«La contaminazione dei saperi deve diventare una pratica di lavoro usuale.» Paola D’Agostino racconta la campagna di restauro delle Cappelle Medicee

by Michela Conoscitore

Le immortali sculture di Michelangelo Buonarroti custodite nella Cappella dei Principi a Firenze, un gruppo di professioniste dell’arte e scienziate e la loro ‘amicizia’ proficua con dei batteri per conservare al meglio i capolavori, si può riassumere così lo straordinario e innovativo intervento di restauro che ha interessato uno dei luoghi di maggior interesse turistico e culturale del capoluogo toscano: le Cappelle Medicee.

Questa campagna di restauro, durata otto anni, ha visto coinvolto un team tutto al femminile guidato dalla direttrice dei Musei del Bargello e Cappelle Medicee, Paola D’Agostino, e dalla direttrice dei lavori, Monica Bietti, che sono state coadiuvate dalle restauratrici Daniela Manna e Marina Vincenti, e dalle ricercatrici del CNR ed ENEA, Donata Magrini, Barbara Salvadori, Silvia Vettori, Anna Rosa Sprocati e Chiara Alisi. “Una contaminazione di saperi”, durante la conferenza stampa così Paola D’Agostino ha definito l’attività di recupero delle sculture michelangiolesche e delle pareti della Sagrestia Nuova, una sinergia tra arte e scienza per eliminare le brutture e i danni arrecati dal tempo. Dopo l’ultimo intervento conservativo risalente al 1988, questa nuova e complessa impresa di recupero è stata caratterizzata dall’utilizzo di una innovativa tecnica di biopulitura messa a punto da ENEA e applicata per la prima volta ai capolavori del Buonarroti, la cui Sagrestia Nuova rappresenta l’ultimo capolavoro fiorentino.

Una prima breve fase di restauro è datata 2013, ha interessato i paramenti marmorei, in seguito l’intervento più massiccio è da collocare tra il 2016 e il 2020, reso possibile dall’autonomia dei musei concessa dalla Riforma del Ministero nel 2014, in cui sono rientrati anche i Musei del Bargello. Prima di procedere al restauro effettivo, le opere sono state indagate con due diverse tecnologie, inizialmente foto a luce visibile, in seguito foto a fluorescenza da luce ultravioletta e con infrarossi.

La storia della costruzione della Sagrestia Nuova ha affrontato alterne vicende: fu commissionata a Michelangelo da papa Leone X, della casata Medici, che sottrasse l’artista al progetto per la facciata della basilica di San Lorenzo a Firenze. Il nuovo complesso architettonico fu costruito per conservare le spoglie degli ultimi rampolli della famiglia, Lorenzo duca di Urbino e Giuliano duca di Nemours, amatissimi dal pontefice, ma anche per dare una sistemazione definitiva ai due Magnifici, il mecenate e signore di Firenze Lorenzo morto nel 1492 e Giuliano, il fratello assassinato nella congiura de’ Pazzi nel 1478. Michelangelo abbandonò recalcitrante il progetto di San Lorenzo per dedicarsi alla Sagrestia Nuova, per cui concepì un ambiente architettonico pulito e lineare, impreziosito tuttavia dalle sculture poste sulle tombe dei due duchi. I lavori subirono ritardi, rallentamenti e blocchi anche a causa del Sacco di Roma nel 1527 e il definitivo allontanamento dal cantiere di Michelangelo, nel 1534, dopo la morte dell’altro papa Medici, Clemente VII. La Sagrestia Nuova trovò una sua sistemazione definitiva grazie all’ultima principessa Medici, Anna Maria Luisa Elettrice Palatina.

Quel che è emerso dalle indagini preliminari delle sepolture, oltre ai segni del tempo e ai numerosi calchi in gesso delle sculture che si sono succeduti nel corso degli anni, è stata la presenza di macchie scure sul basamento del sepolcro di Lorenzo duca di Urbino. Le macchie hanno origine organica, e sono state causate dalla presenza del corpo non eviscerato e imbalsamato di Alessandro de Medici, figlio illegittimo del duca sepolto nel medesimo sarcofago. I liquidi organici hanno filtrato il marmo, macchiandolo irrimediabilmente, da qui l’intervento innovativo di restauro ideato da ENEA che ha permesso di procedere alla pulitura sostenibile delle sculture con i batteri. Rinomati per la loro capacità metabolica, gli undici ceppi di batteri sono stati individuati in laboratorio e poi applicati in piccole porzioni sulle sculture. Al termine, ne sono stati individuati tre più efficaci che hanno provveduto, quindi, a pulire interamente le statue in modo selettivo e prudente, al fine di tutelare i capolavori di Michelangelo.

