Le parole di Lady D.

by Paola Manno

È impossibile dimenticare il tappeto di fiori che per settimane ricoprirono i marciapiedi e le strade attorno ai cancelli di Kensington Palace e di Buckingham Palace, i giorni che seguirono quello della morte di Lady Diana, il 31 agosto del 1997. Furono 2.500.000.000 le persone che seguirono il suo funerale in TV, di cui più di 32 milioni solo in UK. 

16 anni prima, le stesse tv avevano trasmesso la cerimonia del matrimonio con il principe Carlo, seguita da circa 750.000.000 di persone in tutto il mondo. Migliaia di articoli, servizi televisivi, documentari e film hanno raccontato la figura dell’amatissima Diana Spencer, che anche a quasi 25 anni dalla scomparsa continua ad interessare intere generazioni, millenials compresi, come dimostra l’enorme successo della serie Netflix The Crown.

Il volto della principessa triste è diventato un’icona del ‘900 e racconta, insieme alla storia del rapporto di un Paese con la propria monarchia anche, soprattutto, la figura di una donna nella quale molte altre si sono riconosciute. 

Diana era stata scelta dalla famiglia di Carlo perché, oltre ad avere origini nobili, era una ragazza “dolce, gentile, timida e graziosa” (così la descrivevano i giornali dell’epoca) e che, ne erano certi, sarebbe piaciuta a tutti. E infatti Diana piacque al popolo che visse insieme a lei ogni istante di quella che sembrava una favola e invece fu un’esistenza triste e dolorosa.

Il giorno del mio matrimonio è stato il più terribile della mia vita” racconta Diana in un’intervista registrata dal giornalista Andrew Morton nel ’91, la cui voce è il filo conduttore del documentario “Lady D. Le verità nascoste”, uscito nel 2017. Quel giorno milioni di persone alzarono i calici e brindarono alla sua felicità, piangendo lacrime di gioia vere. Quando venne annunciata la sua prima gravidanza, la gente si accalcò al cancello e la nascita di William venne festeggiata con gioia sincera da migliaia di persone.

Quella giovane ragazza che sarebbe dovuta rimanere un passo indietro al consorte, divenne invece ben presto famosissima in tutto il mondo: ovunque andasse, era lei quella che i fotografi e i giornalisti cercavano. “La sera prima del fidanzamento, il poliziotto che mi accompagnò a casa mi disse che quella sarebbe stata l’ultima notte di libertà della mia vita, e così fu” ricorda Diana che da allora non ebbe un attimo di serenità. Ogni suo passo, ogni vestito scelto, ogni parola pronunciata era l’interessante soggetto di un articolo di gossip. Nascondere il dolore del tradimento del marito, la bulimia che ne seguì, il dolore quotidiano, la rabbia, non fu affatto semplice. Fuori da quei cancelli la gente sognava la vita meravigliosa di una principessa che era, a tutti gli effetti, rinchiusa in una gabbia dorata.

La solitudine di Diana è oggi nota ma all’epoca in pochi potevano tollerare l’idea di infelicità legata ad una condizione così privilegiata. “Camilla mi chiese: -tutti gli uomini sono innamorati di te, hai due bellissimi bambini, ma che altro vuoi?” ricorda Diana nell’intervista “Riferii a Carlo che le avevo detto che lo amavo, e che non c’era nulla di sbagliato in questo”. Era l’amore ciò che Diana voleva, e che non ebbe mai. “Erano tutti felici, perché credevano che lo fossi anch’io, ma non fu mai così”. 

Le registrazioni rivelano i pensieri di Diana, presentando, nel documentario di Tom Jennings, la sua versione della storia. Sentire la voce di questa donna mi scuote profondamente. Mi tocca perché ha un tono che sembra rassegnato. Parla senza slanci emotivi, come se tutto fosse successo perché così doveva essere.

Nel 1991 Diana aveva 30 anni, madre di due figli, aveva tentato diverse volte il suicidio e il suo matrimonio era già naufragato, eppure dalla sua voce quasi non traspare rabbia, è come se avesse accolto una nuova consapevolezza. La voce di Diana mi commuove perché ne colgo la fragilità e il desiderio di rinascita insieme. La lunga intervista è infatti il desiderio di contrapporre il racconto di se stessa a quello di tutti gli altri, perché Diana è stata, suo malgrado, un personaggio mediatico eccezionale e molte versioni di lei sono state narrate al mondo. 

Nella mitologia romana, la Fama era una divinità allegorica rappresentata come un mostro coperto di piume dai mille occhi per vedere, dalle mille orecchie per ascoltare e dalle infinite bocche nelle quali si agitavano altrettante lingue. Contro quel mostro Diana ha lottato, sempre accompagnata da bodyguard, coprendosi il volto per non farsi fotografare, uscendo da porte secondarie, tentando di nascondersi in continuazione, correndo in auto inseguita dai paparazzi.

Così, di fronte alla ricerca ossessiva di visibilità che caratterizza questi anni, mi capita spesso di pensare a questo mostro che seduce e uccide, e alla voce di una donna che di certo conosceva bene il prezzo della libertà, che certamente molte volte avrà pensato a quanto sarebbe stato bello fuggire nell’apparente silenzio di una vita comune. Durante il funerale, suo fratello pronunciò parole sagge “E’ questo il luogo dove ricordare tutte quelle ironie sul conto di Diana, ma soprattutto la più grande di queste: una ragazza il cui nome è stato quello di un’antica dea della caccia, che fu alla fine tra le persone più cacciate dell’era moderna”.

Forse è proprio in questa libertà rivendicata e poi schiacciata che risiede tutto il senso tragico della fiaba-tragedia della principessa del Galles. Mi sono chiesta:-Perché Diana ha parlato, ha raccontato cose così intime e dolorose? Era stanca? Era delusa? Cosa avrebbero scritto i giornali senza quella intervista, cosa ricorderemmo oggi di lei? Ma soprattutto, cosa possono insegnarci oggi le parole di una donna che nonostante la ricchezza e la bellezza non riuscì mai ad essere felice? Forse quelle parole raccontano la cosa più banale, ma vera: la pienezza del tacito contatto dei sentimenti, il suo dolce, inestimabile valore. 

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.