Vincenzo Colapietro, il 118 e la sensibilità di chi ha visto «il terrore di precipitare col Covid andando incontro alla notte»

by Daniela Tonti

Che cosa resterà delle mille storie dei medici in prima linea impegnati durante la pandemia?

Forse la letteratura ci restituirà tra qualche decennio la narrazione del profondo, della solitudine, dell’incontrovertibile casualità che si abbatte nella vita dell’uomo a volte trasformandola irrimediabilmente e della pioggia di conseguenze a lungo termine.

L’emergenza covid-19 non è ancora terminata ma la retorica dell’eroe, degli striscioni, della gratitudine sociale di un’umanità confinata in casa in cerca forse solo di qualcosa con cui sconfiggere la noia si è già disgregata sotto il bisogno di riprendere le fila della quotidianità, della produttività e dimenticare.

Troppo facilmente si rischiano di dimenticare tutti quei medici che sono stati in prima linea e hanno cercato di compensare con la loro dedizione e il loro sacrificio le molte falle del sistema” diceva giorni fa Filippo Anelli, Presidente dell’Omceo.

Noi di bonculture abbiamo ripercorso i lunghi mesi di emergenza legata alla pandemia con il dirigente medico Vincenzo Colapietro medico di lungo corso, anestesista e rianimatore e direttore fino a ieri mattina del servizio 118 di Foggia.

«Faccio questo lavoro da tanti anni. Quando ho iniziato a fare il medico trent’anni fa, i colleghi più anziani del Pronto Soccorso quando non si riusciva a salvare una persona mi dicevano ‘dai Enzo, vedrai ci farai l’abitudine’. Sono a quattro anni dalla pensione e l’abitudine non l’ho fatta. Se fai l’abitudine devi cambiare mestiere. Perché questo è un lavoro dove non puoi prescindere dalla sensibilità. Puoi essere il più grande scienziato ma se hai perso quel tocco di umanità devi cambiare mestiere. »

A Vincenzo Colapietro non è mai mancata la lucidità e la freddezza nell’intervento, anche in situazioni estremamente difficili. Ha all’attivo centinaia di interventi in zone impervie e difficili da raggiungere ma anche incidenti stradali e i cosiddetti codici primari di intervento.

Nel 2020 il 118 diretto da lui ha registrato oltre 186mila chiamate, 75mila richieste di soccorso e 58mila interventi effettuati e circa 150 missioni da novembre a aprile con l’elisoccorso.

Ma alla morte lui non si è mai abituato. «Mi è sempre rimasto questo senso di impotenza che non mi è mai passato e mai mi passerà. E sono contento di sentire. »

Una delle difficoltà maggiori cui ha fatto riferimento Anelli ( e quasi tutti i medici del 118 intervistati) è stata quella di decongestionare gli ospedali. Il che vuol dire decidere se portare o meno un paziente in ospedale. Questa scelta va fatta in base alla valutazione clinica, ma anche in base alla propria coscienza e vuol dire assumersene la responsabilità a ogni livello possibile.

A ciò vanno aggiunte le difficoltà organizzative che devono tener conto nello specifico del fatto che Foggia città ha solo 4 ambulanze e un’automedica e dell’allungamento dei tempi per la sanificazione. La centrale operativa che c’è dietro il 118 mette in connessione tutta la provincia, tra parco ambulanze e ospedali, in un gioco a incastri che si consuma sul filo dei minuti e che è stata fino ad oggi una rinomata eccellenza. A Foggia c’è l’elisoccorso e anche un altro progetto innovativo il progetto “Blob, sangue a bordo” per gli interventi sui codici primari.

Addosso alla prima linea non ci sono solo le decisioni difficili da prendere da soli. Ma anche il carico emotivo.

«I pazienti respiravano male e anche dal punto di vista psicologico bisognava fare il possibile pur non essendo tra le nostre competenze, non siamo psicologi. Ma in prima linea ci siamo noi. »

È capitato di intervenire a casa di coniugi soli e anziani entrambi malati di covid. «A volte dovevi portarti solo quello che dei due stava peggio. Era una pena indescrivibile separarli, per chi restava solo. Ma anche per noi perché sapevi che lo lasciavi a se stesso e avevamo paura perché non sai cosa succede nella mente umana, se fa un gesto estremo o cosa poteva succedere. In un caso abbiamo ‘forzato la mano’ e li abbiamo portati via entrambi perché non avevano nessuno ed erano soli e disperati. Quindi è stata un’esperienza bruttissima. Senza contare la paura sempre presente di prendere il covid e portarlo a casa. »

Ci sono stati un paio di giorni più terribili di altri in questi mesi e sono quelli testimoniati delle foto diffuse delle lunghe fila di ambulanze in coda in Ospedale. Erano giorni drammatici in cui scarseggiavano persino gli attacchi a muro al Pronto Soccorso.

