Nel Policlinico col Dg Dattoli alla quarta zoonosi respiratoria: “Il Covid-19 è meno letale della Sars, ma molto molto più veloce”

by Daniela Tonti

Negli ultimi giorni stanno venendo alla luce sempre più frequentemente casi di focolai tra il personale sanitario, un fenomeno quasi inevitabile visto l’altissima contagiosità del Covid-19.

Da una parte abbiamo operatori contagiati e dall’altra pazienti invitati a non recarsi in ospedale se non per le urgenze. Tutto quello che poteva essere rimandato è stato rimandato. I laboratori chiusi, i reparti svuotati, l’attività ambulatoriale ridotta all’osso.

Noi di bonculture abbiamo parlato di questi e molti altri tempi con Vitangelo Dattoli, direttore generale degli Ospedali Riuniti di Foggia e parte della task force pugliese Covid-19.

Direttore, gli ospedali sono luoghi sicuri? Lo sono mai stati?

L’ospedale è un luogo di cura quindi è un luogo sicuro. Certo, adesso c’è un nuovo approccio perché questo è un contagio tipo influenza che ha fatto 7 milioni di ricoverati. Ma l’ospedale è un posto sicuro.

Noi abbiamo sconsigliato fortemente di venire al Pronto Soccorso. E questo perché il Pronto Soccorso già in tempo di pace è assolutamente abusato. L’80% dei pazienti sono codici bianchi e verdi cioè quelli che non è il caso che vengano in ospedale e nemmeno forse dal medico di base e nemmeno forse dalla guardia medica.

E c’è stato un crollo di questo abuso. Un abuso dovuto a un fatto di cultura, opportunità, fiducia nell’ospedale come luogo di cura.

Perché è gratis?

Anche. E’ gratis per i codici bianchi per i codici verdi no.

Sono calati gli accessi dunque?

Chi viene per affrontare un bisogno di salute sa che comporta, in questa situazione, qualche rischio. E questo rischio si contrasta con delle procedure di separazione dei percorsi Covid, dove per Covid si intende il sospetto Covid che prima era per sospetto per un dato epidemiologico e clinico ora soprattutto clinico e gradatamente epidemioloigco. Per cui per tutte le prognosi respiratorie, febbri, polmoniti, catarri, tutto quello che è respiratorio che sono i sintomi più frequenti siamo già allertati. Poi ci sono gli asintomatici. L’asintomatico si presenta e può contagiare chiunque e questo è inutile negarlo.

Giorni fa un cardiologo di fama mondiale faceva notare come la psicosi da Covid abbia spazzato via venti anni di campagne di sensibilizzazione sul cuore. In sostanza venti anni a dire alla gente correte in ospedale che ogni istante è prezioso e ora rilevava come alcuni pazienti abbiano preferito tenersi infarti addosso per giorni per paura di andare in ospedale e contrarre il Covid

Qual è la sua impressione?

Chi ha l’infarto o sospetta di averlo deve venire in ospedale. Noi abbiamo tutti i percorsi isolati: cardiologico, dialisi, anestesiologico, ostetrico ginecologico. I bambini nascono e quindi abbiamo sale operatorie e sala parto dedicate all’area covid, facendo un pre-triage telefonico, facendo un pre-triage quando arriva il paziente e facendo seguire un percorso differenziato, tant’è che i risultati si vedono.

Quali sono?

Noi non abbiamo avuto molti casi di operatori, abbiamo avuto quattro episodi di cui tre accertati extra professionali (contagi da mogli o figli) esterni all’ospedale e abbiamo creato una rete di controlli e ora metteremo il termoscan all’ingresso. Ma possiamo dire che sia il personale sia gli utenti sono stati molto scrupolosi, quello che sta male non si presenta in ospedale.

Perché mancano i dispositivi di protezione individuali? Come funzionava fino a poco prima del Covid?

Non ce n’è mai stato bisogno perché non c’era un iperconsumo. Il problema dei dispositivi è che il Covid ha determinato un iperconsumo e soprattutto ha generato problemi di logistica e mobilità. Molte ditte stanno nelle zone che sono inibite. I nostri prodotti sono quasi tutti made in China. Poi nel momento in cui il mercato mondiale ha aumentato la domanda per dieci volte, per cento volte la normale produzione, i prodotti non sono stati più sufficienti. Noi non abbiamo grandi industrie di mascherine e di camici forse pochissime. Per impiantarle ci vogliono mesi e anni però so che molte industrie tessili si stanno riconvertendo. Ci vuole del tempo però lo stanno facendo. Quindi per ora continuiamo ad avere una serie di produzioni da parte della Cina.

