«Formare le giovani donne alla leadership nelle proprie comunità e nello spazio politico futuro». Arriva in Puglia la scuola Prime Minister

by Michela Conoscitore

Arriva anche in Puglia Prime Minister, la scuola di politica apartitica per giovanissime che vogliono diventare le leader del futuro. Il progetto è partito nel 2019, con la prima edizione che si è tenuta a Favara in Sicilia, e da allora si è diffuso beneficamente in altre città d’Italia come Napoli e Roma, a cui da quest’anno si sono aggiunte anche Bari e la Puglia.

Un vero e proprio percorso educativo che mira ad ‘allenare’ le ragazze iscritte su diritti civili, leadership femminile, ambiente e cittadinanza attiva. A salire in cattedra, seppur virtuale, docenti d’eccellenza come l’ex presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, il Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, giuristi, giornalisti e professori che terranno lezioni di approfondimento per stimolare e aprire le menti delle nuove generazioni. Un passaggio di testimone, potremmo definirlo, di conoscenze, saggezza e saperi multiformi tra generazioni a cui darà il suo prezioso contributo anche la professoressa Francesca Romana Recchia Luciani, ordinaria di Storia della Filosofia Contemporanea e dei Saperi di Genere dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” e direttrice del Festival delle Donne e dei Saperi di Genere.

bonculture l’ha intervistata.

Professoressa Recchia Luciani com’è nata la sua collaborazione con il programma Prime Minister?

La concretizzazione dell’edizione pugliese è stata possibile grazie a un gruppo di donne attiviste che ha sposato il progetto nato a Favara, incardinandolo nel Liceo delle Scienze Sociali “Bianchi Dottula” di Bari. Con l’incoraggiamento della presidente del Corecom Puglia, Lorena Saracino e attraverso l’impegno di Maria Teresa Santacroce e Laura Binetti, docenti e componenti della Società Italiana di Scienze Umane e Sociali di Bari (SISUS), oltre alla sottoscritta (in rappresentanza del Dipartimento di Studi Umanistici, del Centro Interdipartimentale di Studi sulle Culture di Genere e del Festival delle Donne e dei Saperi di Genere dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”), è stato elaborato un programma ritagliato per la Puglia. Per il momento gli incontri, che coinvolgono per quest’anno soprattutto il capoluogo, ma prossimamente tutta la regione, saranno virtuali, ma appena torneranno possibili seminari in presenza i luoghi delle attività saranno il Liceo “Bianchi Dottula” e la Biblioteca delle Donne (BI.DO.BA.) che fa parte della rete Bari Social Book voluta dall’assessora comunale al Welfare, infatti anche l’assessora Francesca Bottalico ha sostenuto questa iniziativa che prenderà avvio il 30 gennaio e che si protrarrà per dieci incontri terminando a dicembre 2021.

Quale obiettivo vi siete prefissate?

L’idea è quella di formare le giovani donne alla leadership nelle proprie comunità e nello spazio politico futuro: il programma si rivolge a ragazze dai quattordici ai diciannove anni che ai loro studi curriculari possono affiancare questa formazione aggiuntiva. Una preparazione utile sia per proseguire gli studi nei vari ambiti afferenti alle lezioni, ma anche per potenziare il loro spirito attivista rispetto a tematiche come l’ambiente, l’autodeterminazione femminile, e i diritti civili. Offriremo loro quindi un percorso formativo che le renderà delle giovani politiche, responsabili delle proprie conoscenze e in grado di partecipare alla vita sociale delle comunità cui appartengono. Da tempo si auspica un maggior coinvolgimento delle donne in politica, e in effetti la loro presenza è cresciuta, ma l’esperienza mostra che troppo spesso si tratta di donne cooptate da uomini e da ideologie prettamente maschili. Le donne oggi giungono, ancora, a far politica senza una consapevolezza del loro genere, potremmo anzi dire del tutto prive di una coscienza di genere, e ciò non produce effetti significativi in termini di cambiamento sociale.

Professoressa la sua lezione a Prime Minister Puglia è prevista per febbraio: può farci qualche anticipazione?

La lezione sarà il frutto delle mie competenze, infatti, l’attenzione sarà concentrata sulla storia del femminismo affinché queste giovani donne inquadrino il proprio percorso di crescita nell’attivismo politico attraverso la storia dell’emancipazione femminile e la conoscenza delle idee e delle teorie femministe. Quello che proverò a illustrare loro saranno le tante tappe della strada che le ha portate, oggi, a poter frequentare una scuola di politica per ragazze: devono sapere che esse lo devono alle rivoluzioni femministe, alle conquiste di diritti che prima le donne non possedevano.

Solitamente lei insegna a donne adulte. Come si rapporterà, invece, a queste ‘piccole’ donne?

