Enrica Calabresi, il coraggio di una scienziata ebrea che rifiutò fino alla morte di nascondersi

by Michela Conoscitore

Il 21 novembre 2019 a Roma, nel quartiere Primavalle, ha avuto luogo un importante avvenimento simbolico. Tre vie del quartiere romano precedentemente dedicate a Donaggio e Zavattari, due dei firmatari del Manifesto della razza, sono state intitolate a tre grandi personalità ebree del secolo scorso che si sono opposte alle discriminazioni razziali e al regime fascista.

Si tratta di Mario Carrara, padre della medicina legale italiana, e le scienziate Nella Mortara ed Enrica Calabresi. Più risonanza dell’intitolazione ha ricevuto, purtroppo, la notizia che quelle targhe sono state imbrattate con della vernice nera, la settimana successiva alla cerimonia. Dopo le aggressioni subite dai ragazzi del Cinema America, nel corso dell’estate, si è aggiunto adesso questo accadimento, segnale che gli esempi di vita che alimentano la memoria delle vittime dell’Olocausto non hanno ancora fatto del tutto presa nelle menti di molti.

Quindi, quale risposta migliore nel narrare, nuovamente, la storia di un’esistenza che per noi contemporanei funge non soltanto da monito ma anche da esempio, perché risalente a un’epoca, quella dei totalitarismi, in cui il coraggio e la determinazione di portare avanti le proprie idee e il proprio credo erano l’antidoto alla perdita di dignità.

La Storia di Enrica Calabresi

Da Roma ci spostiamo a Ferrara, e non è solo un cambio di posizione geografico, ma anche temporale perché idealmente torniamo al lontano 10 novembre del 1891, data di nascita della scienziata Enrica Calabresi. Ultimogenita, Enrica crebbe in una famiglia in cui le donne e la scienza erano tenute in grande considerazione. Iniziò a studiare matematica a Ferrara, per poi decidere di trasferirsi a Firenze, dove si laureò, col massimo dei voti, il primo luglio del 1914 in Scienze Naturali. L’anno prima, per la sua viva intelligenza, aveva già ottenuto il posto di assistente alla Specola, il Gabinetto di Zoologia e Anatomia Comparata dell’ateneo fiorentino.

A Firenze, oltre ad uno sfavillante inizio di carriera, incontrò anche l’amore: lui era Giovan Battista De Gasperi, di Udine, geologo ed esploratore, anche lui brillante studioso come Enrica, aveva già partecipato ad un’importante spedizione in Patagonia con De Agostini. I due decidono di fidanzarsi ufficialmente, e pensano già al matrimonio. Ma scoppia la Prima Guerra Mondiale, e De Gasperi parte per il fronte come tenente degli Alpini. Dopo una medaglia d’argento al valor militare, il geologo perde la vita durante una battaglia.

Aveva solo ventiquattro anni, e all’attivo ben 137 pubblicazioni scientifiche, segno di un avvenire professionale più che promettente.

Enrica decide di abbandonare momentaneamente l’università e si arruola come crocerossina per offrire il suo aiuto in quell’inutile strage. La scienziata decise di esorcizzare così il lutto per la perdita di De Gasperi, oltre a non voler più intraprendere nessun’altra relazione, rimanendogli fedele a vita.

Terminato il primo conflitto bellico, Enrica torna a Firenze: il suo ambito d’applicazione sono gli insetti, bravissima nel riprodurli in tavole eccezionali, nel 1918 entra a far parte della Società Entomologica Italiana come segretario. In seguito, nel 1924, ottiene l’abilitazione all’insegnamento della Zoologia. Molto colta, Enrica parlava correntemente l’inglese, il francese e il tedesco, lingue che la aiutarono ad intessere relazioni accademiche e per stilare pubblicazioni che trovarono ampia diffusione all’estero. Sempre agli anni Venti, risalgono le sue collaborazioni con la Treccani e l’Università di Berlino.

Nel frattempo, il clima in Europa stava volgendo al peggio: fermamente convinta dei suoi ideali antifascisti, nel 1932 l’Università di Firenze le tolse l’incarico di docente per assegnarlo ad un fascista della prima ora, il conte Lodovico di Caporiacco. La Calabresi, pur di lavorare, nel 1933 si vide costretta a tesserarsi al partito fascista, soltanto così ottenne un incarico nel Regio Liceo per Geometri Galileo Galilei. Nel 1936, inoltre, fu chiamata ad insegnare presso la cattedra di Entomologia agraria, presso la facoltà di Agraria dell’Università di Pisa.

Nel frattempo, a Firenze, passò ad insegnare nel Regio Liceo Ginnasio Galilei: tra i suoi allievi, la futura scienziata Margherita Hack, che deve proprio alla Calabresi la sua vocazione antifascista. La Hack raccontò, tempo fa: “L’ho vista cacciare dalla scuola da un giorno all’altro a causa delle leggi razziali. Questo mi ha aperto gli occhi su cosa può fare una dittatura e ha segnato in me una frattura: è allora che sono diventata antifascista”.

I membri di razza ebraica delle Accademie, degli Istituti e delle Associazioni di scienze, lettere ed arti, cesseranno di far parte delle dette istituzioni a datare dal 16 ottobre 1938-XVI.
Regio Decreto Legge 1390 del 5 settembre 1938, articolo 4

Proprio a causa dell’introduzione delle leggi razziali che la professoressa Calabresi perse tutti gli incarichi pubblici.

Costretta a dichiarare la sua razza e la sua fede, fu cacciata via dagli ambienti universitari e scolastici fiorentini, nell’indifferenza generale dei colleghi. Per Enrica, però, lo studio e l’insegnamento sono sempre stati una cura ai dolori della vita, così si dedicò agli alunni ebrei, espulsi dalle scuole statali, che la comunità di Firenze accolse nella Scuola Ebraica.

Una mattina del gennaio 1944, i fascisti andarono a prelevarla nella sua abitazione in via del Proconsolo, e la portarono nell’ex monastero di Santa Verdiana, riconvertito a centro di smistamento per i deportati destinati ad Auschwitz.

Enrica avrebbe potuto fuggire in Svizzera con la sua famiglia, ma non volle abbandonare i suoi alunni. Avrebbe potuto nascondersi, ma affermò sempre di non voler mettere in pericolo la vita di qualcuno che avrebbe coperto la sua sparizione.

Enrica aveva già deciso: nel viaggio verso il monastero di Santa Verdiana era tranquilla, mentre stringeva tra le mani una piccola ampolla di vetro. Alla madre e alla sorella Letizia aveva sempre ripetuto che, se fosse successo, non sarebbe mai partita per i campi di concentramento. Il 18 gennaio ingoia il contenuto di quella ampolla, fosfuro di zinco, un veleno che dopo un’agonia di due giorni la portò alla morte, il 20 gennaio del 1944.

Tornando ai nostri giorni, e pensando al gesto commesso verso le targhe delle vie a Roma, quel che la mente suggerisce di fare, in modo immediato, è ringraziare la professoressa Calabresi per il suo immenso esempio di vita. Poi, sperare che un po’ di luce illumini le menti di chi brancola ancora nel buio di ideologie sterili.

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