Luisa Fantasia, prima vittima di mafia trasversale, e i suoi passi di legalità da Milano fino in Puglia. Borrometi: «Compito di tutti ricordarla»

by Michela Conoscitore

Quarantasette anni fa a Milano, il 14 giugno del 1975, per vendetta trasversale, veniva barbaramente seviziata e uccisa la giovane sanseverese Luisa Fantasia. Questo pomeriggio, al porto turistico di Manfredonia, per mantenere vivo il suo ricordo, si procederà alla piantumazione di un albero d’ulivo, a cui seguirà il convegno ‘I passi di Luisa’.

Dal giardino a Milano che porta il suo nome, ad un intero quartiere della sua città natale, San Severo, i passi di Luisa Fantasia hanno raggiunto anche Manfredonia. Quei passi sono diventati quelli di Pietro Paolo Mascione, figlio del brigadiere Antonio Mascione, marito di Luisa, che in questi anni ha alimentato il ricordo della donna e si è impegnato, in prima persona, nella lotta alle mafie. Un cammino di legalità, per diffonderla e non dimenticare la donna e tutte le altre vittime dell’insensatezza mafiosa.

Al convegno prenderanno parte per i saluti istituzionali il consigliere regionale Sergio Clemente, componente della Commissione di inchiesta e studio sulla criminalità organizzata in Puglia, Loredana Capone, presidente del consiglio regionale pugliese, il sindaco di Manfredonia Gianni Rotice, l’arcivescovo Moscone, il rettore dell’Università di Foggia, Pierpaolo Limone, il prefetto di Foggia, Carmine Esposito e il presidente della provincia Nicola Gatta. Il convegno in ricordo di Luisa vedrà protagonisti lo stesso Pietro Paolo Mascione, don Aniello Manganiello, presidente dell’associazione ‘Ultimi’ per la legalità, di cui Mascione è vicepresidente, Paolo Borrometi, vice direttore dell’AGI, giornalista e scrittore, e Barbara Angelillis, docente dell’Unifg che ha promosso varie iniziative in ricordo di Luisa.

Luisa nasce a San Severo, nel 1943. Dopo il matrimonio, col marito Antonio lascia la Puglia per trasferirsi a Milano. Qui, prendono casa nel quartiere Baggio. Una vita tranquilla la loro, seppur Antonio sia brigadiere dell’Arma dei Carabinieri, agente sotto copertura di uno dei nuclei investigativi della città.

La situazione che c’era a Milano, nel 1975, era simile a quella in tutto il nord Italia dell’epoca”, racconta Borrometi a bonculture, per ricordare con noi la storia di Luisa, “negli anni Settanta le mafie avevano iniziato ad investire al nord, a maggior ragione nella capitale economica del nostro Paese, ovvero Milano, per i propri affari imprenditoriali, ed estendendo la rete del narcotraffico. Quindi le mafie, molto prima degli anni Novanta e di Cosa Nostra, voglio sottolinearlo, avevano cercato di insediarsi e colonizzare anche le regioni del Nord dove, fino a qualche anno fa, ancora si negava la loro presenza.

Nel 1975, Mascione è impegnato ad intercettare gli uomini di una ‘ndrina calabrese, che gestiva il traffico di stupefacenti. Il brigadiere viene a sapere di un carico di droga, e riesce a fissare con loro un incontro, dato che ne gestiranno la vendita. Agganciati i due criminali, di cui uno minorenne, gli assicura di poter pagare il carico facendogli vedere una valigetta con sessanta milioni. Si danno appuntamento per il 14 giugno, ma Mascione rimane inutilmente ad aspettarli. Il brigadiere non sa che la sua copertura è saltata: i due malviventi, Biagio Jaquinta e Abramo Leone, scoprono dove abita Mascione e vi si recano. Inizialmente presentandosi come amici del marito, e poi facendo irruzione, trovano Luisa con la figlia Cinzia, di pochi mesi. I due sono lì per la valigetta, ma non riuscendo a trovarla si vendicano del brigadiere stuprando e tagliando la gola a Luisa. Ciò avviene alla presenza della figlia della coppia. Quando Antonio Mascione torna a casa, è troppo tardi per lei. Pochi giorni dopo, è lui stesso a consegnare alla giustizia i colpevoli dell’omicidio della moglie. Successivamente, i due sono condannati all’ergastolo; primo caso in Italia di tale condanna comminata ad un minorenne.

Allora non vi era un’esatta percezione del fenomeno mafioso, e per la verità non c’è neanche adesso”, afferma Borrometi, “nel 1975 non si combattevano le mafie come oggi, perché non si erano verificati ancora gli omicidi eccellenti, e il periodo stragista. Quindi anche la violenza delle mafie era particolarmente sottovalutata. Non dobbiamo dimenticare che la strage di Capaci segnò una linea di demarcazione fondamentale. Prima, l’indignazione della gente durava il tempo di raccogliere i cadaveri dalle strade. L’attentatuni, come lo ha definito Totò Riina, nella sua spettacolarità cambia inevitabilmente la narrazione delle mafie, perché l’indignazione della gente aumenta rispetto al fenomeno. Soprattutto, da allora, cambia la strategia di risposta dello Stato a questi eventi.

I funerali di Luisa furono celebrati in tre città diverse, e le fu tributata una medaglia d’oro al valore civile. Tuttavia, nulla l’avrebbe mai potuta restituire all’affetto dei suoi cari e della figlioletta. Luisa Fantasia fu vittima trasversale di mafia, una delle prime in quell’Italia che a stento aveva iniziato a leggere sui giornali di questi criminali, apparentemente attivi soltanto nel meridione. “Luisa è la più classica delle vittime innocenti delle mafie, e va ricordata per molteplici ragioni” prosegue Borrometi, “innanzitutto, per sfatare il mito della mafia, alimentato da molte fiction, che coltiva valori come l’onore e il rispetto. Questi valori non sono mai stati contemplati dalla mentalità mafiosa, la tragica realtà è testimoniata dalla morte di Luisa Fantasia. Ci fa comprendere che le mafie colpiscono indistintamente, compresi donne e bambini. Inoltre, essere donna, nel contesto in cui è vissuta Luisa, non era affatto facile. Ricordarla oggi è fondamentale perchè la memoria deve essere viva. Ogni 21 marzo (Giornata della Memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, ndr.) insieme a don Luigi Ciotti ricordiamo Luisa e tanti che, come lei, fanno parte di un elenco lunghissimo. E molti di loro non hanno ancora ricevuto giustizia.

È compito di tutti noi continuare a ricordarla”, conclude Borrometi. Affinché i passi di Luisa non si fermino mai.

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