La necessità imprescindibile delle biblioteche digitali

by Elisabetta de Palma

Tutto è cominciato il 16 marzo, più o meno ad ora di pranzo, quando ha preso a rimbalzare su testate e bacheche la notizia del rinvio del Salone del libro di Torino: sono cominciati i messaggi, prof… e le facccine piangenti, rosse di rabbia, con la bocca all’ingiù, i noooo….. Non avevano smesso di sperare fino ad allora, continuavano a dire “Maggio è lontano, non è mica detto, può finire prima!”.  E niente, era finita.

Da un po’ di anni un gruppo di alunni e alunne della mia scuola partecipa al Salone e realizza un blog letterario in cui racconta gli incontri, le scoperte e le emozioni di quel microcosmo che non aveva mai immaginato esistesse. Chi ci è già stato sgomita per tornarci e i neofiti attendono emozionati e un po’ preoccupati questa “cosa che non si può spiegare, bisogna viverla” protagonista dei racconti negli incontri di gruppo. Sono lettori, a volte aspiranti, a volte già forti, ma che da Torino non tornano mai uguali a prima.

Era già da una decina di giorni che avevamo sospeso le lezioni in presenza e come docenti eravamo in pieno vortice ricostruttivo: inseguivamo orientamenti ministeriali, ultime notizie delle riviste più accreditate, studiavamo piattaforme, allegavamo, condividevamo, linkavamo, incidevamo audio e caricavamo video. Nelle telefonate, solo nomi finora ignoti, da valutare, proporre o stroncare (meglio WeSchool o G Suite? Dici Hangout per le videoconferenze?). E la privacy, la pirateria digitale, il digital devide.

 Il sonno della ragione, ma a fin di bene e in ottima fede.

Ora il rinvio del Salone costituiva un’ulteriore ragione perché i ragazzi considerassero quello che stavano vivendo un tempo sospeso. Di attesa. In cui stringere i denti e trattenere il fiato finché non si potrà tornare a respirare. La nottata che deve passare. Li ho riuniti tutti con una videochiamata e abbiamo cominciato a discuterne, abbiamo parlato di tempo e di spazi, di parole, di relazioni, di affettività e di prossimità. È nata così SalTiAmoalPoerio, la pagina Instagram che non aspetta e non rimanda. Ogni giorno consigliano un libro e poi contano i like, le storie, le condivisioni, tutto ciò che loro capiscono bene e io no, ma che, mi garantiscono, serve ad avere la certezza che funziona. Altri studenti vogliono partecipare e i followers aumentano. Ogni giorno trovano la ragione per la quale quel libro, quella poesia, quell’autore sono da leggere ora. Fanno riferimento anche ai loro studi (incredibile a dirsi!), ma soprattutto ai titoli che hanno preso in prestito dalla biblioteca scolastica. Io lo so perché ne sono responsabile e ricordo le loro passioni, i pregiudizi superati, le promozioni e le stroncature quando li restituiscono.

Finora abbiamo stilato un calendario che copre tutti i giorni fino a metà maggio, ma poi? Quando avranno esaurito i “libri belli”, dove ne troveranno altri?  Quando saranno sopite le ansie sulla Didattica a Distanza, qualcuno vorrà porsi la domanda sulla “Vacanza a Distanza”, che è dietro l’angolo?

Hanno raccomandato a noi docenti di accompagnare i ragazzi nella ricerca del senso, ascoltarli, fornire chiavi di lettura, rendere gli apprendimenti significativi per la condizione che stanno vivendo e sollecitare analisi e confronti. A quanti di noi è sempre più evidente che vederci su uno schermo e ascoltarci, spesso in polifonia con il resto della famiglia, non può bastare? Abbiamo bisogno di Anna Frank e della sua incrollabile fiducia nella vita, ora; del Cammino di Santiago, ora che ci sembra di non muoverci; degli immutabili turbamenti degli adolescenti che ora ci racconterebbe Il giovane Holden. Ci servono le parole della poesia, ci servono le edicole dei giornali, anche stranieri, per conoscere le vite degli altri e come le raccontano. Ci serve la musica, la cineteca, insomma ci serve quello che più di tutto manca ora nelle scuole italiane: la biblioteca digitale.

C’è un piano, certo, per fornire le scuole di strumenti che sostengano gli alunni in difficoltà, tablet, computer, gli aiuti economici sono stati già erogati, ma oggi, al secondo giorno di “vacanza”, ho la sensazione che stiamo avendo uno sguardo troppo corto, quasi che finiti gli scrutini, data a tutti (ormai è chiaro) la promozione, la nostra funzione sia esaurita. Ma se questa non è una primavera come le altre, come potrà esserlo l’estate?

E non solo per gli studenti, per tutti noi. Non sappiamo se e quanto potremo muoverci, se ci daranno le ferie e se avremo i soldi per una vacanza che possa dirsi tale, avremo gli occhi liquefatti dalla luce degli schermi e la mente assediata dalle domande, che prevedibilmente aumenteranno. Non sono certa che la riapertura dei parrucchieri e dei bar ci salverà.

Ho il sospetto che sia l’ora di riconsiderare il concetto di “servizi indispensabili”, di aprirci ad una visione politica di più ampio respiro, che finalmente non immagini solo l’uomo come consumatore. O meglio, che consideri la possibilità che si consumi senza spendere, che si offra a tutti senza discriminazioni di ceto o di risorse, che si consenta veramente di scegliere perché si dà la libertà di farlo.

Ovunque ci siano comunità che hanno la fortuna di averne una, si riaprano le biblioteche, subito. Solo per il servizio di prestito, con ingressi disciplinati, norme chiare a tutela della salute di tutti, ma si riaprano.

Non saranno meno indispensabili di un supermercato.

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