Amici miei, Pietro Germi e gli eterni vitelloni delle zingarate, che scherzano con la vita per esorcizzare la morte

by Daniela Tonti

Avevo preparato la sceneggiatura per un film mio, invece lo gira Monicelli. Il titolo è Amici miei. Tratta di un gruppo di amici che, forse per reagire al senso di angoscia che li opprime, si danno al gioco. Dico meglio: tentano di fare un gioco della loro vita, uno scherzo.

Ultimo incontro con Pietro Germi “Sarebbe bello che mi ricordassero”, Gente, 31 dicembre 1974

C’era allora la convinzione che l’umorismo toscano non facesse ridere, perché è un tipo di umorismo molto cattivo e pungente. Dopo il successo del film sono spuntati fuori un sacco di toscani, da Benigni ai Giancattivi a Nuti e fu sfatata la leggenda che non si poteva far ridere in toscano.

Mario Monicelli

Mentre sta scegliendo gli interpreti per Amici miei, il nuovo film di cui ha scritto la sceneggiatura con Benvenuti, De Bernardi e Pinelli Pietro Germi nel 1973 si ammala di una grave forma di epatite virale cui subentra la cirrosi epatica. Sente che gli mancano le forze per portare a termine il suo progetto e decide di affidarlo a Mario Monicelli. Il film, che si apre con il cartello “un film di Pietro Germi”, ottenne il Nastro d’Argento per la migliore sceneggiatura e detiene il 21esimo posto nella classifica dei film italiani più visti di sempre.

Il significato del titolo è da ricondurre alle parole che Pietro Germi disse al cast l’ultima volta che si videro: “Amici miei, ci vedremo, io me ne vado”.

Amici miei trasuda tutto il pessimismo di Pietro Germi, un’opera crudelissima e scanzonata, il singhiozzo di una generazione che rifiuta l’età adulta nella battaglia contro il tempo e l’avvicinarsi della morte. È la strenua ricerca di una maniera di vivere che permetta di evadere dalla morsa di un’esistenza sempre uguale, schiacciata dai doveri, condita dalle frustrazioni professionali, dalle insoddisfazioni e dalle delusioni famigliari. Un tentativo di esorcizzare la vita.

Il film racconta le avventure di quattro amici tutti sui cinquant’anni che si ritrovano per mettere a segno una serie di esilaranti zingarate con la massima aspirazione di distruggere i minchioni. Giorgio Perozzi (Philip Noiret) capocronista divorziato che vive con un figlio adulto che è la sua antitesi, serio e musone, e con il quale non ha nulla da dirsi e che non gli perdona la leggerezza e la voglia di scherzare. Rambaldo Melandri (Gastone Moschin) un architetto scapolo, perennemente innamorato dell’amore. Guido Necchi (Duilio Del Prete) il proprietario del bar ritrovo e base operativa del gruppo, che è anche il personaggio che si porta dietro il dolore più grande ovvero la perdita di un figlio in tenera età.

Il più inguaiato di tutti è il conte Raffaello Mascetti (Ugo Tognazzi), un nobile caduto in disgrazia che non rinuncia al suo retaggio e che ha dilapidato il suo patrimonio e quello della moglie. “Fino a 21 anni mi sono fatto vestire e spogliare dal cameriere; il conte Lello Mascetti s’è fatto un viaggio di nozze di tre anni e mezzo con moglie e un orso di due metri al guinzaglio”. Mascettisbarca il lunario vendendo enciclopedie, vivendo in luoghi di fortuna fino a che non riesce a stabilirsi in un sottoscala fatiscente (pagato dai suoi amici a sua insaputa) con moglie e figlia da sfamare. Ma le cose si complicano quando Mascetti perde la testa per la bella e conturbante liceale Titti. A loro si aggiungerà, durante una delle scorribande, Alfeo Sassaroli, il primario interpretato da Adolfo Celi.

Ognuno di loro fugge a modo suo da qualcosa, il dolore, l’amore, la solitudine, il fallimento e tutti sono accomunati dalla voglia di evasione, i personaggi sono maschere tragiche che cercano di sconfiggere la noia e il tempo che passa inesorabile in un vortice di gag e supercazzole che scatena le risate. La cattiveria è l’unica forma rimasta loro di libertà. E così se ne vanno a schiaffeggiare i viaggiatori affacciati al treno in partenza mentre il treno si muove e non possono reagire o si fingono tecnici mandati in un paese per scegliere quali case abbattere per far posto all’autostrada.

Amici miei è l’analisi di un modo di stare al mondo in cui concorrono elementi contraddittori: l’oltranza del ferire e la ferocia autodistruttiva, l’elogio del gioco, la lode dell’amicizia ma anche lo sdegno verso gli intellettuali, un mondo in cui il cinismo e l’ironia non risparmiano nessuno, neppure le donne che ne escono malissimo. Vittime inermi come la moglie del Mascetti nella formidabile interpretazione di Milena Vukotic o “la nazista” Donatella la moglie di Sassaroli per cui il Melandri perde la testa e ogni spazio minimo di autonomia.

Amici miei riguarda la morte: in pochi lo dicono, si preferisce parlare solo di una serie di straordinarie zingarate, toscane doc. Ma Mario lo diceva sempre. I protagonisti sono adorabili vitelloni che cercano di non pensare alla vecchiaia e alla morte, rimuovendo la realtà delle loro vite a volte miserabili e giocando come bambini”. Gastone Moschin

Si trovano parecchi temi cari al regista, l’amicizia, l’edonismo quasi biologico, le donne, le mangiate e le bevute e anche la sua attitudine di voltare in burla le cose serie e viceversa. Ma anche la morte, esorcizzata.

Il mio nome è Nessuno,” dice ironicamente il Perozzi e poi: “E’ così importante essere qualcuno nella vita?”. Con il suo ritmo incessante, il meccanismo slapstick delle trovate e dell’euforia, il film risponde a questa terribile domanda con un “NO.”

Aprile 63. Sono candidato all’Oscar per la regia di Divorzio all’italiana. Dovrei andare a Hollywood per la premiazione, forse ci andrò, ma c’è la questione dell’abito da sera che mi preoccupa. Sto per cominciare il mio tredicesimo film: Sedotta e abbandonata. Come sempre sono pieno di incertezza e di paura.

Nonostante il mal di fegato, si vede che sono ancora giovane.

Pietro Germi Taccuino segreto

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