L’etologo ed ecologo Danilo Russo e il Greenrecovery: “Il cambiamento green non può che partire da un ripensamento totale dei nostri modelli di vita”

by Michela Conoscitore

La Fase 2, che ha visto il ritorno alle consuete attività umane, è associata ad una ripresa economica e sociale della vita, così come la conoscevamo prima della pandemia, pur dovendo rispettare le norme di sicurezza per evitare il contagio ancora in atto. In pochi, però, hanno riflettuto su una Fase 2 che formulasse una riconsiderazione della presenza umana sulla Terra, e soprattutto come attuare una ripresa green, perché non bisogna dimenticare che la pandemia da Covid-19 si è originata da una crisi ambientale, e probabilmente sarà una delle tante che potranno ancora verificarsi.

Un documento approvato da cariche importanti e associazioni dell’Unione Europea, il Greenrecovery, getta le basi per una ripartenza sostenibile e nel rispetto del pianeta che ci ospita: bonculture ha intervistato il professor Danilo Russo, ecologo ed etologo, professore associato del Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, che attraverso il proprio punto di vista scientifico ha tradotto gli ultimi due mesi di pandemia e ha illustrato quel che potrebbe accadere se non prendiamo coscienza per tempo del nostro impatto devastante sull’ambiente:

Ad aprile è stato pubblicato il Greenrecovery, un documento che pone le basi per una ripartenza post Covid-19 all’insegna di un’economia sostenibile: tra i firmatari ONG, eurodeputati e ministri di diversi paesi UE come l’Italia con Sergio Costa e Ezio Amendola. L’appello aspira ad un sistema economico nuovo, resiliente, autonomo, inclusivo e protettivo. Era necessario ribadire questi principi secondo lei, professor Russo?

Delle voci autorevoli che si esprimono sull’esigenza di un’economia verde non possono che essere apprezzabili. Sperando che poi quest’appello si traduca in atti concreti: sono anni che sentiamo parlare di contrasto al cambiamento climatico, di decarbonizzazione dell’economia, e non stiamo facendo grandi passi avanti. Auspico che questo evento pandemico sia un momento di riflessione profonda, anche se non è quello che sto percependo. Bisogna porre attenzione sull’aspetto fondamentale di questa pandemia: è il risultato di una crisi ecologica. Non si stanno contrastando la deforestazione o il bushmeat (consumo di fauna selvatica, ndr.), e mi sarei aspettato posizioni più forti a livello internazionale su queste problematiche che sono state le cause principali della zoonosi pandemica che abbiamo vissuto. Il mio timore è un altro: un mondo, come il nostro, economicamente depresso tenderà ad essere ancora più miope rispetto a prima, perché le crisi economiche implicano anche quelle ambientali. Quando si verificano queste circostanze, l’ambiente sembra essere relegato alle ultime voci di cui occuparsi nell’agenda internazionale, reputando quasi un lusso dedicarsi a questa tematica quando tutte le altre esigenze ‘fondamentali’ sono state soddisfatte. Invece, non è così anzi è il contrario. Dovremmo imparare che la nostra sopravvivenza sul pianeta, il nostro benessere e la nostra economia dipendono in maniera vitale dalla conservazione ambientale. Fin quando considereremo come separati questi due concetti, non faremo molta strada. Quindi, la pandemia da Covid-19 non ha sensibilizzato molto sulle tematiche ambientali alla base di questa zoonosi, e per questo sono molto preoccupato anche considerando l’aumento esponenziale della popolazione umana sul pianeta.

Se i grandi della Terra volessero attuare davvero una green economy, quali dovrebbero essere i punti di partenza da cui avviare questo rinnovamento sostenibile?

Secondo me il cambiamento green non può che partire da un ripensamento totale dei nostri modelli di vita. L’unico obiettivo a cui mirano tutte le economie del mondo è l’aumento del prodotto interno lordo, e chiunque consideri ciò non prioritario viene tacciato di follia. È chiaro che questo non può essere lo scopo di una vita sul pianeta che si possa dire sostenibile. Bisogna pensare al benessere sociale e ambientale che sono strettamente correlati, e quindi intervenire sulla tutela di questi aspetti, incoraggiare le economie davvero sostenibili incluse quelle su base agricola, forestale ed ecoturistica che siano rispettose dell’ambiente, arrestare fenomeni quali la deforestazione e l’espansione incontrollata delle aree urbane.

L’Università di Harvard ha pubblicato uno studio dove è dimostrata una certa correlazione tra CO2 e Covid-19: le analisi hanno dimostrato che alti livelli del gas, come per esempio quelli registrati a Manhattan, epicentro della pandemia negli Stati Uniti, hanno esercitato un effetto potenziato sulla diffusione del virus. Quali sono, quindi, gli effetti dell’inquinamento atmosferico da CO2 sugli ecosistemi e sugli esseri umani?

