La sposa, la fiction e l’ossessione del campanilismo

by Enrico Ciccarelli

Insegna l’aforista, in questo caso il grande autore di fantascienza Kurt Vonnegut che “Siamo quelli che fingiamo di essere. Quindi dobbiamo stare attenti a quello che fingiamo di essere”. La finzione, la narrazione, l’immaginario sono spesso più autentici della realtà. Diversamente non avremmo migliaia di persone che si recano ogni anno a Baker Street, a Londra, per vedere la casa di Sherlock Holmes o a Verona, a sospirare sotto il balcone di Giulietta. È quindi normale che si discuta e magari ci si accapigli su vicende e personaggi mai esistiti; un effetto moltiplicato e massimizzato dall’audiovisivo, per il suo pervasivo iperrealismo.

La filologia narrativa non è sempre compatibile con le esigenze produttive. Accade così che una storia ambientata in Calabria e Veneto, come quella che viene tradotta in video dalla fiction Rai “La sposa”, sia in realtà girata in Puglia e in Piemonte (con molti interni a Roma). Serena Rossi e la sua troupe sono stati per diverse settimane a Monte Sant’Angelo e a Vieste, divenute teatro della parte calabrese della storia. Il vulnus non sembra particolarmente grave: la fiction, realizzata con grande professionalità e ottimamente interpretata, non sembra particolarmente originale. Al Sud c’è sole e povertà, al Nord nebbia e durezza di cuore. Fra matrimoni per procura, creditori rapaci, migrazioni da lavoro e razzismi, La sposa sembra una riedizione millennial dei drammoni anni Cinquanta di Raffaello Matarazzo, con Amedeo Nazzari e Yvonne Sanson. Letteratura d’appendice, feilleuton da cinematografo che il vasto pubblico ama da sempre e che nel caso di specie comprende, oltre a temi sociali e travagli sentimentali, una spruzzata di thriller che non guasta.

In tempi di social e di foggianesimo, tuttavia, non poteva mancare l’ennesima polemica di retroguardia. Più d’uno ha lamentato il camuffamento del Gargano da costa tirrenica (o jonica, non è chiaro). Fra loro, sorprendentemente, l’ex-eurodeputata Elena Gentile, che, pur con grande pacatezza, si è rammaricata che, in un momento così difficile, il Gargano sia stato privato di una visibilità che a suo giudizio avrebbe aiutato quelle comunità. Per la verità la maggior parte dei commenti social è stata di segno diverso. Sia i sostenitori che i detrattori della fiction hanno preso le distanze da una rivendicazione di campanile ritenuta più provinciale che fondata.

Il bello è che nel frattempo il presidente del Consiglio regionale del Veneto Roberto Ciambetti ha sparato a palle incatenate contro la fiction per il motivo esattamente opposto, considerandola un falso storico e un insulto all’immagine dei vicentini, che a suo dire non avrebbero avuto né l’abitudine né il bisogno di recarsi in trasferta a reclutare spose nel profondo Sud. La polemica dell’esponente leghista vale quel che vale; ma getta una luce ancora più paradossale sul desiderio di alcuni di vederci riconosciuti come terra in cui le spose le vendevano. Sono assai misteriose le vie del campanilismo.

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