Gianni Rodari e Mario Sironi: un incontro e un dubbio

by Enrico Ciccarelli

Sono i giorni terribili seguiti al 25 aprile: nell’Italia liberata è tempo di vendette. L’esecuzione di Mussolini, della Petacci e dei gerarchi di Salò a Giulino di Mezzegra prepara l’atroce mattanza di Piazzale Loreto. Sulla strada che da Milano porta a Como, forse in auto, forse in macchina, procedono un uomo e il suo cane. L’uomo è Mario Sironi, pittore fra i massimi del Novecento (la sua gigantesca vetrata che campeggia sull’ingresso e lo scalone di rappresentanza del Ministero dello Sviluppo Economico in via Veneto è qualcosa che tutti dovrebbero vedere almeno una volta nella vita), fascistissimo.

Il suo tentativo di fuga e di espatrio rischia di finire malissimo, quando si imbatte in un posto di blocco delle Brigate Garibaldi (i partigiani più numerosi e agguerriti, di stretta osservanza socialcomunista): non sono momenti da istruttorie e indagini, tanto meno da regolari processi. L’unico modo per regolare i conti con fascisti e repubblichini è la fucilazione alla schiena. Una sorte che Sironi con ogni probabilità subirebbe se il comandante di quel posto di blocco, combattente indomito, non fosse anche un uomo che conosce e apprezza la cultura e l’arte. Quell’uomo si chiama Gianni Rodari, ha solo 25 anni e non è ancora l’autore delle incantevoli poesie per ragazze e ragazzi di tutte le età che diventerà celebre in tutto il mondo. Ma il giovane maestro amante dell’arte e della musica, sa chi è quell’uomo in fuga, e lo ammira. Così ordina di lasciarlo passare, e quando Sironi gli dice che il rischio è che al prossimo posto di blocco non sia così fortunato, gli firma un lasciapassare.

L’iscritto al Pci, il combattente, l’uomo che ha preso le armi per la riscossa d’Italia e il sol dell’avvenire, per il quale fascismo significava torture, terrore e morte, pensa che quell’uomo debba essere salvato e protetto: non per le sue idee politiche, che avversa e disprezza dal più profondo, sibbene per la sua arte purissima, per i capolavori che ha dato e ancora può dare al mondo.

Atto nobile, pagina luminosa che spiega da sola come non ci sia contesto, vicenda o alibi che faccia di un uomo una bestia e di una bestia un uomo (lo si dica ai guardiani di Auschwitz, agli stupratori della Bosnia e a quant’altri), ma che porta a interrogarsi su un punto dirimente: è giusto? L’essere Céline un narratore supremo, Ezra Pound uno dei maggiori abitatori dell’Empireo della poesia di ogni tempo, Sironi un genio assoluto della pittura assolve e giustifica la loro adesione a ideologie ripugnanti, la loro esaltazione del nazifascismo, il loro antisemitismo?

La mia risposta, che non pretende di valere per altri, è sì. È giusto concedere una speciale considerazione e tutela a costoro: ha ragione quindi l’antifascista e combattente Rodari a salvare Sironi come l’antifascista e combattente in Spagna Ernest Hemingway ha ragione a fare tutto quanto può per salvare prima e poi far liberare Ezra Pound. Mentre forse non fece bene il maggiore Steve Arnold (il personaggio interpretato da Harvey Keitel in A torto a ragione)a inquisire ai limiti della persecuzione il magnifico direttore d’orchestra Wilhelm Furtwängler per una sua, peraltro assai tenue, vicinanza o acquiescenza al regime nazista.

Naturalmente il principio vale anche ruotando l’orizzonte ideologico: i testi poetici di Pablo Neruda che esaltano Stalin sono sia deplorevoli che formidabili, proprio come quelli di Pound su Mussolini. E la sublime grandezza della Cassandra di Christa Wolf resta intatta anche sapendo che la Wolf abbia svolto l’infame funzione di spia della Stasi, la polizia segreta della DDR.

Qui viene a introdursi un secondo discrimine, che è quello fra colpe valoriali e intellettuali e colpe materiali. Il grande poeta francese Robert Brasillach, che fu ministro nel Governo collaborazionista di Vichy, venne fucilato certamente per le sue idee e i suoi libri, ma anche perché gravato dall’accusa di essere un delatore, cioè di avere materialmente determinato la deportazione e la morte di altri esseri umani. Per questo, anche se il suo processo e la sua condanna furono sostanzialmente politiche, si può sostenere che egli venisse giustiziato, mentre fu certamente assassinato il grande filosofo Giovanni Gentile (l’azione dei gappisti fiorentini fu apertamente disapprovata da tutte le forze politiche del Cln della Toscana, con la sola eccezione del Pci).

Questo “statuto speciale” degli artisti e degli uomini di cultura non va confuso con una sorta di impunità: in materia si oscilla fra la grande indulgenza mostrata verso l’assassino reo confesso Louis Althusser e la caccia alle streghe verso il presunto stupratore Roman Polanski. Ma la mia opinione è che questa considerazione particolare sia legata al fatto che inevitabilmente, e a volte anche contro la volontà degli interessati, le opere di questi artisti e di questi uomini d’ingegno migliorano l’umanità e migliorano il mondo, quello stesso che i turpi ideali che abbracciarono fanno di tutto per peggiorare.

Non so se Gianni Rodari, in quell’aprile del 1945, si sia posto tutte queste domande. So che sono felice di trovarmi perfettamente d’accordo con il suo esempio, e di annoverare anche questa pagina fra quelle che onorano il centesimo anniversario della sua nascita (23 ottobre 1920). Dio ci conceda sempre di incontrare sul nostro cammino, quando tutto per noi sembra perduto, persone come lui.

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