Prescindo dallo studio che mi cita perché parlerei di aspetti di cui non sono specialista e non sarebbe corretto. In generale, i livelli di CO2 hanno un impatto travolgente sul clima del pianeta, poiché questo gas è il principale artefice del cambiamento climatico. Parliamo di innalzamento delle temperature e altre fenomenologie ormai ben note, come fenomeni estremi di tipo meteorologico, inaridimento delle regioni più a sud del mondo, con pesanti conseguenze socio-economiche: pensi ai problemi agricoli, ade esempio, in Africa. Questi effetti li affronteremo sempre più spesso anche in Europa e, noi che abitiamo nel sud dell’Italia saremo particolarmente esposti a criticità di questo tipo. Aggiungo anche il rischio di espansione a nord di certi patogeni: le barriere climatiche che hanno bloccato per tanto tempo l’arrivo di insetti portatori di virus si stanno indebolendo, e quindi si potrebbero innescare nuove zoonosi in regioni fino ad oggi ‘sicure’. Purtroppo gli alti livelli di CO2 nell’atmosfera sono un rischio enorme per il pianeta, di cui parliamo tanto ma che non stiamo affrontando in maniera adeguata.

Ormai sono celebri le immagini della laguna e dei canali di Venezia che, durante il lockdown, si sono ripopolate di pesci e altre forme di vita acquatica, oppure i cieli sopra la Cina liberi da smog. Da ecologo ed etologo può spiegarci questi fenomeni? Inoltre le lancio questa provocazione, velata d’ironia: la natura ha ripreso i suoi spazi si è detto, quindi l’unica salvezza per la Terra è che l’uomo si estingua?

Non credo che si possa prospettare una estinzione della specie umana come soluzione ai problemi ambientali! Dobbiamo però capire che facciamo parte del pianeta e della natura a pieno titolo, non ne siamo fuori. Non è perciò possibile immaginare modelli di vita che escludano la presenza dell’uomo sulla Terra. Sono molto mediatiche queste immagini di animali che riconquistano spazi ‘umani’: da ecologo non mi hanno sorpreso i tanti avvistamenti riportati, sia sulla terra che nel mare, perché ci dimostrano semplicemente che se noi riuscissimo a rispettare di più la natura, queste specie si avvicinerebbero più a noi. Nel Golfo di Pozzuoli, per esempio, è stata avvistata una verdesca nei pressi delle banchine del porto e vedere uno squalo praticamente ‘dentro casa’ ha molto colpito il pubblico. Non abbiamo assistito, però, ad un vero ritorno della natura, perché stiamo continuando a distruggere l’ambiente e molte specie animali non le riavremo più. In realtà, occorre fare una serie di considerazioni: la prima, molto banale, è che noi, evidentemente, rappresentiamo un elemento molto nocivo per il pianeta, attraverso le nostre attività. Prenda ad esempio l’inquinamento acustico, uno dei grandi colpevoli che portano gli animali, terrestri o acquatici che siano, ad evitare i nostri spazi. È ovvio che sospendendo le attività umane e il disturbo acustico ad esse connesso, aumentano gli avvistamenti di diverse specie che risentono meno dei nostri rumori. Stiamo comunque parlando di un fenomeno transitorio, che è destinato a regredire quando torneremo alle nostre attività. Poi, la seconda considerazione è che le specie avvistate sono quelle più flessibili dal punto di vista ecologico.

Ovvero?

Sono specie che riescono a fare i conti con gli ambienti antropizzati, che a volte addirittura beneficiano delle alterazioni ambientali prodotte dall’uomo. Il nostro problema, in termini di biodiversità, è però legato alla perdita di altre specie, quelle che non riescono assolutamente a confrontarsi con l’uomo e con ambienti che sono stati degradati dall’azione umana. Sono queste le specie per cui non potremo mai immaginare un ingresso in città o in aree alterate dall’uomo.

Con il lockdown le specie a rischio hanno subito delle conseguenze?

Su scala planetaria, direi che c’è stato molto meno controllo nelle aree protette, e si è verificato un aumento del bracconaggio a carico di specie minacciate. C’è stato un aumento, in alcune aree, di commercio e consumo di fauna selvatica: questi meccanismi, quando la gente si trova in difficoltà, vengono accelerati.

Tornando alle specie animali che, ad inizio pandemia, sono state additate come vettori dello spillover, il cosiddetto salto di specie, una notizia di qualche giorno fa ha ‘assolto’ il pangolino, ma permangono le preoccupazioni sui pipistrelli. Soprattutto perché i famosi mercati di carne selvatica non hanno chiuso, anzi lavorano a pieno regime in molte zone dell’Asia e dell’Africa. Cosa pensa, in merito, del silenzio da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità?

