Un sopravvissuto di Varsavia e la musica dell’Olocausto

by Alessio Walter De Palma

Il 27 gennaio è unanimemente riconosciuta come la “Giornata della Memoria”, in ricordo del genocidio nazista verso il popolo ebraico, forse una delle pagine più dolorose e più buie della storia contemporanea. In ebraico Shoah, ovvero catastrofe, distruzione, termine entrato nel lessico di tutte le lingue del mondo.

Elemento caratterizzante per evadere dalla triste realtà quotidiana è sicuramente l’aiuto della musica, la cui tradizione nel mondo ebraico risale a tempi immemori. La musica ebraica si caratterizza per lo spiccato elemento folk, popolare. Diversi generi caratterizzano tale musica, da ricordare sicuramente il Klezmer di tipo popolareggiante in lingua Yiddish – lingua amata da un certo Franz Kafka – sorto nel XV secolo tra gli Ashkenazi dell’Europa dell’Est, dall’Europa occidentale e dalla Spagna medievale in particolare risale la variante Sefardita in lingua ladina, ancora da ricordare la variante Mizrahi, diffusasi principalmente in Israele.

Molti compositori sono di origine ebraica, tra gli altri: Mendelssohn, Mahler, Meyerbeer, Kurt Weil, Gershwin, Schoenberg.

Il “Padre della musica dodecafonica” Arnold Schoenberg ha dedicato un oratorio per voce recitante, coro maschile e orchestra in perfetto stile dodecafonico all’orrore dell’Olocausto: Un sopravvissuto a Varsavia nel 1947.

Ma già prima dal 1933 quando l’austriaco Adolf Hitler viene nominato cancelliere e si afferma il partito nazionalsocialista “a furor di popolo e con la benedizione del vescovo di Varsavia” si hanno i primi canti tristi del “popolo errante” come Moorsoldatenlied del prigioniero Rudi Goguel, canto di protesta volontariamente e provocatoriamente scritto in lingua tedesca, diventato una sorta di “Inno” tra i prigionieri e gli antifascisti. O ancora Brundibar di Hans Krasa, l’opera composta per bambini del 1943 che riscuote successo ancora oggi.

Ma più specificatamente per “musica dell’Olocausto” si intendono i canti popolari dei prigionieri all’interno dei ghetti per evadere dalla quotidianità tutt’altro che semplice. Oltre a musiche originali e “di popolare evasione” si cantavano anche brani tradizionali come ad esempio la traduzione polacca della celebre canzone Mamma son tanto felice, metafora del tanto agognato ritorno a casa tra le braccia delle mamma, che come purtroppo sappiamo per molti è rimasto solo un sogno.

Al giorno d’oggi grazie al lavoro certosino e di anni e anni del pianista, compositore e direttore d’orchestra Francesco Lotoro, possiamo usufruire di circa 4000 spartiti di musica ebraica eseguita all’interno dei Lager, nell’opera monumentale “La Musica nell’Olocausto Musik” in 24 cd e l’Enciclopedia della musica concentrazionaria. Anche l’ascolto può aiutare a ricordare sempre e non solo il 27 gennaio…

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