Tutti i numeri del rapporto annuale del Centro antiviolenza Renata Fonte

by Paola Manno

Roberta Siragusa, 17 anni, è stata ammazzata con ferocia dal fidanzato qualche giorno fa a Caccamo, in Sicilia. Sonia di Maggio è morta dissanguata a 29 anni per mano dell’ex compagno, in mezzo a una strada di un paesino nel Salento.

Roberta e Sonia sono solo le ultime vittime di femminicidio, in Italia ogni 3 giorni una donna viene uccisa solo per il fatto di essere donna. È questo che vuol dire questa parola così contestata, “femminicidio”: è la violenza esercitata sulle donne allo scopo di perpetuarne la subordinazione. Vuol dire che chi muore, muore perché non ha accettato di essere annientata, fisicamente e psicologicamente, vuole dire che la vittima ha aspirato al diritto umano più importante, che è quello alla libertà. Vuol dire che chi uccide lo fa in nome di un pensiero ideologico di matrice patriarcale: sei mia e di te ne faccio ciò che voglio. 

C’è un sito che ogni anno riporta i nomi e le storie delle vittime: si chiamano Jessica, Agitu, Marcella, hanno 16, 40, 86 anni, a volte sono madri e figlie, vivono a Milano, Caserta, a Stalettì. Poi ci sono tutte le altre, quelle di cui non sappiamo nulla, ci sono ragazze che a 15 anni rinunciano allo sport, alle uscite con le amiche, quelle che lasciano la scuola perché “il fidanzato è geloso”, quelle che non possono andare via di casa perché economicamente dipendenti dal marito, ci sono donne che hanno subìto tutta la vita e non riescono a vedere la luce in fondo al tunnel.

Ci sono quelle che denunciano ma poi ritornano a casa, perché non sanno dove andare a dormire. Ci sono quelle che trovano sostegno nei centri antiviolenza, luoghi che sono spesso gli unici in cui le donne capiscono le altre donne, in cui non c’è giudizio, ma accoglienza, 24 ore su 24. Luoghi che troppo spesso vivono soprattutto grazie al volontariato, che chiedono spazi per le donne che devono allontanarsi dai contesti nei quali vivono, per ricominciare. 

É di questi giorni la pubblicazione del rapporto annuale 2020 a cura del Centro Antiviolenza Renata Fonte di Lecce che racconta un territorio, rappresentativo di quello che è successo in Italia in questo anno così difficile. “Appena iniziato il lockdown, nelle prime due settimane di marzo, sono calate drasticamente le richieste di aiuto, i telefoni sono rimasti muti. Tutte noi del Renata Fonte eravamo molto preoccupate perché sapevamo che le donne erano costrette a stare a casa con il maltrattante h 24 -scrivono le operatrici del Centro -Abbiamo avviato una massiccia campagna di comunicazione e sensibilizzazione sui social anche grazie alla collaborazione della Regione Puglia dal titolo Emergenza Covid e violenza sulle donne. Subito dopo c’è stata un’improvvisa impennata e quindi una crescita esponenziale delle richieste d’aiuto. Ce l’abbiano fatta con grande sforzo e sacrificio ma è stato un momento molto complesso e delicato perché anche noi donne operatrici ci siamo sentite lasciate sole. Successivamente le chiamate si sono assestate su frequenze consuete. Si fa notare che la curva delle chiamate si è nuovamente impennata verso la fine del mese di ottobre- inizi di novembre e cioè quando a livello nazionale, si paventava un nuovo lockdown. 

Nel corso dell’anno le chiamate al Centro Antiviolenza Renata Fonte sono state 245, per 8 donne è stata necessaria l’immediata messa in sicurezza. L’invio delle donne al Centro è avvenuto per il 9% dal 15 22 (Help Line violenza e stalking, attivo h24), per il 5% dalle Forze Dell’Ordine, per il 6% da consultori e Servizi Sociali, per il 65% autonomamente o su consiglio di familiari ed amici trovando i contatti sui Social e Web; la restante parte è stata inviata al Centro da Medici di famiglia, avvocati, psicologi, associazioni religiose e scuola.

La violenza si è consumata nella maggioranza dei casi all’interno delle relazioni di coppia (93%), con reati che vanno dalla minaccia (36%) alla violenza fisica (28%) allo stalking (25%), alla violenza economica (27%). La violenza psicologica (100%) ha accompagnato tutte le forme di violenza sopracitata. Il 53% delle donne che hanno chiesto aiuto, ha dichiarato di avere paura per la propria incolumità, ciò nonostante il 77% non denuncia subito. La fascia d’età più rappresentata è quella che va dai 40 ai 49 anni (34%) seguita dalla fascia 30/39 (28%) e la fascia 16/29 (21%), il 5% nella fascia 60/69. Il 54% circa è in possesso di diploma e il 15% di laurea, ad attestare la trasversalità del fenomeno. I figli che assistono alla violenza sono per il 40% minorenni e il 22% maggiorenni. Il 38% ha un’occupazione stabile, il 50% vive una condizione lavorativa precaria o in cerca di prima occupazione.

Durante l’anno pandemico per alcuni casi si è verificata una situazione di povertà estrema, donne che già svolgendo lavori precari, improvvisamente a causa del lockdown hanno perso anche questa minima fonte di guadagno, ritrovandosi in una situazione di grossa difficoltà.

Dacia Maraini si è chiesta cosa succederebbe se il fenomeno riguardasse la sfera maschile, se due uomini alla settimana venissero strangolati, accoltellati, fatti a pezzi, gettati nei cassonetti dalle loro mogli. “Si leverebbero voci scandalizzate, urla, denunce. Qualcuno certamente teorizzerebbe che le donne sono malvagie per natura, nemiche dell’uomo e tendono a distruggerlo. Verrebbero fuori decine di psichiatri a dire che le donne sono incapaci di vincere la gelosia, portate al crimine e oggettivamente pericolose. Esagero? Ma cosa dire di fronte al silenzio drammatico che accompagna le centinaia di femminicidi? Mentre tutti i delitti contro la persona diminuiscono, come dichiarano tutti gli Istituti di statistica, i delitti in famiglia crescono” ha scritto sul Corriere della Sera  il 1 febbraio del 2021.

Di cosa abbiamo bisogno? Di un cambiamento culturale, radicale, definitivo. Abbiamo bisogno di comprendere e far nostro il pensiero della necessità di riscrivere un equilibrio di potere che coinvolga i diritti di tutti, in ogni aspetto della vita. La violenza contro le donne è infatti, come ha stabilito  la Convenzione di Istanbul, una violazione dei diritti umani. Non dimentichiamolo. 

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.