Una crisi “borderline”

by Enrico Ciccarelli

Il titolo di questo commento è frutto di un deplorevole calembour sul cognome del deputato dem Michele Bordo.

Bordo, malgrado non abbia ancora cinquant’anni è un deputato di lungo corso, visto che è a Montecitorio da quasi quindici anni. Il parlamentare pugliese, è di Manfredonia, in provincia di Foggia, quindi un mio conterraneo, ha parlato a nome del Partito Democratico nel dibattito sulle comunicazioni di Giuseppe Conte. Un ruolo di grande rilievo, riconosciutogli –credo- non solo perché vicepresidente dei deputati dem, ma anche perché fra i più fidati amici di Andrea Orlando, il vicesegretario vicario che, ben più di Zingaretti, sembra avere le chiavi della “macchina-partito”.
I dieci minuti dell’intervento di Bordo sono stati molto lineari, discretamente pacati, giocati per intero sulla politica e sulle ragioni squisitamente politiche che secondo lui hanno guidato la crisi e l’atteggiamento di Matteo Renzi. Il suo giudizio è che lo strappo di Italia Viva, su cui è naturalmente critico, dipenda dall’intenzione di Renzi di sabotare il percorso di alleanza fra Pd, Leu e Cinquestelle per cercare di impedire che l’alleanza di governo diventi coalizione politica, come invece avverrà dopo la sua fuoriuscita.

È una tesi che si può condividere o meno, ma ha il pregio della chiarezza. Annoto che la Prima Repubblica non postulava un’identità fra coalizioni di governo e coalizioni politiche, almeno dal 1968 in poi, perché il Partito Socialista, pur essendo al governo con la Dc e i partiti laici, non rinunciò mai a tessere accordi con il Partito Comunista, che sembrava anzi nelle realtà locali il suo alleato preferenziale.
Questa identità appartenne invece al periodo che va dal 1994 al 2013, caratterizzato da leggi elettorali maggioritarie o ipermaggioritarie, imperniato sullo scontro rusticano fra Berlusconi e l’antiberlusconismo. Il mantra dell’epoca era dare la possibilità agli Italiani di scegliere da chi essere governati: da questo discendeva l’indicazione del leader delle coalizioni, l’aperto favore per le liste che si alleavano e coalizzavano, i premi di maggioranza espliciti come nel Porcellum o impliciti come nel Mattarellum.

Significa che questa maggioranza, diventata –come auspicato da Bordo- coalizione politica si presenterà alle elezioni, magari con l’indicazione a premier dello stesso Giuseppe Conte? No. Perché l’atto costitutivo di questa nuova stagione di coesione politica sarà –ha detto il premier- una legge elettorale proporzionale. Anche qui, la disputa sui sistemi elettorali è antica e bastantemente oziosa, ma una cosa è sicura: in un sistema proporzionale i cittadini conferiscono nei fatti una delega in bianco ai rappresentanti che scelgono, rimandando al Parlamento che si costituirà la costruzione delle alleanze, proprio come è successo in questa Diciottesima legislatura.

Significa che il Movimento Cinquestelle si presenta alle elezioni contro il sistema ma poi governa con tutti i partiti del sistema; che il Partito Democratico chiede i voti contro i populisti ma poi ci governa insieme; che la Lega prende voti nella coalizione di centrodestra ma poi si allea con i Cinquestelle. E così via. I nostri sessantotto governi in settantacinque anni di storia repubblicana dipendono anche da questo: la novità è che mentre prima cambiava il nome del presidente del Consiglio o dei ministri all’interno della stessa maggioranza, oggi cambiano le maggioranze, ma il presidente del Consiglio resta sempre lo stesso. Non so se si possa considerare un progresso.

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