Ryuichi Sakamoto a Bari, due concerti memorabili e un legame profondo

by Claudio Botta

«Time Zones è cresciuto ed è andato avanti grazie soprattutto al rapporto diretto con i musicisti, a un face to face stimolante e costruttivo. A metà degli anni Ottanta non c’erano rassegne che offrissero spazio a musica non rientrante nei canoni tradizionali (leggera, classica, jazz): si conoscevano il tango, il flamenco, magari più vicine a noi per tradizioni e affinità, ma una sola casa discografica in Francia proponeva musica etnica e proveniente da altre parti del mondo, e la Real World Records di Peter Gabriel sarebbe arrivata dopo, nel 1989. Chi componeva musiche per il cinema rientrava in una nicchia imposta, straordinari innovatori come Philip Glass – per fare solo un esempio – non facevano molti concerti, non avevano spazi adeguati alla loro creatività, al Ioro spessore, alla loro importanza anche per la nostra formazione generazionale, per l’impatto delle loro opere sulla contemporaneità. Il nostro padre putativo è stato così Jon Hassel, che ha partecipato alla prima edizione, nel 1986. Lui ci ha messo in contatto con David Sylvian, che è stato poi nostro ospite e con cui è nato un profondo rapporto anche di amicizia personale, e che a sua volta ha creato il contatto (poi perfezionato in un incontro a Los Angeles con mio fratello Daniele) con Ryiuchi Sakamoto, con cui aveva collaborato all’inizio della sua carriera solista e aveva realizzato Forbidden Colours che compare nei titoli di coda del film Merry Christmas Mr. Lawrence ed era stato un grandissimo successo in tutto il mondo».

Gianluigi Trevisi, ideatore e anima di Time Zones. Sulla via delle musiche possibili, rassegna che lo scorso anno ha celebrato la sua trentasettesima edizione, ha in comune con il suo amico Gianni Minà, recentemente scomparso, il dono dell’ascolto e della curiosità, la percezione che diversità equivalga a ricchezza, che contaminazione di generi, stili, culture, tradizioni rappresenti comunque sperimentazione ed evoluzione, e che nella musica etichette, divisioni, contrapposizioni siano delle contraddizioni che la negano profondamente nella sua essenza e natura, perché l’arte è universale, impossibile limitarla e circoscriverla. Nell’edizione 1990, quella del Mondiale in Italia e delle notti magiche (copyright Edoardo Bennato e Gianna Nannini) e della finale per il terzo e quarto posto al San Nicola di Bari disegnato da Renzo Piano, le star planetarie sono state tre: Ennio Morricone, per la prima volta convinto a proporre dal vivo, davanti a un pubblico (in delirio) la sua musica per il cinema e contemporanea, all’epoca così snobbata dalle élites e dagli addetti ai lavori presunti ‘alti’ nonostante lo straordinario successo e i picchi creativi ed emotivi raggiunti (e nel magnifico documentario Ennio curato da Giuseppe Tornatore abbiamo avuto modo di capire quanto anche un compositore del suo livello eccelso ne abbia sofferto); Robert Fripp e, appunto, Sakamoto, all’epoca 38enne nel pieno della maturità artistica, reduce dal premio Oscar per la colonna sonora de L’Ultimo Imperatore di Bernardo Bertolucci, nel quale aveva anche recitato. «Fu un concerto molto bello, all’Auditorium Nino Rita che poi venne chiuso nel ’92. Suonò un pianoforte particolare, un prototipo realizzato per lui dalla Yamaha, lungo quattro metri, arrivato con un apposito camion e otto tecnici per assembrarlo, e che aveva anche una tastiera, e lui confermò tutto il suo talento, la preparazione e professionalità fuori dal comune, insieme a una band eccellente. Ricordo ancora le prove, e la bellissima conversazione che avemmo, ovviamente sulla musica. Ad un certo punto mi chiese se sapevo chi fosse in testa alle classifiche di vendita in Burundi, io tentennai, e lui mi rispose ‘Michael Jackson’: una ulteriore conferma di come la musica sia una, non conosca frontiere quando si diffonde, e che tutto quello che cerca di frazionarla, di catalogarla, di forzarla in schemi precostituiti sia una contraddizione in termini. Poi parlammo anche del suo Giappone», ricorda ancora Trevisi, «io lo definii un paese strano per le contrapposizioni che emergevano, e lui confermò la mia impressione, e mi raccontò del suo impegno per le cause che gli stavano a cuore e le sue lotte negli anni universitari. Nessuna ombra di divismo, era disarmante nella sua semplicità e disponibilità».

Un incontro che ebbe un seguito quindici anni dopo, perché Sakamoto tornò a Time Zones nel 2005, nell’edizione del ventennale celebrata al Palamartino, 1800 posti ricavati nello spazio riadattato della ex palestra Gil. «Fu un concerto più intimo, dai suoni rarefatti, un esempio di come anche la tecnologia e l’elettronica, ritenute fredde e distanti, possano creare invece emozioni e suggestioni intense. Particolare anche il connubio con Alva Noto (pseudonimo di Carsten Nicolai, ndr), artista visuale e musicista tedesco, con cui aveva iniziato a collaborare tre anni prima, e aveva avviato un progetto sempre interessante ma completamente diverso, che presentarono appunto a Bari a un pubblico attento e sorpreso».

La notizia della morte gli è arrivata nel pomeriggio, attraverso la telefonata di un amico, e lo ha pietrificato («Non ero a conoscenza di un tale peggioramento della malattia»). Ma, «per una di quelle coincidenze difficili da spiegare razionalmente, ieri mattina – domenica scorsa, ndr – ho tirato fuori, dal mio angolo di dischi dedicati alla musica per il cinema, la sua colonna sonora di Love is the Devil, un film del 1998 basato sulla vita del pittore irlandese Francis Bacon, e l’ho riascoltata dopo tanti anni. Mi piace pensare che sia stato una sorta di saluto a una persona, prima ancora che un artista, che ho profondamente ammirato e che continuerò ad ammirare e ringraziare, una di quelle che determinano profondi cambiamenti nella vita di tanti di noi, grazie agli stimoli che riescono a trasmettere, e alle azioni e decisioni che possono determinare semplicemente attraverso le loro conoscenze ed espressioni, la loro vita».

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