No Signal e il sistema dell’audiovisivo che non si arrende al lockdown

by Claudia Pellicano

Da qualche giorno è possibile vedere in rete No Signal, uno spot realizzato da CNA Cinema e Audiovisivo con lo scopo di sensibilizzare le istituzioni su una crisi che sta mettendo a dura prova l’industria dell’intrattenimento.
La pandemia sta coinvolgendo un’area fondamentale per l’economia e la cultura italiana, penalizzando sia i professionisti del mondo dello spettacolo che il pubblico di sala affezionato alle esibizioni dal vivo e alle proiezioni sul grande schermo.

Abbiamo chiesto a Franco Bocca Gelsi, Presidente del CNA Milano e Lombardia, come, in un momento così delicato, si possano preservare e valorizzare il talento e le iniziative imprenditoriali di un settore così importante per il nostro Paese.

Ci troviamo dinanzi a una pandemia dai risvolti drammatici. Riaprire prematuramente un cinema o un teatro avrebbe comportato ulteriori morti e contagi. Cosa chiedete al Governo? Cosa avrebbe potuto fare di diverso, senza pregiudicare la salute dei cittadini?

Personalmente sono contrario al lockdown orizzontale. Abbiamo visto come categorie più a rischio gli anziani e le persone con patologie pregresse, ma abbiamo anche  tantissimi casi di immuni o asintomatici, dovremmo tenerne conto e proteggere i più fragili, senza mettere tutti sullo stesso piano. Cinema e teatri non potevano che essere fermati in questo contesto, però bisognava prevedere incentivi; in questi giorni si sta trattando con Franceschini che ha messo sul piatto 410 milioni, vediamo come saranno ripartiti. Credo che ormai siano ben chiari i limiti di questo sistema produttivo e dell’organizzazione della società intorno al business della finanza che ha impedito negli ultimi anni di sviluppare politiche a sostegno del pubblico. In certe questioni il governo ha anche agito bene, il problema è che il sistema è eccessivamente burocratizzato, quindi ogni cosa che altrove risulti semplice e veloce, da noi risulta lunga e difficile; la liquidità, inoltre, non riesce ad essere garantita, né nell’emergenza né in situazioni normali. Credo che il governo avrebbe comunque dovuto prevedere un bonus a fondo perduto per la piccola imprenditoria, è impensabile credere di uscire da questa crisi senza immettere liquidità nel sistema, e non si può immetterla a debito delle imprese e delle persone già pesantemente in difficoltà da questi anni di recessione. Sulla riapertura dei luoghi sociali, dei teatri e dei cinema posso solo dire che i protocolli di sicurezza mi lasciano perplesso, sui luoghi di grande assembramento, intendo. Sono luoghi di socialità e devono restare tali, credo che la soluzione sia aumentare la capacità di intervento e cura del sistema sanitario.

È encomiabile che un cantante o un attore prenda a cuore una causa; ben diverso è chiedere agli artisti di apportare il loro contributo a titolo gratuito, prassi che, dall’inizio dell’epidemia, si è ancora più diffusa. Aspettarsi che i creativi lavorino gratis (o per ottenere “visibilità”) è una pratica scorretta, resa ancora più odiosa dalla evidenti difficoltà in cui versa il settore in questo periodo. Da una parte si incensa in modo ipocrita e stucchevole il valore della cultura, dall’altra non si riconosce l’importanza della retribuzione delle competenze- di tutte le competenze. Come si esce da quest’impasse?

Difficile a dirsi, concordo con l’analisi; il “mecenatismo”, anche al contrario, diciamo, non aiuta a dare valore alla cultura, semmai la deprezza. Tutti hanno diritto ad essere remunerati del lavoro-  artisti, professionisti, manager, aziende. Il problema è che la cultura più è entertainment e più è business, le due cose, a mio parere, stanno male insieme. Inoltre chi poteva lavorare ha continuato a prendere valanghe di soldi, come certi imbonitori televisivi.

La quarantena ha fatto emergere difficoltà strutturali che esulano dall’emergenza attuale?

