“In Italia 22 volte i contagiati della Cina e la curva continua a crescere” L’intervista a Umberto Vincenzi

by Maria Teresa Valente

Se è vero che oggi basta avere uno smartphone tra le mani per far sì che si annullino distanze di migliaia di chilometri, ammetto che quando ho sentito per la prima volta parlare di Coronavirus nella città cinese di Wuhan mi è sembrata una realtà così lontana che non mi ha minimamente sfiorato l’idea che quelle immagini trasmesse in tv potessero materializzarsi anche qui da noi.

Ma non tutti hanno reagito come me. “Avevo intuito subito la pericolosità del Covid-19”, ammette il dottor Umberto Vincenzi, pneumologo ed ex direttore, da poco in pensione, di Malattie dell’Apparato Respiratorio presso l’Ospedale “Col. D’Avanzo” di Foggia, che spiega che non era semplice in Cina, come non lo è per il resto del mondo, porre in essere politiche atte a contenere immediatamente il virus. “Ci troviamo di fronte a qualcosa di mai visto prima e ciò ha creato una situazione sconosciuta”.

Eppure la Cina, dove il Covid-19 è nato ed ha iniziato a proliferare vertiginosamente contagiando il pianeta, registra a poco più di due mesi dalla sua prima comparsa una diffusione pari quasi allo zero. Magie orientali? Niente affatto, piuttosto una severa politica di contenimento. “Un po’ come succedeva nel Settecento – evidenzia Vincenzi – quando durante le epidemie gli infettati venivano murati vivi in casa e si portava loro da mangiare attraverso delle fessure”.

In Italia il Governo è riuscito a mettere in campo iniziative che si sono andate via via adattando alla curva della crescita della malattia, tuttavia oggi paghiamo le spese di non essere intervenuti subito in maniera ‘drastica’. E già, perché “seppure già dal 30 gennaio erano state approntate misure per prevenire eventuali contagi da Coronavirus nella nostra nazione, è soltanto dal 21 febbraio, ovvero dai primi casi italiani, che si è passati a soluzioni più radicali”, spiega il medico di Foggia. Ecco quindi l’istituzione delle ‘zone protette’ in alcune città, il decreto del 4 marzo per la chiusura di scuole e università, quello del 9 marzo con le zone rosse nel nord Italia e dell’11 marzo con l’isolamento per l’intera nazione.

Ormai, però, era tardi. In pratica, è stato come chiudere la stalla quando i buoi erano già scappati. Da quel 21 febbraio, infatti, è iniziata in Italia una crescita esponenziale dei contagi che ogni 2,5 giorni vede raddoppiare il numero dei casi.

Com’è possibile che la diffusione del virus non accenni a diminuire nonostante le severe limitazioni decise dal premier Giuseppe Conte e dal Ministro della Salute Roberto Speranza? “Il problema è che la gente non sta a casa”, sottolinea laconicamente l’ex direttore dell’ospedale D’Avanzo, struttura scelta dalla Regione Puglia insieme al Riuniti di Foggia come avamposto alla lotta contro il Covid-19. Tesi avvalorata dal vicecapo della Croce rossa di Pechino che, arrivato in Italia per sostenere i nostri sanitari, ha dichiarato in una conferenza stampa con il governatore della Lombardia Attilio Fontana: Sono stupito dalla quantità di gente ancora in strada“. “Ancora in troppi usano il trasporto pubblico e non usano mascherine. Le misure sono troppo poco rigide“.

“Con un isolamento vero – continua il dottor Vincenzi – in tre o quattro settimane potremmo dire di aver salvato l’Italia”. Invece la diffusione cresce in maniera esponenziale “e nessuno fa notare che i contagi nella nostra nazione sono 22 volte maggiori della Cina”. Se la matematica non è un’opinione, infatti, è semplice notare che il numero dei contagiati in Cina va rapportato su una popolazione di un 1 miliardo e 300 milioni di abitanti, mentre gli oltre 40mila casi italiani su una popolazione di appena 60 milioni.