Ambulanza bariatrica

«Ricordo un giorno in particolar modo. Non lo scorderò mai. Era una domenica e alle 17 del pomeriggio ero in ospedale e ci chiamò un’ambulanza che aveva finito l’ossigeno e mi misi al telefono, chiamai tutti i reparti finché non trovai una bombola in Urologia. Corsi a prenderla e la portai a quest’ambulanza che aveva il paziente che boccheggiava, aveva fame d’aria, una fame che non si può spiegare. Hai presente un pesciolino rosso? »

Un altro momento di grande difficoltà è stato quando le RSA sono state falcidiate dai contagi e la paura e il panico non hanno risparmiato nessuno.

«E’ stato difficile perché ci sono state Rsa che volevano letteralmente evacuare! Mi ricordo che una in particolare ci disse che dovevamo portarci 11 pazienti. Era impossibile ricoverarli tutti. Mandammo l’automedica che li valutò e quelli che non avevano difficoltà respiratorie ma erano solo positivi potevano essere gestiti altrove. Se avessimo caricato gli ospedali di questi pazienti asintomatici l’intero sistema sarebbe andato in tilt.»

C’è un tempo nella giornata di un malato in cui il terrore e l’angoscia montano e sovrastano tutto il resto. Ed è la sera. E questo vale molto di più nel caso di una malattia come il covid che può precipitare da un momento all’altro.

Molti pazienti a domicilio sono stati seguiti dalle Usca che in provincia di Foggia sono le più numerose della Puglia. Ma questa cura non sempre è bastata a placare la paura. «La famosa frase Andiamo incontro alla notte… i momenti peggiori erano dal pomeriggio in poi soprattutto gli anziani venivano presi dal terrore di precipitare nonostante fossero seguiti molto bene.»

Durante questo periodo si è attivato anche un progetto sperimentale il progetto Blob- sangue a bordo che è stato utilizzato in cui caso particolare.

«Abbiamo fatto il primo intervento su un ragazzo giovanissimo che aveva avuto un incidente in campagna e perso una gamba. L’automedica era in sanificazione, l’ambulanza più vicina non aveva un medico a bordo e in quel momento decisi di far partire l’elicottero che in dieci minuti era sul posto con il sangue gruppo 0. Un codice primarissimo.

Andai a trovarlo la mattina dopo. Mi disse che aveva ricordi avvolti nella nebbia e mi mostrò una foto piangendo “vedi com’ero io prima”. Una foto in cui proprio con la gamba destra colpiva un sacco. Mi ha toccato moltissimo.»

Il lavoro del soccorritore, di Questo soccorritore non finisce con l’intervento. Il medico ci spiega che la voglia di rivedere una persona, di avere notizie, di portare un sorriso o un pensiero gentile è sempre molto forte e che il filo che ti lega a lei non si spezza quasi mai con il passare del tempo. Come la gratitudine e la riconoscenza di chi ce l’ha fatta. E sa esattamente grazie a chi.

Questa intervista è stata registrata prima dell’esito del concorso per direttore del 118 dove Colapietro è arrivato secondo e per cui è in atto un ricorso e un esposto in Procura che in parte, attraverso l’acquisizione delle timbrature rivelazioni presenze,  sta mettendo in rilievo alcune incongruenze.

La sua vicenda ha dato vita a una serie di iniziative di solidarietà sulla rete e fatto emergere, oltre ad una profonda amarezza, anche una riflessione sul senso di riconoscenza di una comunità dopo un anno come questo.

Il suo non è il solo caso di primario facente funzioni che per anni ha ricoperto un ruolo e che al momento della formalizzazione viene battuto in graduatoria al fotofinish. Ma questa è un’altra storia. Non di vite salvate, casistiche di interventi, ore in sala operatoria, pazienti seguiti o diagnosi effettuate.

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