordiamo il “Manifesto degli intellettuali fascisti”, su proposta dell’allora Ministro dell’istruzione Giovanni Gentile – la cui riforma sull’istruzione del 1923 è ancora vigente [sic!] – a firma tra gli altri di Luigi Pirandello… parallelamente in Germania inizia a fare breccia nel cuore del popolo tedesco l’austriaco Adolf Hitler con il suo partito “nazionalsocialista” fino all’elezione a furor di popolo e con benedizione del vescovo di Vienna nel 1933… sin da subito il malcontento divenne generalizzato e ancora una volta i corsi e i ricorsi storici ritornano con lo scoppio della seconda guerra mondiale nel 1939… altri sei lunghi anni di morte, dolore, oppressione, lesione dei diritti fondamentali dell’uomo, disumanizzazione fino alla completa sfiducia al Duce nel 1943 da parte del movimento partigiano, dei garibaldini successivi, uomini antifascisti non militari di professione si riuniscono nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) al fine di liberare l’Italia dal daimon nazifascista opponendo “Resistenza” agli eserciti totalitari, riuscendo nell’impresa non senza sacrifici il 25 Aprile 1945 da allora festa nazionale: La Festa della Liberazione appunto. Con le armi, ma anche con la penna e con l’arte si è riusciti a sconfiggere il male: gli intellettuali antifascisti da Benedetto Croce a Palmiro Togliatti, da Giuseppe Saragat a Sandro Pertini. Anche la letteratura, la poesia, la musica diverrà antifascista, condannando la barbarie fascista e la guerra esaltando i partigiani che “hanno resistito” e sono riusciti nell’impresa: Ermetismo e Neorealismo, sin da Ungaretti con Il Dolore, a Quasimodo, a Montale, il quale “spesso il male di vivere ha incontrato”, a Gadda, il quale coglie appieno l’essenza profonda dell’uomo e del suo mondo Eros e Priapo del 1967 mette a nudo l’irrazionalità, l’eros appunto, del fascismo contro la razionalità del Logos, semplicisticamente il male vs bene e a trionfare fortunatamente è il bene; ricerca costante di una letteratura civile e impegnata al fine di un rinnovamento della cultura a seguito dell’imbarbarimento fascista è il leitmotiv della produzione di Elio Vittorini in Uomini e no del 1945 ciò è ben espresso: gli uomini sono i partigiani, i buoni, i no uomini sono i fascisti, i no buoni; la vita partigiana è ben espressa dalla produzione di Beppe Fenoglio con il suo capolavoro Il Partigiano Johnny nel 1968. È lo stesso Fenoglio in un capitolo del suo romanzo che ci descrive la vita di un partigiano non solo impegnato a ridare dignità al suo popolo e al suo Paese ma anche rimanendo in contatto con i propri cari con epistole e cantando, perché si sa la musica e il canto possono essere ottimi alleati.

I canti dei partigiani, della Resistenza hanno tutti un unico comune denominatore: cantare alla libertà, una libertà collettiva anche a costo di perdere la propria libertà individuale. Come affermato in precedenza molti canti riecheggiano i canti garibaldini: il canto doveva spronare i patrioti: è il caso di Camicia rossa di Rocco Traversa musicato poi da Luigi Pantaleoni è rimasta impressa nella mente di ognuno, o ancora il Canto degli Italiani di Goffredo Mameli, musicato da Michele Novaro e diventato Inno nazionale; Fenoglio definisce: “una vera e propria arma contro i fascisti”, il canto più popolare tra i partigiani: Fischia il vento, Inno ufficiale delle Brigate Partigiane Garibaldi. Sono numerosi i canti di Resistenza: Addio Lugano bella, Il bersagliere a cento penne, L’otto settembre, Se non ci ammazzi i crucchi, Pietà l’è morta, Marciam Marciam ecc, ma sicuramente il brano che ancora oggi riscuote successo e tutti almeno una volta nella vita lo hanno ascoltato o cantato è Bella Ciao.

Tale brano ha acquisito popolarità vent’anni dopo dalla fine della resistenza, durante il periodo della resistenza era poco conosciuto e poco eseguito, perché non si fa esplicito riferimento alla resistenza, quanto piuttosto è un appello alla lotta all’invasore, la cui popolarità le è data dai Festival dei giovani democratici in giro per il mondo negli anni ’50 e ’60 Vienna, Parigi, Berlino, Praga, aumentando popolarità e successo con l’interpretazione da parte di grandi cantanti quali: Giorgio Gaber, I Gufi, Goran Bregovic ecc… divenendo così di fatto “Inno della Resistenza”, sebbene durante tale periodo era pressoché sconosciuta…

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