Vichanya Pamyat, l’eterna gloria nel finale di Chernobyl

by Gabriella Longo

“Vichanya Pamyat”, è cioè, “eterna gloria”: questo è il titolo del capitolo conclusivo di Chernobyl, l’epitaffio inciso sopra ad un racconto di morte. Per quattro puntate, regia e sceneggiatura hanno sinergicamente ricostruito gli effetti dell’esplosione del reattore 4, ma è al quinto episodio che spetta il tragico racconto di quelle che ne furono le cause.

Molti interrogativi trovano finalmente risposta; primo fra tutti: cosa successe davvero la notte fra il 25 e il 26 aprile del 1986? L’espediente narrativo utilizzato per dire tutto questo è quello del processo, scritto sulla base di quello che si tenne nel 1987: al banco degli imputati Dyatlov (Paul Ritter), Bryukhanov (Con O’Neill) e Fomin (Adrian Rawlins), e fra i testimoni i compagni Shcherbina (Stellan Skarsgård), Legasov (Jared Harris) e Khomyuk (Emily Watson). In realtà per come viene raffigurato nella serie di Mazin, conta una buona dose di artefatti narrativi, ma ha, appunto, la funzione di chiudere le storyline dei personaggi, spiegando allo spettatore, con la dovizia scientifica che ha caratterizzato tutta la serie, le ragioni, alcune di loro solo probabili, dell’incidente più disastroso della storia.

Sull’asse narrativo principale, si stagliano una serie di flashback che portano indietro sino alle 12 ore prima dell’esplosione e che fungono da prove visive a supporto degli interventi di Shcherbina, Legasov e Khomyuk, anche se, buona parte dei fatti narrati nella puntata, subisce una importante drammatizzazione. Impossibile, ad esempio, è stabilire se gli imputati avessero realmente messo a repentaglio la nazione per una promozione; assolutamente accertata è, invece, la non presenza di Legasov e Scherbina in tribunale, così come quella di Ulana Khomyuk, essendo l’unico personaggio di fiction all’interno della miniserie. Il suo ruolo, però, è stato ed è anche adesso, il polo morale della vicenda: è lei, infatti, a spingere Legasov a sacrificarsi in nome del massimo valore del sapere scientifico, in nome del non-quantificabile patrimonio umano già arrischiato, e per quello che la verità salverà nel futuro.

Certa è anche, la ragione dell’esplosione, spacciata come il prodotto di un “errore umano”, causata dall’inesperienza del personale la notte del test, ma provocata da qualcosa di molto più grande, ovvero della valanga di negligenze del Cremlino, nonché della pericolosa approssimazione nella costruzione delle centrali dell’allora URSS.

Se le dinamiche del processo di Mazin non possono dirsi storicamente esatte, la costruzione scenografica dell’aula di tribunale lo è senz’altro, a partire dall’ordine in cui gli imputati erano seduti. Più di un’ora restiamo chiusi anche noi dentro quell’aula, ad ascoltare silenziosamente Legasov ricostruire il funzionamento di un obsoleto reattore a coefficiente di vuoto e che utilizza ancora barre di boro con punte di grafite. Non c’è molto altro da aggiungere, se non che la domanda “qual è il costo delle bugie?” resta ancora insoluta. Un fatto è certo: la luce è sempre la soluzione all’oscurantismo. Per questo l’obiettivo dell’emittente di colmare le lacune culturali del grande pubblico, può dirsi raggiunto, anche se, la Storia è molto più complessa di così. “Eterna gloria”, dunque, a Legasov, alle fila di Liquidatori richiamati a pulire l’area. Ed eterna gloria alla verità.

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