Torniamo agli utopisti!

by Tommaso Campagna

In questi tempi amari, in cui si parla sempre più spesso di rinascita, di “fase 2”, di uscita dall’emergenza, di ripristino dello status quo ante, forse è bene che tutti noi torniamo al concetto di utopia e diamo ad esso, non più il valore di un altrove ideale, irraggiungibile.


Utopia deve essere, d’ora in avanti, la prefigurazione di uno scenario di futuro possibile e raggiungibile. Occorre tornare a leggere il pensiero degli intellettuali pre-marxisti, dei socialisti utopisti come Saint-Simon, Fourier, Leroux, Cabet, Blanc, Proudhon, Babeuf, Blanqui, il nostro Buonarroti. Ma di essi, che subirono, come si può immaginare, l’avversità dei più, di tutta la classe borghese, dei potentati politici ed economici, vorrei soffermarmi su uno solo, sull’inglese Robert Owen.

Nacque il 14 maggio del 1771 a Newtown, detta la “Leeds del Galles” perché importantissimo centro di produzione tessile. Fu direttore di una filanda di cotone, quindi socio di quello che divenne il più grande stabilimento tessile scozzese, quello di New Lanark. In poche parole fu un industriale. Ma un industriale molto diverso dagli altri: pagava alti salari, diminuiva gli orari di lavoro, migliorava costantemente le condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici, fondò un villaggio in cui case, cibo, vestiario e istruzione venivano dati a basso prezzo o offerti gratuitamente. Comunità di non più di 1000/1200 su tenute di 1000-1500 acri (4–6 km²), in cui vi fosse un unico grande edificio quadrato con cucine e refettori pubblici, ma appartamenti familiari privati.

Owen era consapevole che il carattere dell’individuo è innato ma che esso può essere influenzato se educato fin dalla tenera età. I bambini sarebbero stati affidati alla famiglia fino ai tre anni e successivamente alla comunità, con libero accesso a loro da parte dei genitori. Owen divenne l’ideatore della scuola materna nel Regno Unito.

Il lavoro e il godimento dei frutti della Comunità sarebbero stati di tutti gli appartenenti ad essa. Le Comunità potevano essere istituite da gruppi di individui, da parrocchie, da contee ma anche direttamente dallo Stato. Un gruppo di persone qualificate si sarebbe occupato della loro supervisione.
Si incrementò incredibilmente il livello di vita dei cittadini di questi villaggi, perché ricolmi di strutture pulite e sane, di attività ricreative per i lavoratori, con salari sopra la media e con l’aggiunta di un sistema previdenziale unico al mondo nel periodo e anticipatore di quasi un secolo delle politiche novecentesche di welfare (che in gran parte dell’Europa divennero comuni solo a seguito della prima guerra mondiale).

Questa visione non avrebbe destato tanto scalpore se non fosse stata accompagnata da risultati economici di indubbio pregio nel settore tessile: in breve New Lanark divenne uno dei centri industriali più importanti nella produzione e filatura del cotone di tutta Europa. Il sistema “socialista” creato da Owen divenne immediatamente un centro di studi per tutta l’emergente borghesia inglese e dimostrò come un lavoratore felice e soddisfatto rendesse meglio di un lavoratore oppresso e sfruttato.

Non c’è da stupirsi se, nel ‘900, un certo Adriano Olivetti ripercorrerà quelle orme, ma, ahinoi, anch’egli destinato a non contagiare la società del suo tempo perché considerato, ancora una volta, un visionario utopista, nel senso deteriore del termine.

La società ideale di questi utopisti è una società senza classi in cui anche l’imprenditore illuminato diviene solo un primus inter pares, articolata in villaggi di pochi individui dediti al lavoro agricolo o artigianale o semi-industriale, fondata sulla cooperazione e sull’istruzione permanente, sul dominio della scienza, della pace tra gli uomini e tra le nazioni, senza eserciti e senza armi.

Oggi siamo chiamati a ripensare la nostra società.

Ci dicono che non potremo tornare ai ritmi frenetici del tempo recente, a città caotiche e affollate, a consumi, apparentemente senza fine, di materie prime e di beni naturali. E allora torniamo a questo concetto di utopia, prefiguriamo questa società come possibile, emarginiamo chi ovviamente le si opporrà perché sa che perderà la posizione di parassitismo sociale che aveva conquistato (non dimentichiamoci che siamo nell’anno del trionfo di un film come “Parasite” di Bong Joo-ho nella Mecca del capitalismo mondiale: un film profetico più di quanto non sembri apparentemente).
E rileggiamo opere come “Il vero cristianesimo secondo Gesù” (1846, di Etienne Cabet), “L’unione europea” (si, proprio così! è il titolo di un lavoro di Pierre Leroux del 1827), “Il manifesto degli eguali” (di François-Noël Babeuf del 1795) o “Una nuova concezione della società” (per l’appunto di Owen del 1813). E rivediamo i film di Ken Loach, di Ermanno Olmi, di Bertolucci, di Mike Leigh.

Ritorniamo ai socialisti utopisti!

You may also like

Leave a Comment

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.