“Un territorio muore quando non ci sono voci”, Pinuccio spiega i social nel format Unifg

by Anna Maria Giannone

“Un territorio muore quando non ci sono voci”. È stata questa la sintesi, seguita dalla solita ironia, della chiacchierata tra Alessio Giannone, il comico televisivo e social pugliese noto come Pinuccio, e il professore del Dipartimento di Scienze Economiche Antonio Stasi nel format Comunicazione& Identità dell’Università degli Studi di Foggia.

Dopo il neo assessore Massimo Bray e uno dei guru della comunicazione di Proforma Dino Amenduni, è stata la volta di Pinuccio, reduce dal libro “Annessi e connessi. La vita ai tempi dei social”, che ha riflettuto insieme al giovane docente sulla efficacia della comunicazione promozionale e turistica della Puglia negli ultimi 15 anni.

Pinuccio, che non ha mai nascosto la sua militanza vendoliana al tempo delle Fabbriche di Nichi, non è stato tenero con le politiche istituzionali della Regione. “Non si dovrebbero usare più le parole partecipazione e politiche dal basso”, ha detto, strizzando l’occhio ad una delle azioni più forti del primo Governo Emiliano, ossia la Legge sulla Partecipazione.

Il suo intervistatore accademico non ha colto molto lo spunto polemico ( o ha lasciato correre), ma il comico è stato netto. “Ci sono state cose molto buone, ma mi domando cosa sia nato in questi 15 anni di finanziamenti regionali. Ci sono dei registi che sono emersi con tutto il lavoro di questi anni sul campo cinematografico? Non parlatemi di Checco Zalone, perché lui ha fatto dei percorsi personali. Io se fossi un politico lascerei la regia degli spot di promozione turistica agli under 25. è inutile farli girare al grosso nome, non voglio neppure farli io, io sono già negli anta. La Regione dovrebbe rischiare, investire. Far girare gli spot a 10 giovani pugliesi, poi emergerebbe la qualità”, ha detto Giannone.

Antonio Stasi

Alla domanda sul positivo e su quanto l’informazione si concentri sempre sul negativo, sul crime e sul trash, l’inviato di Striscia la Notizia non poteva non sottolineare la sua natura anche di giornalista oltre che di personaggio tv e social comico. “Serve un mix di bello e brutto, è logico che nella promozione turistica non si può parlare di Ilva o delle discariche abusive di Foggia, però anche le foto delle spiagge cristalline con le barche che volano ha me stanno già stancando e stanno stancando molti. Domani uscirà una spiaggia più cristallina di un altro territorio e sarà finito tutto. Il racconto per essere parziale deve essere complesso e completo, a Taranto c’è una spiaggia bellissima: raccontare quel mare a pochi km dall’Ilva è una storia, significa dire: questo è il mio territorio. Invece abbiamo solo foto di Porto Cesareo, dove magari ci sono le case abusive e la falda acquifera finisce nella fogna”.

La sua autocritica parte da un accorato esame di coscienza. “Il nostro è un territorio bellissimo e ricco di sfaccettature ma anche tanti problemi. Non basta una foto su instagram per raccontarlo, bisogna sforzarsi rendere il territorio protagonista del racconto. Foggia che si racconta ai foggiani cosa avrebbe da dire? È uno sforzo di immaginazione, magari sono esperimenti che ti portano poco, forse, ma si deve provare a cambiare. Siamo ancorati a un’idea vecchia di promozione territoriale, legata alle vacanze mordi e fuggi e non alla cultura e al turismo esperienziale. Lo stesso turismo che continuiamo a promuovere è fermo agli anni ’90: un turismo di massa legato a infrastrutture che impattano sulle costa. Siamo in ritardo su tutto. Bisognerebbe mettere un punto e ricominciare e vedere da qui a 50 anni cosa si riesce a fare”.

Secondo il comico “va riscritto del tutto il modo di raccontare la nostra regione, basta con i soliti stereotipi pizzica, orecchiette, mare e modi di dire. Le tradizioni vanno bene e sono preziose, ma non riusciamo ancora a costruirci una nostra cultura. La  nostra generazione è colpevole di non aver scardinato certi tipi di comunicazione. Le istituzioni, però, devono anche indicare il percorso. La scuola e l’Università, possono farlo creando spazi, dando nuove possibilità. Bisogna avere il coraggio di cambiare, anche non dando contributi sempre e solo a film comici che alimentano una determinata narrazione. Sono percorsi lunghi ma è quella la via, altrimenti rimarremo sempre la spalla comica di altri”.

Pinuccio ha anche parlato della verità del racconto, che deve saper proporre rimedi, perché “il bello da favola stanca”. “Il racconto complesso ha bisogno di sincerità e noi spesso nel raccontare il nostro territorio ci diciamo bugie”.

Come ha osservato il professor Stasi, Foggia e la Daunia “hanno un’Ilva dentro metaforica”, rappresentata dalla Quarta Mafia e dalla perenne percezione di insicurezza violenta.

“Foggia ha un’Ilva dentro”

“Non parli del sindaco, vero?”, la battuta fulminante di Pinuccio.

“Come si applica il racconto del riscatto?”

“Il racconto del riscatto è quando la gente del territorio si racconta, racconta quel territorio, quando se il racconto è fatto da dentro c’è un elemento di verità in più. La cronaca fa altro, è giusto che arrivi altro anche da fuori. Oggi la mafia di Foggia è raccontata molto e molto poco. Si parla del morto, ma non vengono raccontate le piccole cose. La medicina di un territorio sono proprio i cittadini. Un territorio muore quando non ci sono voci”.

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