#FreePatrick. Amnesty International Italia: “Prendersi cura di Patrick Zaki per difendere tutti i prigionieri dimenticati”

by Felice Sblendorio

Da Bologna Patrick Zaki, lo studente egiziano arrestato al Cairo il 7 febbraio, manca esattamente da un mese. Ventisette anni, da agosto aveva scelto l’Italia, per frequentare all’Alma Mater Studiorum il master “Gemma” in studi di genere e delle donne finanziato dal programma Erasmus Mundus dell’Unione Europea.

A febbraio era tornato in Egitto per una breve visita alla sua famiglia: poi il buio. Arrestato al Cairo, bendato e trattenuto per 17 ore, dunque trasferito a Mansura; è stato picchiato e torturato con scosse elettriche dalle forze di sicurezza egiziane. In una polveriera politica repressiva e isterica, dove il regime del generale al Sisi da settembre ha arrestato migliaia di persone, il caso di Patrick ha scosso l’Italia e l’Europa. Dopo le due udienze che hanno negato la scarcerazione dello studente, domani è in programma una terza udienza che preciserà il futuro di Zaki. Le accuse contro di lui – per nulla circostanziate e basate su prove – sono pesanti: “propaganda per rovesciare il governo”, “diffusione di false notizie per disturbare la quiete publica”, “incitamento a proteste non autorizzate”, “diffusione dell’omosessualità”. Nulla è chiaro in questa storia: le prove, i tempi, le attese.

Secondo Amnesty Internetional Italia è una storia dal copione già scritto: in Egitto, le persone arrestate e scomparse nel nulla sono tante. Più che mai, questa volta bisogna accendere una luce. Dopo le manifestazioni in tutto il Paese, Amnesty ha promosso mobilitazioni per scongiurare l’oblio. L’Università di Bologna, che aspetta nelle sue aule uno studente simbolo della conoscenza che non ammette frontiere e di un mondo in movimento, sul sito ufficiale ha esposto un simbolo: un nastro rosso e un paio di occhiali “for Zaky”. Bologna e l’Italia aspettano Zaki libero da quell’Egitto che ha già tolto troppo a tutti: la storia di Giulio Regeni è un tormento che non cessa di urlare giustizia e verità.

In attesa della sentenza di domani, bonculture ha intervistato Emanuele Russo, presidente di Amnesty International Italia. Torinese, attivista del movimento da quindici anni, Russo è impegnato nel campo dell’Educazione alla Cittadinanza Globale a CIFA Onlus e coordinatore italiano della Campagna Globale per l’Educazione.

Emanuele Russo

Presidente, domani – dopo quelle negative del 15 e del 22 febbraio – ci sarà la terza udienza per la scarcerazione di Patrick Zaki. Cosa si aspetta?

Come Amnesty, cerchiamo sempre di mantenerci ottimisti, pur nella nostra indignazione. Tuttavia, non possiamo non dirci al contempo preoccupati, e temiamo il peggio, e cioè che la detenzione preventiva venga rinnovata. Un iter che potrebbe ripetersi ancora più e più volte.  

La preoccupazione, quella più cupa, è che la detenzione preventiva si rinnovi in automatico per mesi, settimane, anni. Il vostro portavoce, Riccardo Noury, ha denunciato che le attese egiziane servono per dimenticare queste storie. Di cosa parliamo: persecuzioni politiche?

Direi di sì. Lo scopo principale di questi continui rinnovi pare proprio quello di far progressivamente dimenticare la vicenda di Patrick, lasciandolo in carcere mentre le indagini non vengono effettuate. Da questa situazione, se non manteniamo alta l’attenzione, usando tutti i mezzi che abbiamo a disposizione, si rischia di uscire solo in due modi: un’assoluzione dopo anni di detenzione ingiusta o un processo farsa senza alcuna prova di colpevolezza che possa definirsi tale.  

Proprio ieri Zaki è stato trasferito al Cairo, nella prigione di Tora, quella più dura per gli attivisti politici in Egitto. Questo trasferimento conferma la politicità del caso?

