La Fiamma del Peccato, il capolavoro noir di Billy Wilder

by Giuseppe Procino

Film iconico e iconografico, capace di fissare le regole di un genere che, seppur fosse già esistente, non aveva ancora trovato una sua definizione, “La fiamma del Peccato” brilla di una luce intensamente ipnotica e ammaliante. Sembra davvero di assistere alla fascinazione del male, lì dove lo schermo diviene una finestra su una storia intrigante ed eroticamente carica di aspettative. 

Negli ambigui contrasti forti di una fotografia splendidamente condotta da John Seitz, indiscusso artista della luce cinematografica, si muovono sul confine tra bene e male personaggi in perenne crisi. Fred MacMurray è Walter Neff, spinto verso la scelta estrema, e poi c’è Edward G. Robinson a interpretare Barton Keyes, un uomo che dovrà scegliere tra ragione e sentimento, tra legge e amicizia.

Tra di loro Phyllis, una Barbara Stanwyck in stato di grazia, un personaggio dalla lucida ambiguità, non una femme fatale, ma la Femme Fatale per eccellenza, il modello che la cinematografia giunta sino ai giorni nostri avrebbe preso come riferimento. Phyllis è un personaggio che fa del suo fascino e della sua viva sensualità (monca di alcuni fotogrammi espliciti ormai introvabili) il mezzo per ottenere quello che vuole. Lo fa senza mediazioni, osando sino in fondo ma delegando l’atto violento.

È questo il triangolo pericoloso che Billy Wilder ci pone di fronte come specchio dell’essere umano in balia del libero arbitrio. La vittima e gli altri personaggi che gravitano attorno al ‘core’ magnetico di questa cupa tragedia criminale non sono altro che pedine innocenti che rischiano di essere travolte dalle azioni dei protagonisti. Quello che fa la differenza è la morale, che genera il senso di colpa e che porta alla ricerca di una redenzione che non arriverà in questa vita terrena.

Nessuna grazia al peccatore pentito visto che non arriverà molto lontano, perché il messaggio della nerissima vicenda è abbastanza chiaro: il crimine non paga mai. In questa narrazione ambigua, perché non definibile nei confini del thriller puro né tantomeno del genere giallo, in cui ognuno ha un prezzo e uno scopo, la verità non è mai specchio palese della realtà e lo spettatore è chiamato così a porsi come critico osservatore delle immagini.

Ho ucciso per denaro e per una donna e non ho preso il denaro e non ho preso la donna. Bell’affare…” dirà Walter Neff ma sappiamo tutti che il denaro è davvero un elemento secondario. La verità è percepibile, ma mai mostrata e in quanto tale è negazione della sua natura. L’ambiguità è il vero motore del capolavoro di Billy Wilder, l’energia creatrice della tensione della storia.

Tra sigarette, polvere davvero palpabile e proiettili, ognuno mente a se stesso e agli altri senza mai buttare giù la maschera. Ogni personaggio ne esce come personaggio shakespeariano su cui aleggia perennemente l’ombra del destino che altro non è se non il risultato della relazione tra causa ed effetto. Chi sbaglia dovrà pagare.

Con questo capolavoro assoluto della storia del cinema, Billy Wilder, alla sua quarta regia, firma una pellicola dai toni oscuri e torbidi, un intreccio crudele e ammaliante, in cui non esiste perdono se non attraverso la morte. L’amore in questa pellicola non redime, al contrario spinge verso la dannazione, un’anticamera della morte.

Tratta da “Doppia indennità”, romanzo di James M. Cain, la sceneggiatura è affidata a Raymond Chandler, firma rappresentativa dell’Hard Boilde e si fonde alla perfezione con le atmosfere nichiliste e oscure della pellicola. I dialoghi, in grado di far emergere l’ambivalenza perenne delle vicende narrate, segnano un punto di svolta nella cinematografia mondiale: nessuno aveva mai osato così tanto. La rappresentazione del male con una carica erotica sui generis, in perenne oscillazione tra i concetti freudiani dell’Eros e del Thanatos, come pulsioni intrinseche nell’essere umano e in stretta correlazione, mostra tutto il suo potenziale narrativo.

Chandler gioca con la parola senza mai compiacersi, costruisce situazioni perfettamente incastrate tra di loro e che guidano i due protagonisti verso l’autodistruzione. Si creano con “la fiamma del peccato” futuri Tòpoi cinematografici e clichés destinati a definire le caratteristiche principali del noir. I personaggi, tra negozi di liquori, interni di automobili e studi privati, sono così complessamente scritti e poi rappresentati, come personalità dalle multiple ombre, quasi enigmi perenni da risolvere.

Perla di rara e riuscita costruzione, trova nelle parole di Alfred Hitchcock la migliore sintesi. Egli infatti, dopo aver visto la pellicola, alla sua uscita nel 1944, dirà «Dopo “La fiamma del peccato”, le due parole più importanti nel mondo del cinema sono “Billy” e “Wilder”».

You may also like

Leave a Comment

Non è consentito copiare i contenuti di questa pagina.