«Medicina narrativa, empatia e cure palliative.» Così l’ANT si prende cura dei malati di tumore: l’intervista a Gianluca Ronga

by Michela Conoscitore

La malattia si può tramutare in una delle esperienze più desolanti e destrutturanti per l’essere umano. Il convivere con patologie dall’esito infausto condanna il paziente e la sua famiglia all’incertezza e allo smarrimento. Quando il compito degli ospedali si è inevitabilmente concluso, non resta altro che aspettare. Quel momento, che dovrebbe essere di raccoglimento e commiato, diventa spesso uno stillicidio dato che i malati necessitano ancora di cure e di un confronto con il personale medico che, in questo particolare frangente, offre loro sollievo e sostegno. Ma non sanno a chi chiedere aiuto.

Il supporto assistenziale domiciliare svolto da ANT, Assistenza Nazionale Tumori, si innesta nel momento in cui bisogna scongiurare il pericolo di una non vita, ovvero gli ultimi mesi o settimane che si trasformano in una lotta contro il dolore e la disperazione. L’ANT, con la sua rete di operatori, è una risorsa preziosa per i malati oncologici e le loro famiglie. Dopo aver conosciuto l’ente attraverso le parole della presidente Raffaella Pannuti, bonculture si è spostata sul territorio insieme ai professionisti dell’associazione, per comprendere come si articolano i loro interventi e documentare sul campo il loro operato.

Il dottor Gianluca Ronga è responsabile della sezione ANT della provincia di Foggia, e ci descrive una realtà fortemente in crescita: “Nel corso dei miei dodici anni con ANT, sette come coordinatore provinciale, il gruppo di operatori sanitari è andato via via aumentando. Al mio arrivo, ero il secondo medico più un infermiere. Oggi, siamo undici medici, dieci infermieri e una psicologa. Abbiamo assistito ad una crescita abbastanza rapida e importante.” Ma non è ancora sufficiente, la provincia è estesa e le richieste che la sezione di Foggia continua a ricevere sono numerose, come ci racconta il dottore, “c’è un grande bisogno del servizio che offriamo. Di malati oncologici in fase terminale ce ne sono tanti, e purtroppo non c’è disponibilità di personale disposto a dedicarsi a questa attività in proporzione al bisogno che riscontriamo.Per cui siamo sotto organico e portiamo avanti un servizio a macchia di leopardo.

Ronga, per farci comprendere maggiormente il raggio d’azione della sezione provinciale dell’ANT, suddivide il territorio in distretti sanitari: “Non in tutti i distretti sanitari è disponibile questa assistenza domiciliare. Noi lavoriamo a Foggia, Manfredonia, Cerignola e Lucera. Altri quattro distretti risultano scoperti dall’assistenza oncologica domiciliare, parlo di San Severo, il Gargano, il Sub-Appennino a cui si aggiungono San Marco in Lamis e San Giovanni Rotondo. Per il Gargano e San Severo ci sarebbe molta necessità di attivare questo servizio. Invece l’area di San Giovanni può contare su Casa Sollievo della Sofferenza, quindi i malati non sono completamente abbandonati a loro stessi.

Nel nostro dialogo, parlando col dottore dell’importanza di ANT nell’intervenire e, molto spesso, sostituire soprattutto durante la pandemia le strutture ospedaliere, emerge tuttavia una constatazione che ha del paradossale: “Nonostante siamo presenti come associazione in provincia da quindici anni, e seguiamo circa seicento pazienti all’anno, non c’è una conoscenza diffusa di questa opportunità. La maggior parte dei pazienti arriva a noi tramite il passaparola di chi ci ha conosciuto e beneficiato della nostra assistenza, oppure su segnalazione degli specialisti ospedalieri. Non c’è un vero e proprio sistema grazie al quale chi ne ha bisogno arriva naturalmente alla nostra attenzione.

Ciò accade perchè le cure palliative, spesso, sono ritenute inutili e giudicate con sospetto. La responsabilità, come sempre, è a monte: “La legge che regola l’utilizzo delle cure palliative in Italia c’è, solo che manca la parte attuativa per una carenza a livello politico e delle ASL, non è un qualcosa che riguarda solo la provincia di Foggia”, spiega Ronga, “l’Italia in questo ambito è rimasta indietro rispetto ad altri paesi del mondo. Inoltre, la Puglia, come altre regioni meridionali, vive una disparità rispetto alle regioni del nord dove esiste una vera e propria rete di cure palliative. È una carenza atavica e di difficile soluzione, a meno che non emerga una volontà politica forte nel voler tutelare i diritti di questi malati.