Lo conferma perché Zaki è stato trasferito con i prigionieri politici. Siamo molto preoccupati di questa decisione perché Tora è un carcere enorme, dove il sovraffollamento, le violenze e l’insufficienza di cure mediche in caso di necessità sono costanti. Inoltre, non sappiamo in quale sezione della struttura si trovi.  

Uno dei temi che ritorna in questa storia è l’accusa di omosessualità mossa nei suoi confronti. La stampa egiziana l’ha descritto in questi termini: un omosessuale, “sicuramente terrorista”. Una miccia perfetta, in un Paese come l’Egitto, per una detenzione a oltranza?

Mi sento di dire che abbiamo tutti avuto modo di vedere, anche con Giulio Regeni, come sia prassi comune delle autorità, e talvolta anche dei media, egiziani, cercare di dipingere le vittime del regime come persone pericolose, infide e abiette, almeno secondo i loro parametri etici e morali. Quindi, purtroppo, nulla di nuovo. E proprio a causa di questi precedenti non dobbiamo farci distrarre da discussioni su temi fatti per sviarci, ma concentrarci sull’unica cosa che conta: la liberazione di Patrick, il più presto possibile.  

Amnesty ha denunciato l’arresto di un considerevole numero di persone da settembre a oggi da parte del potere di controllo del presidente al Sisi. Questo scenario repressivo, illiberale e paranoico non è dei più incoraggianti.

Le persone arrestate nelle manifestazioni di settembre sono oltre 4.000, e oltre 2.000 sono quelle in attesa di processo. È l’Egitto dell’emergenza normalizzata di al Sisi, per molti aspetti perfino peggiore di quello di Mubarak, l’ex presidente morto in questi giorni.  

Nel vostro rapporto parlate di persone, minorenni compresi, scomparsi “senza lasciare traccia”. La pressione immediata dei media italiani si può considerare favorevole per lo sviluppo di questo caso?

Certo che è favorevole, come l’azione di tutti coloro che in queste settimane si stanno mobilitando. In Egitto spariscono oltre 900 persone l’anno, una media di 2/3 al giorno, e di loro non si sa nulla per settimane e mesi. Patrick ha potuto, finora, evitare il peggio, solo perché la sua sparizione non è stata normalizzata dall’oblio grazie ad un intervento immediato. Ma per decine di altri, bambini inclusi, non è così. Mahienour al-Masri e Alaa Abdel Fattah sono solo due delle persone arrestate a settembre che ancora si trovano in regime di carcere preventivo. Non dobbiamo permettere che vengano dimenticati.  

La vostra attenzione in Italia rimane alta. In questi giorni avete chiesto la mobilitazione del Paese con gesti simbolici.

Non sono gesti simbolici. Sono azioni importanti e fondamentali perché le autorità egiziane capiscano che Patrick non verrà lasciato solo. Mai. Certo, a causa delle disposizioni di contenimento per tutelare la salute pubblica, molte mobilitazioni, come quella su Twitter di ieri, devono necessariamente essere solo online. Ma vedere Bologna, epicentro della mobilitazione, brillare di striscioni sui balconi, cartelli e manifestazioni di affetto verso Patrick è per noi un segnale molto positivo. 

Patrick Zaki è un cittadino egiziano, ma soprattutto è uno studente europeo. È possibile, anche dopo il dramma di Giulio Regeni, che l’Italia e l’Europa continuino a sviluppare rapporti economici e politici senza un minimo di fermezza sociale e morale sui diritti umani?

È fondamentale che l’Italia e l’Europa smettano di accettare le politiche del regime di al Sisi pur di mantenere buoni rapporti commerciali e diplomatici. Noi vorremmo dirci ottimisti e sperare che il passato insegni qualcosa, almeno al nostro Paese, e che il coso di Patrick, che ha strettissimi rapporti con l’Italia, rappresentasse la svolta in questo senso. Lo diciamo per le migliaia di vittime di questo regime, che per la maggior parte non hanno nessuno che possa raccontare la loro storia, e semplicemente spariscono. Prenderci cura di Patrick, come di Giulio, è un modo per difendere tutti i prigionieri dimenticati di Sisi, e impedire al nostro paese e all’Europa di continuare a far finta di nulla.  

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