“Interveniamo sui ragazzi altrimenti la mafia avrà sempre manovalanza fresca”. Nell’oratorio Sacro Cuore con Massimo Marino

by Antonella Soccio

I chioschi e i circoli sportivi pieni di moschilli, le piastre delle case popolari ritrovo di riunioni mafiose, una stazione dei Carabinieri, in cui i graduati sono quasi serrati in ufficetti con poca luce, le abitazioni di alcuni boss, le strade che diventano parcheggi privati. Tutto questo è Candelaro a Foggia, dove tuttavia esistono situazioni di legalità luminose, come la Scuola dell’Infanzia Sorriso del Sole, un tabacchi che si è liberato delle slot machine e la parrocchia del Sacro Cuore, che dagli Anni Settanta svolge un ruolo di promozione sociale e si trova al crocevia tra Candelaro, Borgo Croci e Via Lucera fino alla nuova 167.  

Oggi il Santo dei salesiani, don Giovanni Bosco, guarda la chiesa e la città in un enorme e splendido murales della Fondazione Jorit, il primo della fondazione in Italia e il primo a non avere il marchio e la firma delle strisce tribali del muralista napoletano, che lo ha completato in soli 3 giorni.

Cresciuti per strada giocando a pallone nel quartiere tra favole e pistole”. Questo verso dei Tavola28, pieno di poetica e di ribellione, rappresenta lo spirito con cui i post adolescenti, denominatisi “I ragazzi del gazebo”, con tanto di panche divelte da altre zone della città, affrontano la loro vita, nella piazza dinanzi all’Oratorio del Sacro Cuore, protagonista del progetto per una comunità educante RiGenerAzioni, selezionato da Con i bambini, nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa.  

Questo verso insieme ad altri che inneggiano a ragazzi morti ammazzati o a “Totò Riina vive” saranno al centro di una riqualificazione, come ci spiega Massimo Marino, 44enne, presidente dell’associazione di promozione sociale Sacro Cuore e direttore della Pastorale Sociale della Diocesi.

Dopo la grande marcia dei 20mila del 10 gennaio con don Luigi Ciotti non c’è tempo da perdere in divisioni.

“I ragazzi in questa piazza hanno un atteggiamento grave. Per noi sono ogni giorno una sconfitta ma sappiamo che non potremo mai recuperarli tutti.  Hanno danneggiato la porta, hanno divelto la Madonna di gesso”, dice in esordio Marino.

Massimo Marino nella piazza piena di scritte pro mafia

L’oratorio ha un ruolo centrale nell’educazione dei ragazzi, con la ricerca attiva del lavoro ed un rapporto fattivo, grazie al progetto, con le due scuole medie del quartiere, Altamura e Foscolo. Non si contano le iniziative.

“L’evangelizzazione per don Bosco aveva sempre un risvolto educativo. Buoni cristiani e onesti cittadini. Il doposcuola inizia sempre dalla fede, l’apertura al trascendente fa parte del carisma”. Ecco perché la cappella dell’oratorio, costruita come una nave, si rifà al sogno delle Due Colonne, Gesù e la Madonna Ausiliatrice, colei che aiuta.  E fuori è riproposto il sogno del pergolato di rose, con un tunnel in un giardino che sarà presto un piccolo orto didattico che porterà alla meditazione e alla contemplazione.

Dall’agosto 2018 ci sono tre bellissimi campi di calcio, due in erbetta, da 9 e da 5 e uno polivalente in resina. “L’attività è aperta a tutti. Più il ragazzo è scartato dalle altre scuole calcio, più ha diritto a venire qui. Il quartiere conta 25 mila abitanti ed è in espansione, abbiamo 80 famiglie con la Caritas registrate e 200 ragazzi che frequentano la parrocchia e l’oratorio in maniera stabile”.

A Massimo Marino noi di bonculture abbiamo rivolto alcune domande per far sì che il 10 gennaio non sia solo una manifestazione da ricordare, ma resti una pratica con la quale far dimorare relazioni e cambiamento.

