Charlotte Rampling, la diva anticonica e ribelle

by Orio Caldiron

Spregiudicata, enigmatica, trasgressiva, il suo debutto avviene nella Swinging London di Non tutti ce l’hanno (1965) di Richard Lester e Georgy, svegliati (1965) di Silvio Narizzano quando lo slancio creativo del Free Cinema volge al tramonto. Nell’infanzia – è nata a Sturmer nell’Essex il 5 febbraio 1946 – segue in Francia il padre, comandante della Nato, e studia alla Jeanne d’Arc Académie Jeunes Filles di Versailles per frequentare poi in Inghilterra l’esclusiva St. Hilda’s School di Bushley.

Soltanto l’incontro con Luchino Visconti che la vuole sul set di La caduta degli dei (1969), il fosco melodramma della dissoluzione della aristocrazia tedesca durante l’ascesa del nazismo, segna la sua maturazione di interprete. Nell’audizione – in minigonna, i capelli cotonati – sta per rifiutare il ruolo di Elisabeth Thalmann che deve misurarsi con la gelida Ingrid Thulin, ma il grande regista riesce a stabilire subito con lei quel rapporto di fiducia assoluta, necessaria alla giovane attrice per trovare la sicurezza in se stessa che non l’avrebbe più abbandonata nel corso della carriera.

La fama internazionale arriva con Il portiere di notte (1974) di Liliana Cavani. Il personaggio dell’ebrea Lucia Atherton, che in Dirk Bogarde, il portiere dell’albergo dove si trova, riconosce l’ufficiale nazista con cui nell’inferno del lager era stata coinvolta in un ambiguo rapporto sadomaso, fa scandalo. La sua immagine con berretto da ufficiale delle SS, guanti di pelle nera, bretelle sopra il seno nudo, fa il giro del mondo, ma l’attrice inglese sa sottrarsi al ricatto dell’icona con la duttile varietà delle sue apparizioni successive.

Nonostante un’agenda fitta di impegni di qua e di là dall’oceano, il suo ruolo più importante degli anni ottanta resta quello di Dorrie, l’amante del regista in crisi di Stardust Memories (1980) di Woody Allen che dice di lei: «È divina! Una magnifica attrice. È così bella, così sexy, così interessante, così nevrotica». Il clou della sua performance è nel prefinale quando è in preda all’esaurimento nervoso e l’obiettivo di Gordon Willis, che gira in un raffinato bianco e nero color seppia, ne riprende il volto, i grandi occhi verdi giada, le confessioni, i pensieri, le emozioni in brevi spezzoni, in immagini scomposte e frammentarie, quasi un omaggio al cubismo.

Sposata prima con il pubblicitario Brian Suthcombe, da cui ha un figlio, e poi con il compositore Jean-Michel Jarre, da cui ne ha altri due, vive a Parigi e negli anni novanta si dedica soprattutto alla tv. Nel nuovo decennio appare in un gran numero di film francesi diretti da Mathieu Kassovitz, Laurent Cantet, Michel Blanc, Enki Bilal, ma il suo maggior successo l’ottiene con Sotto la sabbia (2000) di François Ozon, in cui dà vita con straordinaria capacità d’immedesimazione all’angoscia di Marie, sopraffatta dalla misteriosa scomparsa del marito mentre sono sulla spiaggia. Sospesa tra l’incapacità di elaborare il lutto e la riscoperta di sé dopo anni di routine matrimoniale, vive il trauma della solitudine fino all’allucinazione, tra dolorosi soprassalti di crudeltà e di tenerezza, mentre l’estate lascia il posto all’inverno.

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