Berthe Morisot, pittrice impressionista e cronista colta della condizione femminile nella sua epoca

by Michela Conoscitore

Otterrò la mia indipendenza solo perseverando e non tenendo segreta la mia intenzione di emanciparmi.

Berthe Morisot, Lettera alla sorella Edma

La tenacia di poche, che hanno parlato per molte. Berthe Morisot più che parlare, dipinse: fu tra i fondatori dell’Impressionismo, riconosciuta dai colleghi e osannata per stile e bravura, portò avanti il mestiere di artista non solo perché era parte di lei. La pittrice non si arrese mai a quella concezione di donna bidimensionale, propria dell’epoca in cui visse, dedita a marito e figli.

Proprio come la sorella, Edma. Eppure, anche lei dipingeva ma dopo il matrimonio fu costretta a rinunciarvi, strappò via da sé ciò che aveva reso piena la sua esistenza fino a quel momento, per diventare moglie e madre. Il tedio si impossessò della vita di Edma. Berthe, che era legata alla sorella da un rapporto simbiotico, assistette a quella rovinosa discesa nell’indistinto, percependone il dolore. La personalità del marito, per osmosi, diventava anche quella della moglie. E le donne dimenticavano loro stesse.

Le due sorelle Morisot vennero al mondo in una famiglia agiata, il padre Edme fu prefetto dell’impero, una delle cariche più prestigiose allora in Francia, mentre la madre Marie Josephine si occupò dei figli e della casa. Oltre ad Edma e Berthe, in famiglia c’erano anche la maggiore Yves e l’unico figlio maschio dei Morisot, Tiburce. Marie Josephine curò attentamente l’educazione dei suoi ragazzi; le figlie, infatti, furono indirizzate verso una preparazione che contemplava la danza e la musica. Però, la donna provò a far appassionare le figlie anche alla pittura: Marie Josephine era pronipote del celebre pittore Jean-Honoré Fragonard, una gloria in Francia, seppur dopo la Rivoluzione Francese subì un’ingiusta damnatio memoriae. Inizialmente, fu la stessa Marie Josephine a trasmettere ad Edma e Berthe i primi rudimenti, poi accorgendosi del loro talento, decise di affidarle a dei pittori professionisti.

Edma e Berthe, in quanto donne, non potevano frequentare l’Accademia di Belle Arti, ma la madre non si perse d’animo; il primo pittore che contattò fu Chòcarne, e in seguito Guichard, già allievo di Ingres. Il pittore seguì con meticolosità l’apprendistato delle sue allieve e, notandone la straordinaria inclinazione, scrisse al capofamiglia Edme, per metterlo in guardia:

Considerato il carattere delle vostre figlie, il mio insegnamento non le doterà di piccoli risultati da salotto: diventeranno pittrici. Si rende conto di cosa significa? Nel suo mondo dell’alta borghesia questo sarà rivoluzionario, direi addirittura catastrofico. È sicuro che non maledirà il giorno in cui l’arte, ammessa nella sua casa, ora così rispettabile e pacifica, diventerà l’unico arbitro della sorte delle sue due figlie?

I coniugi Morisot ignorarono questo monito, e incoraggiarono Edma e Berthe ad impegnarsi in un qualcosa in cui eccellevano, con buona pace del maestro Guichard. L’apprendistato presso di lui, inizialmente, constò di interminabili sedute da copiste al museo del Louvre: copiare i grandi pittori del passato, per diventare grandi loro stesse. In seguito, tramite Guichard, le sorelle Morisot conobbero una celebrità dell’epoca, ovvero Camille Corot, l’antesignano degli Impressionisti, che incoraggiò le ragazze ad intraprendere la pittura en plen air. A ciò, si appassionò particolarmente Berthe, e la sua produzione artistica ne testimonia la predisposizione a tale pratica.

Giungiamo al 1869, le vite delle due sorelle si divisero, artisticamente e personalmente. Edma si sposò, e per volere del marito abbandonò la pittura per ricoprire interamente il ruolo di donna sposata. Ciò fu vissuto da Berthe come un lutto, infatti in quel periodo scrisse: “Sono molto triste, mi stanno abbandonando tutti, mi sento delusa, sola e vecchia.” A differenza della sorella, la sua vita da pittrice non si era conclusa, e le riservava ancora molte sorprese. Qualche mese prima che Edma convolasse a nozze, in uno dei suoi pomeriggi al Louvre da copista, grazie al maestro Guichard conobbe il grande Édouard Manet.

Circolarono numerose dicerie e pettegolezzi sul conto dei due pittori, nella Parigi impicciona del diciannovesimo secolo. Una pruderie, quella che li riguardava, troppo invitante per essere ignorata: Manet, sposato e con fama da donnaiolo impenitente, sicuramente aveva fatto sua anche mademoiselle Morisot, nubile, giovane e con quella passione strana che le concedeva troppa libertà. Non ci è dato sapere se, davvero, i due furono legati da qualcosa in più che un semplice rapporto di stima e affetto tra colleghi. Molti sostengono che quell’attrazione fu sublimata dai due artisti nell’arte. Infatti, la giovane donna fu ritratta da lui in ben undici quadri, tra i più celebri Il balcone e Berthe Morisot con mazzolino di violette. In questi dipinti, protagonisti indiscussi erano gli occhi di Berthe che Manet quasi idolatrava, li definì magnetici.