La cappella nave

Massimo, il ceto medio per la prima volta ha marciato ed è entrato nel Candelaro, quanti da qui hanno partecipato e camminato?

Hanno partecipato in diversi gruppi, non so quantificare il numero, ma la risposta c’è stata, come c’è sempre rispetto a queste grandi convocazioni che coinvolgono. Ora occorre dare continuità e dare un percorso a questa attenzione da parte di tutti.

Alcuni sostengono che le famiglie e i commercianti del quartiere fossero indifferenti alla marcia, eppure si respirava molta curiosità e anche speranza in alcuni volti. Tu che ne pensi?

La gente del quartiere ha bisogno di risposte concrete. A bisogno concreto, risposta concreta. Non è gente che guarda tanto alle parole e alle manifestazioni, ma ai risultati concreti che si possono realizzare, anche con i ragazzi. Vanno bene i corsi all’educazione alla legalità che si fanno a scuola, però ai ragazzi è importante dare la testimonianza e la praticità. Bisogna indicare come loro possono essere rispetto alla legalità e come contribuire alla cittadinanza attiva. Laddove c’è una piazza abbandonata a se stessa, sarebbe bello mettersi insieme, anche con gli adulti, a riqualificarla. Farlo insieme dà senso di appartenenza, che uno dei motivi per cui si fanno atti di vandalismo, perché i ragazzi non sentono propria la piazza e la danneggiano. Uno non danneggia qualcosa che è proprio e che sente suo. Ridare fiducia ai ragazzi, metterli al centro di un sano protagonismo è importante perché altrimenti il contraltare sono i ragazzi che faranno del cattivo protagonismo che sfocia anche nelle baby gang. È questo un fenomeno di cui anch’io ero un po’ scettico. Lo sottovalutavo.

In che senso?

Nel senso che mi dicevo che erano cose che c’erano sempre state.

Qui però forse già esistevano. Adesso hanno invaso la città, sono mobili.

Sì, ma non c’è mai stata questa sistematicità di episodi.

Come li leggi?

C’è un bisogno di ascolto da parte dei ragazzi. Si rendono protagonisti perché forse non hanno punti di riferimento né in famiglia né in altre situazioni. Noi come funzione educativa, ci poniamo molto nell’ascolto, cerchiamo di partire dal basso. Don Bosco diceva che bisogna partire da quel che piace ai ragazzi.

E a loro cosa piace oggi? Si dice sempre che a loro interessi solo lo schermo del cellulare. Da Tik Tok a YouTube, le stories Instagram.

Noi cerchiamo di lavorare sulla disconnessione. Mentre prima si lavorava per cercare di essere connessi, oggi facciamo al contrario. Sicuramente uno strumento valido, sistematico, è lo sport. In particolare il calcio, anche se noi cerchiamo di far sperimentare ai ragazzi anche altri sport e altre attività. Ma la dominante e quello che vengono a chiedere i ragazzi è il calcio. E lo vengono a chiedere anche le ragazze, che da una parte è bello, perché le ragazze spesso è difficile coinvolgerle, sono più problematiche rispetto ai maschietti, che è facile coinvolgerle. Le ragazze o sono eccessivamente femminili per la loro età o sono dei maschiacci per la loro età.

Quindi o bulle o erotizzate?

Sì. Il fatto che si mettano in gioco e provino il calcio è un bene, anche se il nostro desiderio è che possano fare degli sport più adatti ad esprimere la loro sensibilità e la loro femminilità.

Ci sono dei laboratori di ginnastica artistica e di atletica?

Proponiamo anche la pallavolo, il basket.

L’oratorio 20-30 anni fa è stato un grande centro di volley, con tornei estivi memorabili. C’era anche una squadra molto forte in città. C’è ancora?