Per non parlare del numero dei morti, che in Italia ha superato la Cina. “Probabilmente – spiega il medico – perché rispetto ai dati ufficiali ci sono molti più contagiati. Alcuni colleghi ipotizzano possano essere almeno 5 volte di più, arrivando quindi a toccare i 200mila in Italia”. Perché queste cifre ballerine? “Non facciamo tamponi e quindi non teniamo conto degli asintomatici o di chi ha pochi sintomi”.

Ed il discorso tamponi è particolarmente delicato: tranne che in Veneto, dove il Governatore Luca Zaia ha optato per un controllo massivo della popolazione, vengono fatti solamente a chi presenta sintomi seri. Succede quindi che in Puglia, ad esempio, ci siano medici che ignari di essere stati contagiati continuino a lavorare trasformandosi, loro malgrado, da vittime a carnefici.

“Io stesso – sottolinea Vincenzi – pur essendo medico, non saprei come fare un tampone né è possibile acquistarli”.

Una situazione sottovalutata, ma particolarmente seria, poiché vi possono essere in prima linea migliaia di contagiati (anche asintomatici) che inconsapevolmente sono degli untori. Ed è assurdo che il tampone per protocollo non venga fatto nemmeno a chi è stato a stretto contatto con casi accertati di positività al Coronavirus. L’unica precauzione è una quarantena preventiva, magari domiciliati a casa con familiari. Ed il contagio aumenta.

Nell’ultimo discorso alla nazione del 21 marzo, il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha dichiarato che questa “è la crisi più grave del dopoguerra”. Eppure i mezzi per fronteggiarla, nonostante vari proclami, a quanto pare sono ancora inefficaci.

Qualcuno chiede l’intervento dell’esercito per far rimanere gli italiani a casa. Ma come mai sono così difficili da convincere sul fatto che questo virus rappresenta una minaccia gravissima? “La gente non è abituata a questa emergenza e la sottovaluta. Il nome stesso ‘Covid-19’ di per sé non incute paura. Se invece dicessimo di rimanere in casa perché si rischia di essere contagiati dalla meningite o di beccare un enfisema, sicuramente si reagirebbe diversamente, perché sono malattie conosciute, che spaventano”, spiega Vincenzi.

“Non potremo stare tranquilli finché la curva di crescita da esponenziale non diventerà lineare”, aggiunge. E quando sarà possibile questo? “Quando finalmente capiremo davvero tutti che restare a casa non è solo lo slogan del momento, ma l’unico modo che abbiamo per fermare i contagi e con essi il virus”.

A creare confusione è anche il messaggio fatto passare a più riprese che ‘tanto colpisce solo gli anziani’. A Foggia la situazione sembra smentire questo dato: “A parte una persona veramente anziana, il più ‘vecchio’ ricoverato in terapia intensiva ha 55/56 anni”, evidenzia lo pneumologo, seriamente preoccupato dal vedere in giro ancora tanta gente che pare sentirsi immune da ciò che sta mietendo vittime come in una guerra.

E subito la mente corre a quelle immagini strazianti dei camion militari in fila a Bergamo con 60 bare da portare alla cremazione. Sessanta persone uccise da un nemico invisibile. Sessanta famiglie che non hanno potuto piangere i propri cari e che ignare del fatto che non le avrebbero riviste mai più, al momento del ricovero non hanno dato loro neanche un ultimo saluto. Figli a cui sono stati strappati i genitori, nipoti che hanno perso i nonni, famiglie distrutte nella maniera più atroce. Perché gli anziani sono ‘solo anziani’ finché non si trasformano in tuo padre, tua madre, un parente stretto o un amico carissimo.

Siamo in guerra? Sì. E se vogliamo difenderci ed andare avanti, combattiamola… a casa.

#restateacasa

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