Il diritto alla casa rovesciato dopo 20 anni, dai bassi del centro storico

by Antonella Soccio

Succede in una città meridionale agli ultimi posti per vivibilità, afflitta dalla Quarta Mafia, una delle criminalità più feroci del Paese e recentemente investita anche da una indagine per voto di scambio alle ultime regionali, che nel cuore del centro storico, tra i vicoli più belli, ma degradati, della testa di cavallo medievale del borgo, dietro ad una ex chiesa barocca divenuta un elegante Auditorium culturale con una convenzione trentennale concessa a bennati privati imprenditori con il vezzo sopraggiunto dei mecenati, possano vivere nei bassi dello stesso corpo edilizio in cui ci sono concerti, proiezioni di film e dibattiti pensosi sul futuro, famiglie che vanno avanti con espedienti e che lottano ogni giorno per rivendicare la propria esistenza nel mondo.

La sorpresa urbanistica e sociale di trovare questi pianterreni nel vecchio immobile della chiesa è più forte dell’assuefazione di vedere nel 2020 dei nuclei familiari ancora stipati in pianterreni ciechi di pochi metri quadrati.

Siamo a Foggia, in Via Catalano, dietro lo spazio del Santa Chiara. Foggia, città dei container di Via San Severo e Campo degli Ulivi, divenuti famosi in tutta Italia con Alessio Lasta e CartaBianca e mille altre trasmissioni nazionali, città con una emergenza abitativa inarrestabile, che vede anche una inchiesta della Procura per alloggi assegnati ai nomi più influenti della Società (il nome della mafia locale).

Ebbene, otto famiglie del centro storico hanno ricevuto un mese fa, senza alcun allarme precedente, un avviso di sgombero entro il 25 ottobre, il Comune vuole alienare i pianterreni per fare cassa. Un immobiliarista è interessato a creare delle unità alberghiere o a restituire alla città un altro uso in quei budelli scavati nell’isolato.

Noi di bonculture abbiamo incontrato mascherinati questi cittadini, con storie complesse, sempre sul crinale di ciò che è lecito e ciò che non lo è. Cittadini forse che riacquistano dignità per la classe politica solo al momento del voto. Il diritto alla casa è l’unico appiglio ancora presente per chi si sente trattato come un oggetto.

La famiglia Croce qualche anno fa è stata trasferita in albergo per il cedimento del suolo del loro alloggio. Ora che vi è rientrata c’è la diffida e lo sfratto: “Da circa 20 anni viviamo nelle nostre case senza alcun disagio di agibilità ed abitabilità. Sotto nostra richiesta il Comune ci ha anche dato la residenza. Siamo 7 persone, tra cui un minore ed una donna anziana, con seri problemi di salute, che oggi si vede privata del bene primario della casa, senza un tetto dove vivere e poter sperare in un futuro migliore.

Noi vogliamo solo un tetto dove vivere dignitosamente, purtroppo le nostre condizioni economiche non sono delle migliori e non ci permettono di pagare un affitto. Voglio sperare nel buon senso dell’amministrazione che dopo tanti, dopo quasi due decenni, vuole buttarci in mezzo ad una strada. E sì, perché è proprio questo quello che sta facendo”.

I La Grasta sono in 5. Mamma, papà e tre bambini piccoli in età scolare. Martina di 11 anni, Ilary di 9 e il più giovane, Gabriel Carmine, che è nato nel 2015.

“Ci troviamo in questa casa da quasi 3 anni, abbiamo perso il lavoro e non sapevamo dove andare e sapevamo che c’era questa casa vuota e siamo entrati. Abbiamo occupato un immobile, è vero. La legge non ci ha mai voluto dare la residenza. Ma abbiamo diritto ad un alloggio. Nient’altro”.

C’è chi come Roberto Caravella vive in Via Catalano da 20 anni. “Mi mise il delegato delle case popolari Salvatore La Salandra, non so perché oggi, dopo 20 anni, mi ritrovo con una lettera che mi dice che entro 15 giorni devono lasciare l’abitazione. Poi io sono disposto anche a pagare un affitto in base al mio reddito, nonostante da sempre pago utenze e immondizia. Non intendo lasciare la mia casa, senza che mi sia dato un altro alloggio. Da 4 anni insieme a me vive mio figlio di 24 anni, disoccupato, ma la residenza non ha potuto mai farla, perché la legge non ce la concede”.

I Braccio Serlenga sono in 5. “Nel 1994 presi in affitto una casa in Via Catalano, dove pagavo il corrispettivo di 150 euro. Ho pagato per 11 anni, ma poi mio marito perse il lavoro e ci sfrattarono. Si liberò un altro alloggio vicino e fummo messi lì, dopo tanti colloqui con l’assessore dell’epoca e con gli uffici dei servizi sociali. In epoca Ciliberti ci fecero i lavori di assestamento e mi diedero l’assegnazione temporanea. La Costituzione dice che ogni famiglia ha diritto ad un alloggio”.

I Cupo vivono in una strettoia, in Vico Solitario. “La mia famiglia è composta da due maggiorenni- spiega Alex- due minorenni e un bimbo in arrivo. Abbiamo la residenza qui io e mio figlio più grande dal 2013 e nel 2014 è nato il mio primo figlio, ma mia moglie all’epoca minorenne non ha avuto la residenza. Dal 2014 abitiamo insieme nel pianoterra. Un mese fa ci arriva la lettera di sgombero, ci vogliono far uscire per un progetto che c’è, ma noi non avendo reddito e avendo bambini piccoli con me che sono invalido al 75% dove andiamo? Insieme alle altre famiglie stiamo lottando per rimanere, non possiamo uscire senza la garanzia di una sistemazione, non possono buttarci fuori”.

Alcuni come Biagia disabile vivono in Via Catalano da circa 30 anni.

“Abbiamo ottenuto questa abitazione dal Comune perché ero orfano, mia madre era malata e sottoposta a emodialisi e io facevo lavoretti sporadici, che non mi permettevano di pagare un affitto. Nel 2012 anch’io mi sono ammalato e sono inabile al lavoro. Aggiungo che ci fu assegnato un alloggio allo Sper anziani, ma al sopraggiungere della morte di mia madre, 2 mesi prima dell’assegnazione mi è stata negata, perché non avevo ancora compiuto 65 anni”.

Le donne, sullo sfondo il campanile della Cattedrale

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