Specializzato in cure palliative, sulle quali si basa il principio ANT dell’eubiosia, il dottor Ronga afferma che sono confinate in “una nicchia della medicina, sottostimata e sottovalutata come se fosse un qualcosa di non necessario e indispensabile. Anche all’interno della stessa classe medica non esiste una cultura su come concretizzarle affinchè inizino ad arrivare risposte ai bisogni degli ammalati. Manca la cultura nell’uso e nella prescrizione degli oppiacei anche tra i medici. Per gestire il fine vita bisogna far ricorso a questa tipologia di farmaci.

Cosa significa essere un medico palliativista è presto detto: “La nostra caratteristica imprescindibile deve essere l’empatia. Siamo a contatto tutti i giorni con morte e sofferenza, non solo del malato ma anche della famiglia. La diagnosi oncologica è un macigno che pesa su tutti loro.” Tuttavia, il problema da risolvere che si pone ai medici impegnati nell’assistenza al fine vita è sia medico-scientifico che etico: “Gli oppiacei e le cure palliative sono ancora un tabù. Molto spesso vengono recepiti come l’ultima spiaggia, o una terapia che non porterà alcun beneficio. L’assistenza nella fase terminale di vita di una persona richiede, invece, tanto impegno. Con la nostra attività assicuriamo ai nostri pazienti dignità, fino all’ultimo momento. Il nostro compito è rendere sostenibile questa fase così critica e delicata non solo per l’ammalato ma anche per la famiglia. Noi meridionali forse percepiamo ancora come proibito parlare del fine vita, anche se è un evento fisiologico inevitabile.

Pensando all’attuale pandemia, purtroppo ancora in corso, il dottor Ronga tiene particolarmente ad evidenziare come il suo impegno e quello dei propri collaboratori non è stato fermato dal Covid: “L’attività dell’Ant durante la pandemia non ha subito alcuna interruzione, ovviamente abbiamo adottato delle precauzioni maggiori non solo per tutelare gli operatori ma principalmente per i pazienti, evitando di diventare noi veicolo di trasmissione del virus. L’ANT ha provveduto ad equipaggiare i propri specialisti dei DPI a spese proprie, uno sforzo notevole visto che tute e mascherine inizialmente erano merce rara e preziosa. Comunque i nostri assistiti hanno continuato ad essere seguiti da tutte le figure professionali coinvolte. Anzi, nell’ultimo periodo abbiamo ricevuto molte più richieste di assistenza, visto che gli ospedali soprattutto nella fase iniziale della pandemia, si sono trovati in estrema difficoltà.

Per quanto i tempi di permanenza all’interno del domicilio del malato non siano sostanzialmente molto cambiati, il dottore ha comunque fatto un distinguo tra assistenza pre Covid e post Covid perché, anche in questo ambito, il patogeno ha agito come spartiacque inevitabile: “Il nostro è un lavoro che si basa sulla capacità di ascolto non solo del paziente, con cui si instaura un rapporto solido, ma anche con la famiglia. Noi facciamo ricorso ad una medicina narrativa: il tempo che dedichiamo ai pazienti, l’ascoltarli, diventa uno strumento di cura al pari della terapia farmacologica. Nel pre covid diventavamo parte della famiglia e quindi portavamo avanti un’assistenza che non era soltanto medico infermieristica ma condividevamo con tutti loro quella situazione così dolorosa e impegnativa. Col Covid le distanze sono aumentate, parlando anche semplicemente delle mascherine e dei guanti, indossarle è un frapporre barriere tra noi e i pazienti.

Prosegue, esponendo una sua preoccupazione che auspica sia sfatata dal progredire positivo della pandemia: “In questi mesi è mancata in tanti casi quella sfumatura emotiva e relazionale che per noi è fondamentale. Questa situazione ora si è alleggerita, ma onestamente sono preoccupato: una volta che saremo tornati alla normalità, vorrei avere la certezza che il timore del toccarsi, dell’essere vicini svanisca completamente.

Il dottor Ronga si porta dentro tante storie di pazienti che hanno deciso di chiedere supporto agli specialisti ANT, per vivere con serenità gli ultimi mesi loro concessi. Come quella del signor Giovanni, un settantenne fragile e afflitto da dolori atroci, che si è ritrovato in pieno Covid a fronteggiare questo momento da solo con la moglie. Bisognoso di medicazioni abbastanza complesse e con una terapia che non alleviava affatto la sua sofferenza, lui e la moglie si sono rivolti al dottor Ronga. In breve tempo, dopo il sopralluogo della moglie all’hospice foggiano, l’anziano paziente si è affidato agli specialisti ANT migliorando totalmente, grazie al team coordinato dal dottor Ronga, la propria qualità di vita tanto da permettergli di festeggiare l’ultimo compleanno in hospice con una festa e la torta. Un regalo che sicuramente Giovanni ha portato con sé.

n.b.: le immagini contenute nell’articolo, che ritraggono il dottor Gianluca Ronga impegnato nell’assistenza domiciliare ai malati oncologici, sono ovviamente pre-pandemia.

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