“Anatomia di uno scandalo” e il corpo ambivalente di chi dice fermamente NO

by Molly Clauds

Non è facile riprendere consumi televisivi normali, dopo la luce e la spensieratezza dell’Età della Reggenza di Bridgerton, specie per chi come me si è presa una cotta platonica, sin dalla prima stagione, per il Visconte Anthony, alias Jonathan Bayley. Per staccare la spina dai prati e dalle piste da ballo inglesi in costume, entrare nella Camera dei Comuni di Londra ai giorni nostri e scandagliare il marcio potere che lega gli uomini tra di loro in un machismo sessista duro a morire potrebbe fare al caso vostro.

Non è irresistibile ma tiene comunque incollati allo schermo Anatomia di uno scandalo, la nuova miniserie Netflix tratta dal best seller di Sarah Vaughan, l’omonimo Anatomy of a Scandal, arrivata sulla piattaforma la Settimana Santa.
Il cast è di quelli altisonanti: la ex It girl Sienna Miller nei panni della moglie tradita Sophie, il fascinoso e rassicurante Rupert Friend in quelli del politico James Whitehouse, Naomi Scott nelle vesti della giovane Olivia Lytton e Michelle Dockery in quelle di Kate Woodcroft, la pm.

La storia è nota. Un brillante Ministro conservatore ha una relazione molto hot con la sua assistente parlamentare che ha quasi la metà dei suoi anni. Una tresca che sfocerà in maniera sconcertante in uno stupro nell’ ascensore del Palazzo del Governo.

Non sarà la prima volta del bennato tory. In un crescendo di flashback il pubblico scopre consumando i sei episodi che già ad Oxford James aveva insidiato una giovane vergine goffa, secchiona e sovrappeso.
Ebbene la serie è tutt’altro che indimenticabile, nonostante il cast che riesce a trasmettere l’ambiguità e le eleganti atmosfere che rendono algido il clima del legal drama.

Va vista per il messaggio sottile che introietta nello spettatore dopo il metoo e la consapevolezza sulla ferocia della violenza maschile. L’addivanato spettatore diviene egli stesso un membro della giuria popolare del processo. Nonostante i passi in avanti in materia di stupro nelle sentenze nostrane, resta ancora fondamentale lo sguardo per lo più assente sulla vittima, soprattutto quando come in Anatomia di uno scandalo la donna, in una condizione di sottomissione o di svantaggio, è affascinata o prova dei sentimenti forti per quello che diverrà il suo stupratore. Quando cioè esiste una perturbante ambivalenza del corpo.

Come giudicare un NO che viene pronunciato dalla voce di un corpo che in qualche modo freme dal desiderio e che brama che quel desiderio venga agito diversamente?

Non qui, non così, sono un NO?
Perché accettare il NO della ragione se il corpo arde e vorrebbe cedere? Ecco sono questi ultimi sprazzi di patriarcato che ci fanno simpatizzare per qualche episodio per il politico stupratore.

Manca sempre dall’elenco la frase più terribile. “Perché non hai detto no?”. La risposta appare chiara: perché finché dominano assetti di sguardo patriarcali secondo cui ad essere imputato nei processi sembra la vittima e non chi ha compiuto la violenza, chi tace acconsente.
Chi tace, più che altro, ha paura e basta. Oppure vuole del sesso diverso. Senza violenza, senza sopraffazione, senza oltraggio e perversione.

Nella serie c’è forse qualche sbavatura nella sceneggiatura di Melissa James Gibson e David E. Kelly, due showrunner che hanno affinato il proprio talento lavorando alla stesura di alcuni episodi di The Americans e House of Cards (Gibson). Perfetto il legal drama, meno performanti i dialoghi tra moglie e marito. I due interpreti sono colti in una fissità di intenzioni che non riesce a penetrare la loro psicologia.

La regia affidata a S.J. Clarkson, che vanta la direzione di episodi di serie famose come House, Dexter, Succession e Collateral, riesce a mantenere alta la tensione e la curiosità per il segreto giovanile che unisce Ministro e Primo Ministro.
Il finale è a sorpresa.

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