Le redini del cavallo: il progetto “Pilota” per un nuovo sostenibile assetto della città di Foggia

by Roberto Pertosa

Le percezioni visionarie, necessarie per un vero cambiamento, appartengono solo agli uomini talentuosi, in uno strenuo agonismo di chi è più visionario.

Per definire cosa si intende per “Progetto Pilota” vi riporto un estratto di una mia riflessione tratta dal mio articolo “Malinconia di Piazza Giordano”

“Per progetto pilota si intende, in ambito architettonico, un intervento strategico, generatore di nuovo spirito evolutivo, punto di partenza per la creazione di buone architetture, origine e sviluppo di nuovi e appropriati contesti e, di conseguenza, volano di attrazione economica per utenze provenienti fuori dei confini che imponga una cultura sociale di garanzia necessaria all’evoluzione.”

Ebbene, i cosiddetti interventi di “restyling”, termine tanto di moda quanto spesso inappropriato, di dannose preesistenze “selvagge”, dove regna licenzioso il degrado urbano, non sono affatto più plausibili per il raggiungimento di nuovi assetti urbani sostenibili e riqualificanti, volti ingannevolmente allo scopo di risolvere il tema della vivibilità e visibilità di interi pezzi di città.

Essi mirano infatti, erroneamente, alla conservazione e al rispetto di fantomatiche connotazioni architettoniche e alla loro inutile eventuale pseudo-trasformazione, con l’illusione di valorizzare dei “non-contesti”, palesemente riconoscibili, rappresentati da “spontanei” spazi urbani, intesi nel senso dispregiativo del termine, che si traducono in “metaprogettualmente casuali e rabberciati”.

Per costruire nuove città sostenibili, capaci di garantire benessere ai cittadini senza compromettere la qualità di vita delle generazioni future, è necessario prestare attenzione alla “base”, avere flessibilità positiva, creare contesti (con strutturati interventi pilota) laddove siano assenti, a condizione di non azionare processi involutivi, e soprattutto con la consapevolezza che il degrado assoluto di pezzi di città non si risolve con semplici interventi di “ripulitura limitata” che possono azionare processi fuori scala fini a se stessi, e, nel migliore dei casi, anacronistici.

Si risolvono altresì con interventi anche radicali, da armonizzare con i contesti buoni di una città, qualora esistano; e chi afferma che interventi di questo tipo siano irrealizzabili in quanto avveniristici, soprattutto in determinati contesti culturali, non solo non ha alcuna cognizione di causa, ma soprattutto non possiede una visione contemporanea di città.

Infatti, l’assenza di un contesto geografico culturalmente ed economicamente rilevante non preclude affatto la possibilità che si possa essere influenti anche operando in piccoli ambiti culturali, poiché le singole gesta, se valide e compiute, possono percorrere perfino migliaia di chilometri di distanza senza coinvolgere necessariamente l’esigenza costante di un approccio fisico e diretto con i nuclei pensanti prevalenti; anzi, a volte, possono costituire un modello da cui sviluppare una nuova corrente ideologica che si imponga di orientare.

In tal senso, a esser colti, un esempio eclatante, di come una iniziativa culturale possa tramutarsi incredibilmente in una vera e propria Manifestazione, fu indubbiamente il cosiddetto “Gotico Internazionale”, ossia quello stile che caratterizzò una fase della storia dell’arte europea collocabile tra il 1370 circa e buona parte del XV secolo (si prolungò in alcune zone a oltranza fino al XVI secolo), e che varcò incredibilmente i confini delle nazioni, assumendo caratteristiche di base simili in tutta Europa ma con notevoli e diffuse varianti regionali.

La sua internazionalità non derivò dal fatto che il nuovo stile nacque in una zona ben precisa d’Europa e che poi da lì si diffuse nel resto del continente, ma si sviluppò con criteri geografici paralleli, e dipese (e fu altresì favorita) da frequenti scambi anche di soli singoli oggetti d’arte, ma soprattutto da reciproci contatti tra artisti provenienti da esperienze e località diverse dell’Italia Settentrionale, di quella Meridionale, della Francia e della Germania, contatti inusualmente diffusi per l’epoca, e legati soprattutto agli ambiti delle corti rinascimentali.

Si trattò di un “virus” incredibilmente straordinario e inaspettatamente raccordante, seppur avendo valenze solo decorative e non certo strutturali, tant’è che, in questo periodo più che mai, le arti figurative relative a tale stile non furono un riflesso di fenomeni storici o sociali, ma svolsero semplicemente il ruolo di compensazione fantastica attraverso l’evocazione di un mondo perfetto e aristocratico.

Ma ciò che sorprende furono le sue eccezionali modalità espansionistiche che oggi ci spingono fortemente ad augurarci identiche manifestazioni, negli anni a venire, di una stessa unica tipologia di “virus” a filamento positivo che risulti talmente virulento da provocare l’insorgenza di quella pandemia quale rappresentazione di una travolgente globalizzazione culturale sostenibile, che possa spingere, con formidabile trazione, ognuno di noi a coltivare i propri sogni anche dentro le “mura della propria stanza”, per poi scegliere quanto grandi si vuole essere e quanto tempo si vuole impegnare per diventarlo.