Sì, c’era la PGS, la Polisportiva Giovanile Salesiana. È questa una realtà che i salesiani hanno un po’ lasciato, perché come tutte le grandi realtà c’è il rischio che poi si perdano. Ogni periodo storico ha il suo valore, i tempi non sono paragonabili. Oggi probabilmente anche la squadra di pallavolo femminile non avrebbe quella stessa presa degli anni Novanta, perché oggi i ragazzi e le ragazze si cercano molto. Noi facciamo pallavolo mista. Ma il calcio è la dominante per tutti. Da lì partiamo per proporre altre esperienze. Un punto su cui insistiamo molto è il doposcuola, perché in una città e in un quartiere in cui la dispersione scolastica è alta, anche se il doposcuola non è un bisogno diretto, va fatto.

È gratuito?

Per un senso di corresponsabilità dei genitori chiediamo un contributo, ma siamo nell’ordine di 10 euro al mese. È simbolico.

Anche un ragazzino, che magari riesce nei compiti, viene qui, giusto?

Sì, l’idea del progetto è questa. L’oratorio è una scuola di vita. Noi non creiamo situazioni di élite o di ghetto. Qui non vengono soltanto i ragazzi problematici o quelli d’élite, che pure ci sono perché ci sono commercianti che sono cresciuti. L’idea è che il ragazzo che ha bisogno dal punto di vista economico e sociale sta insieme al ragazzo che non ha difficoltà. Insieme nel rispetto di regole comuni crescono.

I ragazzi che non vengono recuperati e diventano manovalanza per la criminalità rischiano di divenire un modello per i più piccoli?

Anche in questo i massmedia a mio parere hanno contribuito con le serie televisive. C’è l’affascinazione del male. Si respira in alcune situazioni un atteggiamento di prevaricazione violenta e mafiosa, per dire “io ci sono”. Cerchiamo di lavorare sull’identità personale e sul contesto che applaude. È come per il bullo e il bullizzato. Tanto esiste perché attorno c’è un contesto che li indentifica come il bullo e il bullizzato. È un sistema. Laddove il ragazzo è bullizzato lavoriamo sulla sua autostima, perché forse è un ragazzo che non ha strumenti relazionali, dall’altro lato per il bullo, egocentrico e violento, lo riportiamo all’idea di collettività. Sono argomenti che cerchiamo di far passare nella dimensione del gioco.

I percorsi di legalità, i vari Pon, che studiano a scuola quanto sono forti e percepiti tra i ragazzi?

Sono importanti e sono percepiti, ma io credo che se non vengono calati nella realtà delle cose, restano una materia scolastica. Qualcosa da imparare a memoria, per cui magari mi impegno anche nel cartellone o nel prodotto audiovisivo, ma fatto quello tutto resta com’è. Ma quante di quelle parole di legalità sono nel loro vissuto concreto? Comprendono che l’illegalità è anche il gesto violento nei confronti del compagno? Certo non si può parlare di mafia, ma di atteggiamento mafioso, sì.

Il presidente della Regione Puglia Emiliano ha molto insistito sulla formazione delle assistenti sociali. Alle piastre c’è anche uno sportello del Comune, c’è una sinergia tra di loro?

Come prerogativa cerchiamo di lavorare con tutte le istituzioni, il progetto RiGenerAzioni conta 18 partner. Siamo convinti che oggi sia impossibile lavorare da soli: le agenzie educative, in primis la famiglia, da sole non ce la fanno. Ci sono i Piano Sociali di Zona.

Ci sono state molte critiche al Psz nell’ultima campagna elettorale che ha visto Pippo Cavaliere contro Franco Landella. Tu le condividi?

Noi come salesiani siamo per la politica del Padrenostro. Quando a don Bosco gli veniva chiesto: ma lei è di sinistra? È di destra? Lui rispondeva: a noi non interessa la politica, ma il bene comune dei ragazzi. Che questa proposta venga da sinistra, da destra, da un privato o da una istituzione, se fa crescere l’ambiente è buona.

Però, è vero che i Piani sociali di zona forse sono calibrati su servizi che oggi appaiono meno prioritari di un tempo. Per i minori c’è poco.

È come l’aria che tira. La nostra realtà esiste a prescindere dalle mode.

