Maurizio de Giovanni partendo dall’inizio: Il senso del dolore per il Commissario Ricciardi e quel Fatto che lo rende un antieroe. Adesso anche in tv

by Giammarco Di Biase

Maurizio de Giovanni ha iniziato a scrivere nel 2005 vincendo un concorso per giallisti esordienti, con un racconto avente per protagonista quello che sarebbe diventato poi, di lì a poco, il protagonista della sua narrativa, il Commissario Ricciardi prima ancora dei fortunati Bastardi di Pizzofalcone e dell’ultima sua eroina trasposta su rai 1 con una serie tv, Mina Settembre. I romanzi con Ricciardi sono stati tradotti in Germania, Spagna, Inghilterra, Francia e in continua pubblicazione negli Stati Uniti.

E’ difficile ricostruire il personaggio tanto amato da De Giovanni e da una fetta grande di pubblico che l’ha seguito voracemente per tutti questi anni. Difficile perché la storia di Luigi Alfredo Ricciardi è una storia che ormai ha smesso di essere raccontata. Con un capitolo conclusivo, Il pianto dell’alba Maurizio de Giovanni conclude la sua saga poliziesca, con tinte forti di noir, dopo tredici anni dal primo capitolo Il senso del dolore dedicato al suo personaggio diventato per qualità e quantità di temi un topos letterario del genere più fruibile e più fruito dai lettori, che si innalza e si eleva a qualcos’altro che prescinde dalla razionalità del “giallo” per legarsi ad altri campi e in altre dialettiche di genere.

E’ proprio da Il senso del dolore che nasce il suo personaggio più amato degli italiani, fino ad oggi ancora non trasposto per la tv. Proprio da quell’opera parte una fitta rete di racconto che si lancia in formidabili capitoli della saga e in brevi racconti per sancire con padronanza una storia che ha una persecutio necessaria e sofferente, un inizio e una fine, che muove il personaggio, lo agita nel tempo, lo sostiene e lo fa decadere con placida e funambolica scrittura, un senso del destino che porta il dolore appresso e che non smette mai di essere coerente con la natura e l’animo del suo protagonista. La saga del Commissario Ricciardi è una saga destinale, in divenire, con un senso di lutto che evapora nella pagine e trova proprio nel suo ultimo capitolo, quell’isterismo e quella forza di scrittura che il Commissario Ricciardi si è portato sempre dietro, il dolore e la sfortuna, la rassegnazione e la miseria.

E’ dalla fame, dal possesso e dall’amore, questa trinità allarmante e delittuosa, che parte il primo capitolo della saga, è da qui che parte il racconto della prima indagine scritta da un uomo già commissario, già addolorato, già dotato di una forza, già antieroe a tutto tondo. Il commissario Ricciardi, fuggevole e sempre fuggito dalla gerarchia, dal fascio che pretende colpevoli e assassinati degni della prima pagina nazionale fascista, dal popolino in erba che rende qualsiasi proprio avere e qualsiasi sentimento ad un partito forte e reazionario con voglia di compostezza senza squilibri di incoerenza e che esalta il mito della correzione e del perfezionismo, vive al di la della solitudine. Vive con il “Fatto”. Così famoso per chi l’ha sempre letto, il Commissario Ricciardi ha scelto quel suo lavoro, è arrivato dove è arrivato, con dolore e tanta sapienza per un suo sesto senso o un potere, come lo si vuole chiamare lo si chiami, che ha a che fare con i morti. Guarda, per un appunto preciso, le ultime sensazioni, le ultime posture dei morti prima di esalare l’ultimo respiro. Li sente parlare, o come nel caso della prima indagine narrata nel primo libro, che ovviamente non coincide con la sua prima indagine nella storia fantomatica e di finzione del suo personaggio, già sottoposto e già integrato, con la morte di un tenore, tale Arnaldo Vezzi, morto con un vetro dello specchio del camerino dove si truccava nella carotide prima della sua rappresentazione da tenore al San Carlo di Napoli, negli anni 30’, nel ruolo di Canio de I Pagliacci di Ruggero Leoncavallo.

E’ qui che inizia il giallo, è qui che Ricciardi rincontra il suo fato e il suo Fatto, quello di guardare le vittime qualche sentimento e attimo prima di morire. Qui inizia e finisce la sua sensibilità? Questa è la sua fortuna di investigatore?
Altro che fortuna, Ricciardi è un personaggio eroico che dell’eroe ha soprattutto quel dolore, quel senso del dolore del titolo, dove qualsiasi emozione, dove qualsiasi valore, l’amore, l’amicizia, la passione quando non è torva, l’orgoglio quando non è scorretto e non prevarica, sono tutti indizi, parti mancanti, di un’indagine refrattaria su un delitto. Tutti pezzi aggiunti, tutte basi per indagare e il commissario Ricciardi, quindi, di suo, non crede a nulla. Solo forse, nel suo lavoro, nella legge forse, o forse di più nella giustizia, ma poi come fosse un Poirot, quella sa muoverla come un anti-eroe a fatti suoi, pur rispettando l’umanità.

