Con Ettore Bassi rivive la setta dei poeti estinti

by Fabrizio Simone

Ettore Bassi sta portando in tutta Italia l’adattamento teatrale de L’attimo fuggente riscuotendo un notevole successo di pubblico e di critica. In occasione delle due recite tenute presso il Teatro Giordano di Foggia (4-5 gennaio), Bonculture lo ha incontrato per cogliere a fondo le peculiarità della prima versione pensata per i palcoscenici italiani direttamente da Tom Schulman, sceneggiatore del celebre film avente per protagonista il compianto ed indimenticabile Robin Williams.

Come si sente vestendo i panni di un professore fuori le righe e per certi versi rivoluzionario?

Piuttosto bene. Il personaggio del professor Keating mi ha interessato perché la sua rivoluzione consiste nell’insegnare la bellezza. E in un mondo che chiede l’omologazione, questo è un messaggio forte. Esprimere questi concetti per me è davvero gratificante oltre che come attore anche come uomo.

A lei piace la poesia?

Beh, sì. Mi piace anche se la frequento poco per questioni di tempo. Soprattutto mi piace l’idea che la poesia sia dentro tante cose e quindi mi piace scoprirla dentro le cose del mondo, dentro le cose che succedono, dentro le persone.

Crede che l’Italia conservi tutt’oggi la sua dimensione poetica o l’abbia persa nell’ultimo ventennio?

La modernità intesa come “progresso”, per sua natura, purtroppo, tende a voler mettere da parte ciò che è poetico e ciò che ha a che fare con l’anima, con la bellezza, con la lentezza, con il tempo, con la cura di sé. Quindi sì, l’ha persa in questo senso ma la conserva in tante altre cose:  nelle sue particelle, nelle sue piccole comunità, nelle associazioni, nelle aule di scuola, in tanti professori, nelle persone perché l’Italia è ancora un luogo di pensiero.

Pensa che questo adattamento teatrale possa in qualche modo eguagliare o perfino superare il film originario?

Ieri sera lo hanno mandato su La 7. L’ho riguardato anche se l’avevo già visto precedentemente per preparare lo spettacolo. Noi abbiamo fatto ormai quasi 50 repliche e rivedendo il film ieri sera ho notato una differenza di forza del racconto all’interno del nostro spettacolo. Sicuramente per un discorso di linguaggio: il cinema deve raccontare in maniera probabilmente più fluida, più particolareggiata, più sottile; però il nostro spettacolo, essendo stato scritto dallo stesso autore del film, ci garantisce un livello qualitativo pari al film. C’è, insomma, un’incisività molto forte tanto che alcuni passaggi mi sembrano anche più convincenti.

Per il personaggio del professor Keating s’è ispirato a qualche suo ex docente?

Io ho cambiato tante scuole, tante classi. Ho studiato un po’ a Bari, un po’ a Torino, un po’ a Roma. Probabilmente qualcuno di simile a Keating l’ho trovato, ma non l’ho saputo apprezzare perché in quegli anni si è sempre molto dispersivi, turbolenti, disattenti, agitati o l’ho avuto per troppo poco, e poi era un filosofo, infatti sto pensando al mio professore di filosofia. Però dei pezzettini di Keating si trovano durante il nostro percorso anche se ultimamente, pensando a questo, ho capito che in ognuno di noi c’è un Keating. Il punto è che bisogna imparare ad ascoltare questa parte. Ci si può convincere di vivere una vita che può sembrare vivibile e lo si può fare molti anni, anche per tutta una vita ma alla porta dell’anima, comunque, il nostro vero io, il nostro vero essere, bussa. E quel bussare non si può far finta di non ascoltarlo, di nasconderlo. Prima o poi, però, esprimerà la sua voce. Anche all’ultimo momento o anche sotto forme che non siamo spesso capaci di capire e riconoscere come la malattia o un infortunio, come un qualcosa di sconvolgente che ci succede.

Quali sono le prossime tappe dello spettacolo?

Dopo Foggia, lunedì partiamo per la Toscana. Andiamo a Lucca, a Campi Bisenzio, poi vicino Milano e infine a Bologna, dove chiudiamo. L’anno prossimo riprenderemo con altre tappe dato che lo spettacolo sta conquistando le platee con il suo 95% di pubblico in sala ogni volta. Ma la cosa più bella è vedere il pubblico, a spettacolo terminato, alzarsi in piedi per un quarto d’ora perché coglie il messaggio lanciato dall’opera.

Cosa porterà in scena dopo L’attimo fuggente?

Finito questo attacco subito con il riallestimento di uno spettacolo che ho fatto l’anno scorso con Simona Cavallari, che si intitola Mi amavi ancora. Il titolo è un adattamento in traduzione di un testo di Florian Zeller, autore francese molto stimato, ed è uno spettacolo molto interessante perché è una sorta di commedia psicologica sull’amore e sulla perdita, sulla gelosia però giocata sempre su toni molto sottili e molto emozionali. Per cui sono molto fiero di questo spettacolo, di cui ci hanno richiesto già altre 50 repliche.

Lo Spettacolo

L’Attimo fuggente è un inno alla creatività, alla libertà e alla fantasia, alla cura dello spirito e all’individualità. Certamente la sacra fiamma che muoveva Shakespeare e Byron – citati nel corso della recita – non può albergare in ognuno di noi, ma l’arte, la bellezza e l’amore possono indirizzare l’uomo verso una dimensione più alta, permettendogli di superare sciocche convenzioni e retaggi ormai logori che  lo tengono imprigionato e gli impediscono di conoscere la sua vera identità. Del resto il messaggio dell’Attimo fuggente  è ancora attualissimo: soffocare aspirazioni e attitudini in nome di forze esterne non ci consente di vivere appieno e di scoprire le nostre reali potenzialità. In nome della rispettabilità, dell’onore, del moralismo più bieco chiniamo il capo pensando che sia la scelta più giusta per la nostra esistenza. Siamo artefici del nostro destino e delle nostre sconfitte. Soltanto noi possiamo concedere agli altri il potere di colpirci e renderci deboli.

L’adattamento teatrale, proprio come il film, contrappone ripetutamente la tecnica alla bellezza, la tradizione all’innovazione, la giovinezza all’età adulta in un gioco di specchi che rapisce il pubblico, il quale viene messo  continuamente alla prova sulle scelte compiute nell’arco della propria vita. Siamo sicuri che scrivere poesie sia un’attività inutile? Che dare sfogo all’anima non serva a niente? Che il lavoro futuro debba essere l’unica preoccupazione di un ragazzo? Sicuramente la pedagogia alternativa del prof. Keatint può aiutare a liberarci dai lacci che la società ci impone sin dalla nostra nascita. Eppure si può cadere facilmente in errore assistendo a questa pièce: l’ambizione è un fattore importante perfino per lo stesso Keating, il quale non se la sente di consigliare una vita esclusivamente sradicata dai problemi quotidiani che attanagliano chiunque. Vivere sì con i piedi a terra ma alzando spesso gli occhi al cielo, quindi

Il ruolo del prof. Keating sembra essere fatto apposta per Ettore Bassi. Il pubblico, rapito e ammaliato dai suoi monologhi brillanti nonché da questo personaggio carico di umanità, ha tributato ben 10 minuti di applausi in chiusura. Tutto il cast ha offerto una magnifica prova ma il prof. Bassi, per la prima volta al Teatro Giordano, è entrato nel cuore dei foggiani senza alcuna fatica. D’altronde chi non avrebbe voluto averlo con sé negli anni difficili dell’adolescenza o dell’università?

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