Quanti giorni di autonomia avete?

Colgo l’occasione per chiarire che non sono mai venuti meno gli approvvigionamenti ai profili di media esposizione. Mai. C’è stato un rallentamento, abbiamo sfiorato alcuni rischi però devo dire che non abbiamo mai avuto un problema serio. Due giorni fa eravamo abbastanza sofferenti e ieri abbiamo avuto un discreto approvvigionamento. Dalla settimana prossima speriamo, grazie a una serie di accordi che abbiamo, di riuscire ad avere un approvvigionamento regolare.

Però si agisce non solo sul fronte dell’approvvigionamento si deve agire sul fronte del consumo per cui noi stiamo facendo tutta una serie di attività per razionalizzare il consumo.

Cioè? 

Mandando a casa chi era possibile mandare a casa anche come riservisti, in modo tale da non farci trovare impreparati in caso di un’ improvvisa assenza per allontanamenti a scopi precauzionali. Perché se succede un caso non è tanto il contagio, abbiamo misure di contenimento efficaci è ovviamente la necessità dell’allontamento precauzionale a determinare potenzialmente delle criticità.

E ora gli accorpamenti dei reparti determineranno un’ulteriore rarefazione delle persone che si espongono e che quindi consumano.

Chi non è strettamente necessario non deve stare in ospedale, vale quindi anche per i pazienti.

Abbiamo ridotto l’attività ordinaria del 70% e per 80-90% quella ambulatoriale. Su 100 prestazioni se ne fanno dieci, urgenti o oncologiche. Su 100 interventi – dico per dire per dare un numero indicativo- se ne fanno 30-20. C

Parliamo di sicurezza sul lavoro e quindi dispositivi dpi. La pressione sugli operatori è fortissima c’è chi ipotizza alla lunga danni da stress incalcolabili Quanto è difficile per un medico lavorare sotto un dispositivo di sicurezza? Quanto è forte lo stress di lavorare con tutta quella roba addosso? È giusto chiedere questo a un lavoratore? E fino a che punto? E per quanto tempo?

Noi abbiamo avuto un elogio dal sindacato e abbiamo fatto un reclutamento massiccio in termini di medici soprattutto anestetisti, pneumologi, infettivologi e internisti. Abbiamo fatto un massiccio reclutamento di infermieri e di Oss, ma anche di tecnici di laboratorio, biologi, medici di laboratorio, tecnici di radiologia e radiologi. Siamo arrivati preparati.

Ma deve tenere presente che tutta l’attività ordinaria si è ridotta dell’80%.

Quindi dal punto di vista ergonomico è aumentato lo stress perché la tensione, la difficoltà di operare con dispositivi di un certo tipo sicuramente c’è e specie in prima linea è molto forte, però il carico di lavoro è diminuito.

Di quanto?

Il dato del pronto soccorso, delle medicine, delle chirurgie è chiarissimo. C’è solo qualche reparto come ostetricia in cui è diminuita la ginecologia che si può rinviare ma il 90% delle pazienti comunque sta lì perché le donne devono partorire. È diminuita di poco l’attività del settore oncologico perché le oncologie non possono attendere. Ma anche lì, anche in oncologia ci sono tumori che non destano preoccupazioni in termini di tempo e le attività sono state rinviate. È rimasta l’attività traumatologica, incidenti etc. ma per esempio in ortopedia l’attività protesica è tutta rinviata.

Quindi c’è meno lavoro e un ricambio in vista?

L’80% in meno del carico di lavoro è stato distribuito sul 20% che rimane moltiplicato 4 come dato di stress ma alla fine il problema è solo quello emotivo, quello fisico economico è assolutamente lo stesso. È più uno stress emotivo, ma abbiamo assunto un mare di persone che ci consentirà soprattutto per le prime linee di ampliare le turnazioni.

Lei come sta vivendo questa pandemia? Da quanto tempo non torna a casa?

Io sto dormendo qui da due settimane perché è difficile viaggiare e perché non ci sono più orari, dopo di lei mi aspettano tre riunioni. Io mi sono già trovato a fronteggiare questo problema, questa volta è un po’ diverso a livello nazionale.

Ero direttore a Lecce nel 2003 quando c’è stata la Sars, ero direttore al Policlinico di Bari nel 2008 quando è capitata l’Aviaria e nel 2010 per l’H1N1. Quindi questa è la quarta zoonosi respiratoria che mi trovo ad affrontare, tre dalla Cina e una dal Mediorente.

E adesso questa che molto più impattante dal punto di vista sociale ma è un virus meno letale della Sars. È molto meno letale però è molto molto più veloce.

Ospedali Riuniti di Foggia
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