Le ragazze, oggi, sono molto più consapevoli di quanto non lo fossero quelle della mia generazione o di una generazione precedente. Tutte sappiamo che c’è grande fermento tra le giovanissime, spesso impegnate sia in movimenti femministi che ecologisti. Penso che sarà utile, innanzitutto per me, rapportarmi a loro: cercherò di capire quali sono i loro bisogni conoscitivi, quali lacune vogliono colmare durante la loro crescita. C’è tanta voglia di darsi da fare, di impegnarsi, ma bisogna avere gli strumenti per farlo, che è il compito della scuola Prime Minister. Cercheremo, pertanto, di fornire alle ragazze una prima cassetta degli attrezzi che l’educazione scolastica non dà, poiché abitualmente non si studia la storia del femminismo, quella dei movimenti, né l’ecologia, né l’impegno per la salvaguardia ambientale. Il più delle volte studiano argomenti a cui sono scarsamente o affatto interessate; il mio, il nostro obiettivo sarà quello di donare loro quello che cercano a livello di informazioni basilari e di conoscenze più approfondite.

Come ha affermato queste lezioni serviranno a costruire una ‘coscienza di genere’, ma possiamo dire che saranno utili a sensibilizzare e stimolare le ragazze partecipanti su temi più universali?

Si può certamente affermare che è così, consapevolezza di genere significa non certo solo difendere i diritti delle donne, ma impegnarsi politicamente per la comunità a partire dal proprio essere donne. A mio parere vanno colmati dei vuoti di educazione civica e politica a proposito non solo di come si vive in una comunità, ma soprattutto rispetto ai diritti umani, di cui si ha scarsa conoscenza e insufficiente consapevolezza. I diritti, e i doveri che vi corrispondono, sono importantissimi nella costruzione di una società, eppure si parla pochissimo di questo con i e le giovani, e farlo in un contesto affiancato all’educazione scolastica, in un momento storico come questo è, secondo me, essenziale. La intendo, per l’appunto, come un’educazione civica e politica allargata.

Sempre a proposito di donne, ma ci spostiamo in un altro ambito, lei è stata uno dei volti femminili per il video, diretto dal regista Alessandro Piva, sulla candidatura di Bari a Capitale della Cultura 2022. A prescindere, purtroppo, dall’esito volevo chiederle cosa ha significato rappresentare la sua città?

È stato un bellissimo riconoscimento verso il mio impegno civile, in cui non sono sola ma che condivido con le mie compagne, colleghe e complici del Centro Interdipartimentale di Studi sulle Culture di Genere. Infatti, da nove anni agisco in questa città come studiosa dell’Ateneo barese, filosofa e attivista, provando a tradurre le mie ricerche e le mie conoscenze teoriche, attraverso il Festival delle Donne e dei Saperi di Genere che ho ideato nel 2012, in un’esperienza politica. In questi anni ho condotto un’azione di politica culturale attraverso il Festival, purtroppo la nona edizione è stata congelata a causa della pandemia, se si esclude qualche incontro che si è tenuto online, ma nell’arco della sua esistenza questa kermesse ha portato a Bari temi e idee che circolavano già nel mondo e altrove in Europa, ma che qui non erano ancora mai arrivati, come il transfemminismo intersezionale, per esempio. Quel che il filmato relativo alla candidatura della città a Capitale della Cultura 2022 racconta è che questa città vuole dare vita a un nuovo percorso di valorizzazione culturale, e che siamo solo all’inizio.

Professoressa, secondo lei Bari e la Puglia sono diventate realtà a misura di donna?

Sicuramente, attraverso l’osservatorio del Festival, ho potuto notare che nell’ultimo decennio molto è cambiato, non solo per le donne, ma anche per le soggettività non conformi, come quelle che si identificano nell’acronimo LGBTQ+. Vorrei fare un esempio: quando abbiamo dato vita al Festival, nel 2012, abbiamo ospitato un seminario sulla medicina di genere, all’epoca se ne parlava pochissimo; oggi la medicina di genere non è soltanto un tema di cui si discute, ma una pratica che si realizza negli ospedali, nei centri di ricerca e nelle aziende farmacologiche. Il Festival è stato un termometro del cambiamento in atto che, voglio sperare, a livello territoriale ha in qualche modo anche indotto e stimolato, tanto da generare progressi e nuove sensibilità. Negli ultimi anni, anche in città, si sono rafforzate le associazioni che difendono donne e soggettività LGBTQ+ che, credo, si sono molto giovate dell’influenza culturale e civile del Festival.

Penso che la Puglia sia una delle regioni più accoglienti da questo punto di vista, poi certo la condizione femminile e delle minoranze sessuali e di genere è sempre molto complicata per via della violenza diffusa, della ingombrante disoccupazione, dei gap salariali, delle discriminazioni. E rispetto a queste difficoltà non bastano i centri antiviolenza, poiché essi agiscono quando il problema si è già manifestato, mentre attraverso la formazione e l’educazione possiamo intervenire a monte per prevenire le situazioni che mortificano le persone e impediscono loro di divenire quello che desiderano.

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