Nel frattempo, oltre a posare per Manet, Berthe portò avanti il suo lavoro: instancabilmente non smise mai di ritrarre il mondo in cui viveva, e quindi la pittura all’aperto (Vista di Parigi dal Trocadero) si intervallava a scene di interni, dove i principali soggetti ritratti erano le donne. Da questo punto di vista, Berthe fu una vera e propria cronista della condizione femminile nella sua epoca. Ricordando il suo più celebre quadro, La culla, che ritrae la sorella Edma assorta sulla culla della figlioletta appena nata. Ai più può sembrare una scena tenera, ma se si nota bene l’espressione di Edma, si scorge uno sguardo quasi attonito e triste, che ritorna anche in altri quadri successivi di Berthe che la ritraggono. Numerosi anche i dipinti in cui Morisot ritrasse donne in occasioni mondane, con abiti sfarzosi, frivoli, che svolgevano il ruolo per cui erano stati indossati: attirare mariti.

Purtroppo, una donna all’epoca non poteva permettersi di rimanere sola, non sarebbe sopravvissuta senza un marito. Anche Berthe ne era consapevole, i suoi trent’anni iniziavano a preoccuparla, ma preferiva non pensarci, occupata com’era nel 1874 ad organizzare con Manet e gli altri Impressionisti la loro prima esposizione. Allora si facevano chiamare gli Indépendants, ed oltre a Manet e Morisot, c’erano Monet, Renoir, Degas, Cezanne, Pissarro e Sisley. Le prime due esposizioni ebbero spazio sui giornali, e i critici non furono molto amichevoli. Berthe soprattutto fu ridicolizzata, come donna che non era al suo posto. Ma alla vendita pubblica del 1875, organizzata dal mercante d’arte Paul Durand-Ruel, particolarmente vicino al circolo degli Impressionisti, successe di peggio. Dopo che il pubblico ebbe visionato quadri di Renoir e gli altri, arrivò il turno delle opere di Berthe. Fu allora che dalla folla, un uomo gridò: “Gourmandine!” (puttana). Pissarro reagì per difendere l’onore della collega pittrice, prese a pugni l’uomo e l’asta poté continuare solo con l’intervento della polizia. Berthe, nonostante l’accaduto, ne uscì vittoriosa: il suo quadro Interno, venne venduto al prezzo più alto quel giorno, rispetto alle opere dei colleghi.

Intanto, Eugène Manet, quarantenne fratello di Édouard, cominciò a corteggiarla. Manet non prese bene la novità, ma non poté opporsi. La coppia si sposò nel 1874, e a differenza della sorella Edma, Berthe continuò a dipingere ma non a posare per il cognato. Anche nel matrimonio, Berthe volle mantenere la propria indipendenza: infatti, non acquisì il cognome del marito, ma conservò il proprio, un segnale significativo il suo che ricevette una grande risonanza nella società dell’epoca. La pittrice non prese parte all’esposizione degli Impressionisti nel 1879, era da poco nata la figlia Julie, ma fu sempre dentro il movimento, di cui era diventata un’esponente di spicco. Con lei, c’erano altre donne impressioniste come Eva Gonzales, allieva di Manet dopo Berthe, con cui ci fu sempre una rivalità serpeggiante, non si sa se amorosa o artistica. A loro si aggiunsero Marie Bracquemond e Mary Cassatt, a testimoniare che l’Impressionismo fu un’avanguardia innovativa anche perché i suoi membri non compirono discriminazioni di genere, riconoscendo solo il talento degli artisti.

La figlia Julie compare in numerosi quadri della madre, seguiamo la sua crescita attraverso essi e in particolare, in uno possiamo vedere Julie allattata dalla balia. In La balia Angèle che allatta Julie Manet, Berthe ritrae un momento di ‘libertà’ dalla maternità, certo un privilegio che da donna agiata poté permettersi ma bisogna andare oltre le riflessioni sociali, e come suggerito la critica Linda Nochlin, comprendere il valore del momento ritratto per collegarlo all’epoca. La pittrice, infatti, ferma su tela un’istante in cui affermò con orgoglio l’esistenza di due donne lavoratrici: lei pittrice, Angèle balia. Un’unica opera ci parla di ben due donne economicamente indipendenti, un’audace folata femminista per quel secolo.

La prima personale della sua carriera, Berthe riuscì ad organizzarla soltanto nel 1892, dopo la morte del marito. Le riconoscevano uno stile che rientrava sì negli stilemi dell’Impressionismo, ma anche molto personale. Le sue pennellate avevano raccontato storie di salotti, speranze, letture pomeridiane, passeggiate, descrivendo un mondo nascosto, di cui gli uomini ignoravano aspirazioni, desideri, e sogni infranti. Berthe morì a soli cinquantaquattro anni, nel 1895; tutti gli amici impressionisti vollero dedicarle una esposizione postuma, per rendere tributo alla donna che non soltanto si sentiva pittrice, lo era stata a tutti gli effetti per una vita intera.

Non credo ci sia mai stato un uomo che abbia trattato una donna come suo pari, ed è tutto quello che ho sempre chiesto. Io so di valere quanto loro.”

Fonti: Linda Nochlin, Morisot’s Wet Nurse. The construction of Work and Leisure in Impressionist painting

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