Certo, a partire dalla privatizzazione dei beni comuni quale è la salute pubblica, fino all’impossibilità di avere un sano dibattito politico a causa di una continua litigiosità in chiave elettorale. Ormai è tutta una lunga e continua campagna elettorale. E poi c’è la questione della burocrazia: su ogni legge vengono fatti migliaia di piccoli interventi che la rendono complessa a causa della concertazione o dell’ostruzionismo, o solo perché bisogna accontentare tutti. Un caos.

Inoltre è evidente come anche la cultura, anch’essa bene comune imprescindibile, non goda oggi di una leva economica che le permetta di riprendersi il giusto posto nel mondo. Una cultura resa entertainment a uso e consumo del business e della pubblicità, quindi del mercato, non potrà mai riflettere davvero il carattere e le sue potenzialità intrinseche di mezzo di emancipazione dell’umanità sulla materia bruta. Papa Francesco ha detto che la cultura non deve essere un concetto astratto. Personalmente sono un ammiratore del Politecnico di Vittorini e Fortini, che dicevano che la cultura non deve essere consolatoria, e decadentista- come oggi è, aggiungo io.

Ultimamente le piattaforme online sono diventate sempre più centrali. Quali sono i pro e i contro di queste forme di distribuzione?

Il vantaggio è l’offerta in termini quantitativi e di costo, con 8 euro al mese ti abboni a Netflix e vedi tutto quello che vuoi, ma non sempre la qualità c’è, spesso dipende dal sistema di produzione locale. Oggi, ad esempio, l’immissione di prodotto italiano nel sistema piattaforme risente ancora di certe rendite di posizione e di una scarsità di linguaggi, contenuti e cast tipica del cinema italiano, ma sono speranzoso.

Le piattaforme devono essere, o almeno vorrei che fossero, principalmente una fonte d’intrattenimento, ma anche un luogo dove posso trovare ciò che non riesco a trovare al cinema o nei festival. Se, invece, replicano ciò che c’è abitualmente in sala, restano solo una finestra in più nello sfruttamento dei diritti, e ancora una volta il business prevale sulla qualità, purtroppo.

È  possibile immaginare nuove forme di fruizione che non penalizzino gli artisti?

E’ un problema complesso, non ho grande stima di sistemi come Imaie o della stessa SIAE, credo che dovrebbero trovare modi alternavi per coinvolgere gli artisti. Il vecchio sistema di redistribuzione non aiuta, ma non sono un esperto del settore; sono un produttore e, per adesso, non ho diritto a nessun credito creativo. Spero riusciremo a fare passare il concetto che un  “produttore creativo” è a tutti gli effetti parte integrate del processo di sviluppo, ossia che è per il cinema quello che lo showrunner rappresenta nella serialità, una figura centrale e indispensabile.

Come valutate l’iniziativa We Are One: A Global Film Festival, la rassegna cinematografica online che avrà luogo dal 29 maggio al 7 giugno e che vede coinvolte le più importanti kermesse mondiali?

Interessante per tenere viva l’attenzione e la continuità, ma per noi operatori di poco interesse, dovrei comunque aspettare di vedere come sarà configurata. Devo dire che non amo i circuiti di Festival fini a se stessi, come ad esempio il Network dei festival di Milano che evita di confrontarsi con le associazioni di categoria del territorio e invece fa accordi col Torino Film Lab. In questo modo depaupera speranze interessantissime come quella del Coordinamento delle associazioni di cui facciamo parte, che raggruppano Agis, Anec Fice, 100Autori, Agici, Doc It, CPA e noi di CNA.

C’è qualcosa di positivo, un’esperienza, una lezione, che avremo ereditato da questo periodo?

Se sapremo capitalizzare i segnali che ci sono arrivati sul limite del sistema produttivo, politico e sociale, senza cercare di tornare ad una precedente normalità che normalità non è mai stata, e trovare soluzioni più alla portata dell’umano che non del capitale, allora, forse, questa crisi sarà servita a qualcosa.

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