Ricciardi ha un potere ancora più grande del Fatto, che per lui è una dannazione, il potere della correttezza, della moralità e del senso comune che si può ritrovare nella grande letteratura che evade dai sistemi e dai campi di un database ideale, di quella parola e di quell’aggettivo che rende un qualsiasi libro destinato ad essere famoso e ad essere letto: La “qualità” della sua storia, la qualità del suo fattore umano, la qualità dell’intreccio, ma soprattutto in Ricciardi è qualitativo il discorso che se ne fa dell’umanità, è qualitativa la persona e i personaggi che si muovono nel racconto. Non stiamo parlando di personaggi per forza e a tutti i costi salvi e buoni, non c’è idillio in Maurizio de Giovanni, c’è sentimento. Che è diverso, che è più importante. C’è quel piacere del genere e sembra di leggere un testamento universale su cui tutti gli uomini alla fine fanno destino, la malinconia della morte, la malinconia della vita, e il dolore che passa da una malinconia ad un’altra.

Molti scrittori come lui, e molti lettori come noi, sanno come finisce Ricciardi, come finiscono le sue stagioni che danno titolo a quasi tutti i libri e i racconti. Alcuni lettori hanno protestato, altri hanno sottolineato la coerenza. Hanno visto in quelle ultime righe quel destino sempre proteso al protagonista, che il protagonista ha sempre riconosciuto per se stesso, e che solo qualche volta apparentemente, ha voluto cambiare. Ma forse, Ricciardi è come un’edizione di genere, impastata tra civiltà perduta, assassini, prostitute, femme fatale, indagini e colpi di scena, di un’Eneide ultra-contemporanea che riconosce il suo interesse proprio nella promessa e nella premessa del suo fato. Quella di essere fin dall’inizio questo e quest’altro, illusione di cambiare la trama, un mondo, una civiltà, giungendo col cambiamento sempre alla risposta e all’obiettivo già consapevoli fin dalla partenza. Ricciardi è un Enea che ha avuto una fine, e che ha avuto il respiro corto, i fianchi stanchi, che nel suo viaggio ha raccontato e ricevuto amore da Enrica e da Livia, Didone sia l’una che l’altra di un genere esploso in Italia, che non finisce mai di raccontare i secoli bui e la ricostruzione, partendo dal lutto e dalla consapevolezza del dolore.

Maurizio de Giovanni, dopo aver raccontato la prima avventura del commissario Ricciardi, dove offre già un’ampia visuale di quelli che sono i personaggi letterari del suo mondo, il vicequestore Angelo Garzo, il suo amico medico legale antifascista Bruno Modo, Rosa la tata, il fedele brigadiere Maione, offre una piccola chicca letteraria. Stiamo parlando di Incontro con Ricciardi, dove idealizza, porta all’estremo i contenuti dell’arte e della sua arte, si incontrano al Gambrinus in piazza del Plebiscito proprio lo stesso scrittore che ha creato il personaggio, e il personaggio che ha creato il suo stesso scrittore. Parlano, Maurizio de Giovanni fa domande, il commissario risponde con quello sguardo sempre vitreo e profondo, con quel ciuffo che distoglie la limpidezza e la chiarezza fissa degli occhi, quel suo naso sottile e le sue mani sempre immerse nelle tasche del cappotto. Si raccontano in un gioco di specchi, tra creatore e creato, su tutti quelli che sono i punti salienti della narrativa che costituirà la maggiore notorietà poi, di de Giovanni.

Proprio in conclusione, quasi in calce al discorso intimo e diretto, la domanda dello scrittore, impossibile da non rileggere dopo l’ultimo capitolo della saga, avanza a Ricciardi un interrogativo importante che tutti si chiedono fin dalla sua prima indagine: Secondo te come finirà, Ricciardi? Quando e come finirà la tua storia?

Ricciardi risponde: E’ la domanda che avrei dovuto farti io, non credi? Ma so che, proprio come lo ignoro io, lo ignori anche tu. E tutto sommato, nemmeno mi interessa.

Così inizia l’avventura di Ricciardi e l’avventura nostra nel leggerlo o rileggerlo dall’inizio fino alla sua inestimabile e criticata fine. Con un lungo anelito che ha il sapore già dal principio di un duro addio.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.