Animali che, infatti, non sarebbero mai entrati a contatto con l’uomo, portatori ovviamente di patogeni, vi entrano invece in contatto perché li si continua a catturare e vendere in questi mercati in cui le condizioni igieniche sono estremamente precarie. La bomba virologica che è esplosa qualche mese fa, potrebbe riesplodere da un momento all’altro con una nuova pandemia, e sicuramente l’OMS dovrebbe prendere una posizione forte su questi temi. Le fornisco un dato relativo a dicembre 2019: attraverso l’aeroporto di Bruxelles, quindi siamo nel cuore dell’Europa, transitano ogni anno nei bagagli dei viaggiatori 44,4 tonnellate di carne importata illegalmente. Non si tratta solo di animali domestici ma, si è visto, per il 38% parliamo di specie selvatiche, un terzo delle quali specie protette, che provengono dall’Africa centrale e occidentale. Sono, ripeto, importazioni illegali che evidenziano l’esistenza di un traffico che attraversa la stessa Europa. Le ho fatto l’esempio del nostro continente dove controlli e sequestri avvengono: immagini in altri Paesi che sono, non di rado, delle vere e proprie terre di nessuno. È chiaro che se non vengono presi provvedimenti, dovremo sempre fare i conti con un altissimo rischio di pandemia, che è quasi certa. Ovviamente, non sappiamo quando avverrà.

Quindi, come paese, non è soltanto la Cina ad essere sul banco degli imputati?

Il processo alla Cina, adesso, mi sembra tardivo, e il problema di cui parliamo si manifesta su scala globale, con complicità a tanti livelli e giri di affari sorprendenti. Ma l’aspetto che mi ha colpito maggiormente della diatriba su colpevoli e dinamiche di questa pandemia è stato il turbamento dell’opinione pubblica, sull’eventualità che il virus sia sfuggito da un laboratorio. Seppure decidessimo di prendere per buona questa ipotesi, mi permetta l’iperbole, in realtà comunque sarebbe una colpa molto più perdonabile di un commercio portata avanti deliberatamente nell’indifferenza generale, per decenni, che ha esercitato un impatto molto pesante in termini di perdita di biodiversità e particolarmente di fauna selvatica e che ha depredato specie protette un po’ in tutto il mondo per soddisfare una richiesta cinese. Nessuno lo percepisce come il vero scandalo, preferiamo preoccuparci di un’ipotesi più o meno fantascientifica o verosimile come il virus sfuggito ad un laboratorio, rispetto ad un fenomeno reale, ben noto e che, ormai, è fuori controllo: una colpa gravissima sia delle autorità cinesi, che evidentemente non fanno abbastanza, sia di quanti, a livello internazionale sono stati complici chiudendo gli occhi. Mi scandalizzerei di questo, non di un virus ‘evaso’ da un laboratorio.

Probabilmente si verificherà una reazione di rifiuto verso la scienza e gli esperti che, in questi mesi, sono stati i protagonisti di questa pandemia, e ovviamente a farne le spese sarà l’ambiente. Lei cosa ne pensa, le persone davvero smetteranno di essere ricettive verso la scienza durante la Fase 2?

Le rispondo da scienziato, e quindi magari sono di parte: la scienza è il migliore strumento che abbiamo per gestire le attività umane, e non abbiamo un’alternativa. Però 1) è contraddistinta da un processo complesso, e necessita di cooperazione più che di competizione, e 2) ha tempi lunghi e necessita verifiche. A mio avviso, ci siamo ritrovati in una situazione dove è stato richiesto alla scienza di fornire rapidamente soluzioni senza rispettare le caratteristiche del processo scientifico che le ho descritto. Il decisore politico ha, purtroppo, scaricato delle responsabilità sullo scienziato, e vi si affida tout court. I detentori del potere politico devono essere invece bravi a ‘rischiare’ facendo scelte di governo sulla base di una sintesi tra le informazioni che provengono dalla scienza, e altre istanze di tipo sociale, economico, antropologico, e questa sintesi si chiama assunzione di responsabilità. Mettere la croce sulle spalle degli scienziati che, magari, hanno rilasciato a volte dichiarazioni un po’ frettolose e non verificate significa anche trasferire nelle mani della scienza un’incombenza decisionale che non concerne il nostro ambito. A noi spetta formulare ipotesi, vagliarle e poi giungere a delle conclusioni. Queste ultime, poi, sono suscettibili di ulteriori cambiamenti perché la scienza è un fenomeno dinamico, ed è normale che possa sbagliare perché va avanti testando ipotesi e spesso generando ulteriori domande più che risposte definitive.

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