Quando tu dici che il quartiere cerca risposte concrete, queste dovrebbero interessare soprattutto i giovanissimi, o no?

Le risposte dovrebbero essere per i bambini, gli adolescenti e per i giovani, i ragazzi in età universitaria. Oggi ci sono delle priorità. La prima è il lavoro, inteso come formazione al lavoro, ricerca del lavoro. L’altra è l’educazione come risposta alla dispersione scolastica, ma più in generale alle povertà educative.

Quanti ragazzi che son passati dall’oratorio si sono laureati?

Purtroppo la laurea oggi è una nuova forma di povertà. Negli anni Novanta noi facevamo festa quando un ragazzo del quartiere si laureava, oggi questo non accade più, perché sono tanti. Il problema qual è? La maggior parte dei ragazzi laureati vanno via. Io vivo una solitudine generazione, perché chi con me era motivato ed era cresciuto nell’ambiente ora per questioni lavorative o universitarie è fuori. Foggia storicamente è zona di transumanza e passaggi, ma se non si creano i presupposti sarà un continuo esodo. Dare una continuità ai percorsi è importante per dare una identità a Foggia.

Ma non è anche una missione educare un ragazzo ad emergere e ad andare via da questo contesto?

Sicuramente è un dato positivo, però quando diventa un obbligo e una forzatura, della serie io qui non ho futuro e vado via, è una sconfitta per la città.

Tu cosa consigli ai ragazzi?

Io consiglio loro di trovare la propria identità e la propria missione, ciò che vogliono fare nella vita a prescindere dall’aspetto lavorativo, perché a volte l’urgenza lavorativa blocca i sogni, invece don Bosco ci insegna che va perseguita la crescita integrale del ragazzo, dal punto di vista affettivo, educativo, lavorativo. Ci sono dei bravissimi ragazzi che nelle varie città diventano protagonisti: le intelligenze ci sono.

Avete un albo dei vostri ragazzi?

Ci sono alcuni calciatori, come Pino Agostinone, che è cresciuto nei nostri ambienti, Sergio Di Corcia, che ha fatto la serie A o Ricchetti. Ce ne sono di personaggi che spesso indirizziamo come modelli.

Che consiglio ti sentiresti di dare a Libera e a tutte le realtà della società civile vecchi e nuove per non disperdere il patrimonio del 10 gennaio?

Si parla tanto di squadra Stato, che è importante e bellissima, ma qui bisogna passare da Squadra Stato a Squadra Comunità. Ad oggi individuo due grandi risposte, che son venute fuori: quella repressiva statuale, qualcuno parlava dell’esercito e purtroppo forse serve e dall’altra parte un’azione di prevenzione. Dobbiamo intervenire sui ragazzi perché altrimenti la malavita avrà sempre, continuamente, manovalanza fresca.

Si è perso un po’ di terreno sul fronte della prevenzione in questi anni?

Ci sono situazioni valide sul territorio, che è ricco di associazioni. È importante fare rete, ma sul serio. Ognuno va per la propria strada e per il proprio specifico, che è importante, ma qui bisogna capire che a situazioni straordinarie, occorre avere interventi straordinari. Faccio un esempio di una proposta semplice e concreta: se questa è una città che ha una forte dispersione scolastica e sappiamo che essa può essere un motivo per essere poi reclutati dalla mafia, attiviamo una misura straordinaria su questo: nelle parrocchie e in altre realtà chiediamo di avviare dei doposcuola. Chiediamo a tutti, anche all’Università, di scendere in campo su questa tematica, fornendo le proprie competenze e professionalità su questo fronte. Questo è solo un esempio. Troviamo un’azione, per la quale tutti si possano sentire coinvolti, e svolgiamola. Riqualifichiamo le piazze. Qualunque misura, purché sia espressione di un’azione condivisa. Ma invece molte volte ci si perde in sterili polemiche, critiche gli uni verso gli altri. Questo non è il tempo della divisione, questo è il tempo di stare uniti.

You may also like

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.