Questa premessa risulta fondamentale allo scopo di definire, al momento in maniera più o meno dettagliata, come i contenuti di un mio precedente saggio breve “LO SPAZIO LIQUIDO NELLA CITTÀ DIFFUSA”, a cui si rimanda la lettura, si tradurranno in un progetto pilota avveniristico, all’interno di un piano di sviluppo volto a rendere la città di Foggia una città sostenibile e all’avanguardia, secondo la visione degli Architetti Roberto Pertosa e Luca Caputo.

La Foggia che conoscete adesso, sebbene in un futuro difficilmente pronosticabile, probabilmente non esisterà più se verranno recepiti i concetti e le percezioni visionarie del progetto, il quale preserverà categoricamente il Borgo antico identificato dalla “Testa di Cavallo”, con interventi chirurgici e contemporanei di adeguamento.

Continueranno a persistere le icone simboliche della città; se ne aggiungeranno altre (si spera), come la tanto agognata Stele, in Piazza Nigri, a commemorazione degli 800 anni dall’arrivo di Federico II a Foggia, e da cui il progetto di riferimento trarrà spunto in maniera significativa. Tutte inglobate in aree verdi diffuse, spazi pubblici a misura d’uomo, viabilità e costruito sostenibile.

É questa l’intenzione progettuale dello studio di Architettura [Ark! frequency] architects, degli Architetti Pertosa e Caputo, che sta ideando un progetto di riqualificazione urbana di un pezzo di città che investe Via Arpi, Via Manzoni, l’ultimo tratto di Corso Garibaldi, Via Fuiani, fino a inglobare Piazza Aldo Moro, allo scopo di pedonalizzarne ampi tratti, collegandoli alle aree pedonali già consolidate, ma da rettificare parzialmente, con strategie contemporanee, e col fine di integrare un costruito autosufficiente, da un punto di vista energetico e di produzione di energia, all’interno del tessuto urbano della città esistente, rivisitando totalmente il concetto di viabilità e di spazio pubblico, perlomeno nell’ambito delle zone di intervento, che funga da esempio da perseguire e da diffondere, innescando il cosiddetto effetto domino.

LO SPAZIO LIQUIDO NELLA CITTÀ DIFFUSA‘, il titolo del concept a cui si fa riferimento, prevede la realizzazione di prototipi, integrati nel centro urbano, che si adeguino alla densificazione abitativa della porzione di città che l’intervento si presta a rinnovare, proponendo un design che segue le regole della bioclimatica e delle energie rinnovabili e riciclabili in breve ciclo attraverso sistemi innovativi, allo scopo di implementare una qualità della vita sostenibile all’interno del rapporto città-abitanti, nel rispetto dell’ambiente.

Ampie zone verdi saranno inserite all’interno di tale spazio urbano, proprio per apportare alla città le caratteristiche positive degli ambienti rurali, e invogliare i cittadini a un tipo di vita più sostenibile.

Le nuove volumetrie (che in realtà verrano concepite esclusivamente in una specifica e limitata zona di intervento, con incremento non sostanziale di cubatura) uniranno funzioni residenziali a quelle commerciali, lavorative e didattiche (polo universitario in Via Arpi), in modo da ridurre la necessità di mezzi di trasporto, e comunque prevedendone tipologie alternative, andando così a diminuire le emissioni di combustibile della città.

L’inserimento di consistenti zone di transizione a verde permetterà quindi di strutturare lo spazio urbano di riferimento come un parco naturale che contenga una serie di poli abitativi, comunque correlati tra di loro, in modo da raccordarli, mediante una rigenerazione naturale, al contesto cittadino.

Quindi l’iter progettuale si propone, nel rammendare l’area di riferimento alle zone a essa limitrofe di diversa destinazione, di concretizzare il rapporto tra l’Architettura (e quindi il costruito), con il verde urbano.

E in questo rapporto irrompe l’intenzione di esaltare la soglia invisibile di continuità tra spazio interno e spazio esterno, da riconsiderare in due scale diverse. Ossia l’interno ed esterno del nucleo del costruito che, rapportandosi tra loro, si rapportano a loro volta, come un sistema globale, all’esterno del nucleo urbano.

Una condizione di dialogo fondamentale tra due dimensioni diverse ma complementari.

Essenziale quindi è l’intenzione di ripensare lo spazio pubblico, nel suo rapporto con lo spazio privato, riscoprendo nuovamente il suo ruolo di spazio domestico, oltre che come luogo di massima qualificazione, e risultato di uno scopo di spazio deputato alla vivibilità, percorrenza, evocazione e meditazione.

In pochi semplici tratti: l’istinto, l’intuizione, i desideri più reconditi di ognuno di noi, la visione di una città…

Per una maggiore comprensione delle finalità di tale progetto, si rimanda alla lettura del mio saggio breve

“LO SPAZIO LIQUIDO NELLA CITTÀ DIFFUSA”

pubblicato da:

L’ATTACCO _ mercoledì 13 Maggio, giovedì 14 Maggio 2020

AMAZING PUGLIA _ luglio/settembre 2020

BONCULTURE.IT _ venerdì 2 Ottobre 2020 (estratto)

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