Quando si inizia a lavorare su un capolavoro dell’arte mondiale, c’è sempre molto timore” ha affermato Monica Bietti, direttrice del cantiere di restauro, ma questa tecnica innovativa ha aperto la strada ad una nuova metodologia tutelativa, come auspicato dalla ricercatrice dell’ENEA, Anna Rosa Sprocati, utile per successivi interventi.

I batteri sono ormai più famosi delle sculture di Michelangelo”, ha affermato divertita la direttrice Paola D’Agostino, commentando nell’incontro con i giornalisti la risonanza mediatica che l’intervento di restauro alla Sagrestia Nuova ha ricevuto in questi giorni proprio dagli organi d’informazione.

bonculture, a margine dell’evento, ha intervistato la direttrice D’Agostino:

Direttrice ha parlato di contaminazione di saperi in conferenza stampa, quando ha descritto l’intervento in Sagrestia Nuova. Secondo lei questa sinergia tra arte e scienza sarà la nuova frontiera del restauro conservativo?

Sicuramente, perché troppo spesso si dimentica che l’Italia è all’avanguardia non soltanto nelle pratiche e protocolli di restauro. Certo, abbiamo istituti d’eccellenza come l’Opificio delle Pietre Dure a Firenze e l’Istituto Centrale per il Restauro a Roma, ma si arriva ad un punto, come abbiamo imparato a nostre spese nell’ultimo anno, quando la competenza scientifica diventa fondamentale per trovare nuove strade. La contaminazione dei saperi dev’essere, d’ora in poi, una pratica di lavoro usuale. Come diceva la collega dell’ENEA, si possono mettere in campo competenze diverse. Accanto alle metodologie tradizionali penso sia importante coinvolgere la scienza che, nel nostro caso, è stata anche molto innovativa nel trovare un metodo che fosse non inquinante, invasivo e auto-eliminante perché il batterio poi scompare una volta terminato il proprio compito. Inoltre, chi ha partecipato al restauro ha coinvolto giovani e questo è fondamentale per il futuro dell’arte, del restauro e della scienza.

Anche oggi ha ribadito l’importanza dell’autonomia dei musei. Quanto incide questo strumento nel gestire al meglio per un direttore l’ente che gli è affidato?

Avere degli organi assolutamente dedicati alla gestione contabile e alla curatela scientifica del programma culturale, decidere la priorità dei progetti, poter sviluppare delle metodologie innovative come quella illustrata oggi, credo sia il risultato principale dell’autonomia dei musei. Non parlo dei cosiddetti grandi attrattori, che da sempre possono perseguire questi obiettivi, intendo la continuità di finanziamento che musei come Il Bargello e le Cappelle Medicee non possedevano. Nello Statuto dei Musei del Bargello, uno dei primi articoli richiama l’articolo 9 della Costituzione, e credo che questo lavoro in Sagrestia Nuova sia la migliore semplificazione della sua applicazione.

Qual è il bilancio di questo primo mese di riapertura del polo museale da Lei diretto?

Il bilancio è positivo, ma non penso solo ai numeri. La gioia e la voglia delle persone di ritornare al museo, questi sono stati i dati più importanti. Ci sono fiorentini che continuano a tornare al Bargello per vedere la Sala degli Avori, la riapertura di Orsanmichele con il San Marco di Donatello restaurato la scorsa settimana ha registrato le visite guidate esaurite. L’inaugurazione della mostra dantesca al Bargello ha visto la partecipazione di moltissimi bambini e ragazzi con i laboratori didattici: ero al Bargello sabato pomeriggio e vedere il cortile popolato dai ragazzi che ammiravano la mostra e apprendevano Dante in un modo diverso, lo ritrovavano negli affreschi e nei codici manoscritti, credo sia l’attività più significativa che un museo deve attuare in questo momento, restituire il patrimonio artistico ai cittadini e far comprendere loro l’importanza di vivere in Italia.

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